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Quanto vale il + nei voti? Finalmente una curiosità svelata

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quanto vale il + nei voti

Il segno “+” accanto a un voto non ha un valore unico e valido per tutte le scuole. In Italia non esiste una norma nazionale che stabilisca, per esempio, che 6+ equivalga sempre a 6,25 o 6,5. La traduzione del “più” in decimi è definita nei documenti interni di ciascun istituto (PTOF, criteri di dipartimento, griglie di valutazione) e può oscillare in modo significativo. In molte scuole il “più” vale circa un quarto o un terzo di punto sul voto in decimi; in altre, soprattutto quando esistono griglie di conversione puntuali, il simbolo viene legato a intervalli precisi (per esempio “6+” associato a 6,2–6,3).

Questo significa che il valore reale di 6+, 7+ o 8+ dipende dal contesto: dall’istituto, dal dipartimento disciplinare o dalla singola rubrica adottata nel consiglio di classe. Il “più” incide sulla media del periodo registrata nei registri elettronici e può influenzare lo scrutinio, ma solo nella misura in cui quella scuola converte sistematicamente i segni in numeri. Dove la conversione non è codificata, il “più” resta una indicazione qualitativa per il docente e il consiglio di classe, che deliberano il voto del trimestre/quadrimestre in decimi.

Il quadro normativo e cosa finisce in pagella

Per orientarsi occorre distinguere tra misurazione di prove e valutazione che finisce in pagella. Nel primo ciclo (primaria e secondaria di primo grado) e nel secondo ciclo (scuole superiori), la cornice di riferimento prevede voti in decimi ai fini della certificazione periodica e finale. La scuola primaria dal 2024/25 ha introdotto i giudizi sintetici al posto dei giudizi descrittivi precedenti, con una scala condivisa a livello ministeriale per la pagella; ciò non esclude che nei compiti quotidiani gli insegnanti possano utilizzare punteggi, percentuali o vecchie abitudini di voto con “+” e “–” per la didattica in itinere. Nella secondaria i voti restano in decimi per prove, scrutini e ammissioni, compreso il voto di comportamento dove previsto.

La normativa definisce la scala e i momenti ufficiali della valutazione, ma lascia alle scuole autonomia su come costruire griglie, rubriche, conversioni e criteri: è in questa autonomia che nasce il significato numerico del “più”. Perciò il segno non ha valore legale standard, bensì valore convenzionale interno alla scuola. I collegi docenti, attraverso PTOF e delibere, specificano tabellari, arrotondamenti e intervalli­: è lì che si trova la risposta alla domanda “quanto vale il +”.

Dalle griglie al registro: come le scuole trasformano il “+”

Nel lavoro quotidiano, griglie di valutazione e tabelle di conversione fanno da ponte tra punteggi (per esempio 38/50) e voti in decimi. In molte realtà, tali tabelle sono molto dettagliate e includono anche segni per marcare le soglie: si può leggere “7+” accostato a 7,2–7,3, oppure “8–” agganciato a 7,7–7,8. In questi casi, il “+” non è un’aggiunta simbolica, ma un’etichetta di una forchetta precisa del voto decimale.

Altrove, soprattutto dove il registro elettronico consente la digitazione diretta in decimi e mezzi (6,5; 7,5), il “+” può non essere visibile oppure rimanere una consuetudine del singolo docente per comunicare “sei sopra la soglia”. In alcuni istituti il registro mostra o nasconde le medie in tempo reale delle materie: se la scuola decide di non esporre la media, l’effetto del “+” resta interno ai calcoli degli insegnanti e pesa solo allo scrutinio. In ogni caso, la media non è il voto finale, che viene deliberato in consiglio e può essere arrotondato secondo criteri approvati.

La prassi più diffusa quando i segni sono usati sistematicamente nelle verifiche è quella di attribuire al “+” un piccolo scarto positivo: +0,25, +0,3 o, più raramente, +0,5 punti sul voto in decimi. Non c’è obbligo a scegliere una soglia fissa; alcune scuole adottano intervalli per ciascun voto che includono segni e mezzi (per esempio “6,2–6,3 = 6+; 6,4–6,6 = 6½; 6,7–6,8 = 7–”). In contesti più semplificati, il “+” indica che il voto si colloca appena sopra il livello base, e la conversione dipende dalla rubrica usata quella volta dal dipartimento (per esempio, prove strutturate con punteggio massimo diverso).

Nei documenti istituzionali si trovano spesso mappe di corrispondenza tra percentuali, punteggi e voti con segno: non è raro vedere tabelle in cui 50/50 vale 10, 45/50 vale 9–, 31/50 si traduce in 6+. Questo è il contesto che spiega perché un 6+ possa essere 6,2 in un istituto e 6,5 in un altro. La chiave è semplice: leggere la griglia della propria scuola.

Esempi concreti: 6+, 7– e una media che cambia

Consideriamo due studenti di terza media, con tre prove orali ciascuno. La scuola A ha deliberato che il “+” vale +0,25 e il “–” vale –0,25; la scuola B usa una tabella per intervalli in cui “6+ = 6,2–6,3” e “7– = 6,7–6,8”.

Lo studente 1 ottiene 6, 6+, 7–.
Nella scuola A la conversione è diretta: 6 = 6,00, 6+ = 6,25, 7– = 6,75. La media è 6,67.
Nella scuola B, la rubrica assegna 6 = 6,00, 6+ = 6,25 (prendiamo 6,25 come valore medio della forchetta 6,2–6,3), 7– = 6,75 (media di 6,7–6,8). La media torna 6,67: in questo caso coincide, ma solo perché le forchette scelte erano simmetriche.

Cambiamo però i parametri. La scuola C stabilisce “+” = +0,3 e “–” = –0,3. Le stesse tre prove diventano 6,00, 6,30, 6,70: media 6,33. A parità di andamento, lo studente risulta più vicino al 6. Non è un dettaglio: una media di 6,33 potrebbe essere arrotondata a 6 in scrutinio se i criteri non prevedono arrotondamento automatico oltre la soglia 0,5 o se il percorso complessivo non suggerisce un consolidamento.

Immaginiamo ora uno studente 2, con 7, 7–, 7+.
Con “+” = +0,25 e “–” = –0,25, i tre voti valgono 7,00, 6,75, 7,25: media 7,00.
Con “+” = +0,5 e “–” = –0,25, diventano 7,00, 6,75, 7,50: media 7,08, che, in talune scuole, spinge il voto finale a 7 con maggiore convinzione, o accende la discussione su un 7,5 se la scuola usa i mezzi punti nei periodi intermedi.

Questi esempi mostrano perché famiglie e studenti vedono a volte scostamenti fra media del registro e voto in pagella. Il “più” aiuta a fotografare sfumature di prestazione, ma non sostituisce il giudizio pedagogico complessivo. Nei verbali di scrutinio, il consiglio considera progressi, continuità, recuperi, partecipazione e tutto ciò che i criteri della scuola indicano come rilevante. Dove i criteri prevedono arrotondamenti, il “+” può fare la differenza; dove la scuola non espone più le medie nel registro per scelta organizzativa, il confronto si concentra su rubriche e prove.

Scrutini, arrotondamenti e credito: dove conta e dove no

Negli scrutini intermedi e finali, i voti ufficiali sono espressi in decimi. Il “più” non compare sul documento di valutazione; compare la cifra deliberata dal consiglio. Per ammissione alla classe successiva e all’Esame di Stato, contano le soglie minime in ciascuna disciplina e, nelle superiori, anche la media ai fini del credito. In questo quadro, il “più” è rilevante quando:

Si tratta di borderline fra due voti interi. Nelle classi in cui 6+ è equiparato a 6,5 o a 6,3, il suo peso può aiutare a consolidare il passaggio da 6 a 7 quando i criteri autorizzano l’arrotondamento.

Esiste una griglia deliberata con mezzi punti e segni che guida lo scrutinio. Se l’istituto stabilisce che “6,2–6,3 = 6+” e che “da 6,5 in su si valuta l’innalzamento”, il “più” diventa leva tecnica all’interno di una procedura collegiale.

Si calcola il credito scolastico nel secondo ciclo. La media finale in decimi influenza il credito; se la scuola usa decimali e mezzi in scrutini intermedi, un 7+ diffuso può suggerire al consiglio un 8 finale nelle materie di forza, con ricadute sulla banda di credito.

Viceversa, il “più” conta meno quando:

La scuola non ha una conversione chiara o quando il registro non espone le medie, per scelta didattica e per non alimentare ansie da calcolatrice. In questi casi, il percorso narrativo dello studente (progressi, recuperi, costanza) prevale sul calcolo millimetrico.

L’istituto adotta solo decimi e mezzi senza segni: qui 6,5 è più informativo di 6+, e il “più” scompare dal lessico quotidiano.

La primaria usa giudizi sintetici in pagella: i segni possono riapparire solo nella misurazione didattica (verifiche, esercizi), ma non hanno riflesso nel documento ufficiale.

In ogni scenario, il voto di comportamento e le assenze seguono logiche proprie indicate nei regolamenti interni; il “+” non cambia queste scale, ma può pesare indirettamente quando il consiglio legge in combinazione profitto e atteggiamento, specie nei casi di promozione con debiti o di non ammissione per carenze diffuse.

Cosa chiedere alla scuola e come leggere le griglie

Per capire quanto vale il “+” nella tua scuola, la strada più diretta è consultare i documenti ufficiali pubblicati sul sito dell’istituto: PTOF, criteri di valutazione di dipartimento, griglie di correzione, tabelle di conversione punteggi/decimi. Nei file relativi alle discipline si trovano spesso tabelle per intervalli con segni e mezzi punti. Dove non sia presente una tabella, i documenti generali chiariscono le regole di arrotondamento e la coerenza fra prove, percentuali e voti in decimi.

Quando manca una conversione esplicita, chiedere al coordinatore di classe o al docente della disciplina quale rubrica si applichi alle verifiche di quel trimestre. È buona pratica anche per i docenti specificare in calce alle prove la tabella di corrispondenza da punti o percentuali a voti in decimi, indicando se e come si usano segni e mezzi. Per studenti e famiglie questa chiarezza evita fraintendimenti su medie, recuperi, debiti e crediti.

Va ricordato che il valore di un segno è una scelta collegiale dell’istituto. Non può variare da alunno ad alunno o da verifica a verifica senza una base deliberata. Se si nota una discrepanza tra registro e tabelle, è legittimo chiedere come viene effettuata la conversione e quali criteri portano all’eventuale arrotondamento in scrutinio. Questa trasparenza è parte integrante della valutazione formativa e tutela tutti: studenti, famiglie e docenti.

Punto e misura: perché il “+” non è mai un dettaglio

Nel linguaggio quotidiano della scuola, il “+” sembra un segno leggero, ma racconta una sfumatura reale dell’apprendimento. Non vale sempre uguale, perché non deve: la valutazione è costruita per rispettare autonomia didattica, diversità delle prove, obiettivi, competenze e profili di uscita delle discipline. Dove il “più” è ancorato a tabelle approvate, sposta la media e contribuisce a decisioni più eque; dove è solo un promemoria di classe, diventa linguaggio professionale fra docenti per guidare feedback e recuperi.

Per studenti e famiglie la regola operativa è chiara: cercare la tabella, capire la conversione, leggere l’andamento oltre la cifra. Per le scuole, il compito è esplicitare criteri e rubriche in modo accessibile e stabile, così che un 6+ non sia mai un’indicazione ambigua, ma un dato trasparente che aiuta l’apprendimento e rende prevedibili gli esiti degli scrutini. In un sistema che chiede responsabilità e chiarezza, il “più” vale esattamente quanto la sua trasparenza.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: Ministero dell’Istruzione e del MeritoUSR Friuli Venezia GiuliaGazzetta UfficialeI.C. Amerigo Vespucci Vibo ValentiaI.C. VivonaOrizzonteScuola.

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