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Dove si butta il polistirolo da imballaggio: non sbaglierai più

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Dove si butta il polistirolo da imballaggio

Nei conferimenti domestici italiani, il polistirolo da imballaggio pulito e vuoto si getta nella raccolta della plastica. È la regola operativa che vale nella stragrande maggioranza dei Comuni, perché si tratta di un imballaggio in materiale plastico, tecnicamente PS 6 o EPS (polistirene espanso), che rientra nel circuito nazionale dedicato al recupero degli imballaggi in plastica. Quando invece l’imballo è sporco di residui alimentari o unto in modo evidente, la scelta corretta è il secco residuo/indifferenziato, per non contaminare la raccolta e non mettere in difficoltà gli impianti. Se i pezzi sono molto voluminosi, come i blocchi bianchi che proteggono TV o frigoriferi, molti Comuni invitano a portarli al centro di raccolta o isola ecologica: è un gesto che aiuta logistica e qualità del riciclo.

A orientare il gesto quotidiano ci sono cinque coordinate semplici: chi conferisce sono i cittadini, cosa si conferisce sono esclusivamente imballaggi in polistirolo, quando si conferisce è il giorno previsto dal calendario locale della plastica o in alternativa durante gli orari dell’ecocentro, dove si conferisce è nel sacco o bidone della plastica o nell’area dedicata dell’isola ecologica, perché l’obiettivo è recuperare materiale riducendo scarti, ingombri e costi ambientali. La regola comunale prevale sempre: per questo è prudente una verifica sul vademecum locale, ma come linea guida nazionale l’imballaggio in polistirolo pulito segue la filiera della plastica.

Identikit del materiale e regola pratica per la casa

In passato, già vi abbiamo spiegato dove buttare il polistirolo normale. Ebbene, il polistirolo che troviamo nei pacchi o nelle scatole di elettrodomestici è quasi interamente aria, tenuta insieme da una struttura in polistirene. Questo spiega perché è leggerissimo e al tempo stesso ingombrante. La sua leggerezza non deve ingannare: è un imballaggio plastico a tutti gli effetti e quindi entra di diritto nella raccolta dedicata. Nella pratica domestica, la regola che evita dubbi è sintetica: se è imballaggio, asciutto, privo di residui e ridotto di volume, va nella plastica. La presenza di briciole, salse o unto cambia lo scenario perché i residui attirano odori e sporcano il materiale, compromettendone il successivo trattamento. In quel caso è più corretto usare il secco residuo.

Sulle confezioni alimentari, per esempio i vassoi bianchi per carne o formaggi, conviene leggere il pittogramma con il materiale: spesso c’è scritto PS o EPS, talvolta è indicato solo “plastica” con codici grafici. Se il vassoio è pulito (ovvero non imbevuto di sugo o oli), dopo aver rimosso pellicole, assorbenti e etichette quando possibile, il conferimento nella plastica è la soluzione standard adottata da gran parte dei calendari di raccolta. Quando invece il vassoio è sporco e non recuperabile con una semplice passata di carta, si sceglie l’indifferenziata. Non serve lavare a fondo sotto l’acqua corrente: l’idea del riciclo non è spostare l’impatto dall’impianto al rubinetto, ma evitare contaminazioni. Una rapida valutazione visiva basta a prendere la decisione giusta.

I blocchi protettivi che arrivano con prodotti tecnologici, i pannelli e gli angolari di EPS che custodiscono elettrodomestici o mobili, e le “patatine” di riempimento del packaging seguono la stessa logica: se sono imballaggi e sono puliti, vanno nella plastica. Qui entra in gioco un dettaglio utile per chi compra spesso online: quelle “patatine” possono essere in polistirolo oppure in amido di mais compostabile, di solito riconoscibili dal tatto e, soprattutto, dal marchio di compostabilità stampato sul sacchetto o sul documento di consegna. Se c’è un marchio ufficiale di compostabilità riconosciuto e l’indicazione è chiara, le “patatine” a base di amido vanno nella raccolta dell’organico; altrimenti, se sono in EPS, nella plastica, purché pulite. In assenza di indicazioni, meglio non improvvisare: l’imballaggio in EPS è il caso più frequente.

Cosa finisce davvero nella plastica e cosa scivola nel secco

Nel flusso della plastica domestica rientrano gli imballaggi in polistirolo, non gli oggetti. Questo discrimine, spesso trascurato, è fondamentale. Un imballaggio è ciò che contiene, protegge o consente il trasporto di un bene: i blocchi bianchi delle spedizioni, i vassoi per alimenti, gli inserti sagomati dentro le scatole. Se invece parliamo di oggetti in polistirolo non qualificati come imballaggi — ad esempio elementi decorativi, pezzi di bricolage, palline per riempire cuscini, sagome scolastiche — il canale domestico della plastica non è quello giusto e, in assenza di raccolte dedicate, la destinazione è il secco residuo. Il motivo è giuridico e tecnico: la raccolta urbana della plastica è organizzata per imballaggi, non per ogni oggetto in plastica; per gli impianti è necessario un input omogeneo.

Rientrano nella plastica anche quei coperchi, vaschette e contenitori marchiati PS che svolgono funzione di imballaggio. È buona norma separare le componenti diverse: la pellicola superiore in genere ha un materiale differente (PP o PET) rispetto al vassoio e, se il Comune adotta il conferimento “multi-materiale leggero”, va comunque insieme nel sacco della plastica; se invece il Comune richiede la separazione, si segue la tabella locale. Quando la confezione è composta — per esempio vaschetta in polistirolo, film in plastica e cartoncino esterno — si rimuovono le parti senza forzare incollaggi che rovinerebbero tutto. Se l’operazione è semplice, si fa; se non lo è, l’impianto effettuerà le separazioni meccaniche accettando una piccola tolleranza.

C’è poi il capitolo sporco. Il polistirolo usato nel settore ittico, come le cassette del pesce, è un caso tipico. In molti Comuni le cassette professionali seguono canali dedicati di recupero gestiti dagli operatori del mercato o dalla filiera, perché sono voluminose, spesso maleodoranti e con residui organici. Nel contesto domestico, quando a casa resta un imballaggio in EPS fortemente impregnato di odori e liquidi, la via maestra è il secco residuo o il conferimento all’isola ecologica se previsto. Le tracce leggere di umidità o odore non sono un problema; i residui consistenti sì. La regola d’oro è proteggere la qualità della raccolta: meglio un pezzo problematico nell’indifferenziata che una borsa di plastica compromessa.

Per i grandi volumi post-trasloco o dopo l’arrivo di più elettrodomestici, la soluzione pratica è il centro di raccolta. Alcuni gestori richiedono che il materiale sia ridotto di volume; altri mettono a disposizione compattatori o aree di conferimento separate. Presentarsi con imballaggi puliti e senza altri materiali accoppiati semplifica l’accettazione. Se si hanno dubbi, una telefonata al numero verde del gestore locale evita viaggi a vuoto e indica l’orario meno affollato.

Come funziona la filiera: perché conviene riciclare l’EPS

Capire dove conferire è più facile se sappiamo perché conviene farlo. Il polistirolo espanso è composto per circa il 98% di aria: questo lo rende un eccellente isolante e un ottimo assorbitore di urti, ma crea criticità nel trasporto. Le piattaforme di selezione e riciclo adottano varie tecnologie per ridurre la densità: dai sistemi che compattano meccanicamente i pezzi, ai densificatori che, con calore e pressione, trasformano i fiocchi in lingotti o mattonelle facilmente stoccabili. Questi semilavorati vengono inviati a trasformatori che li macinano e li ri-estrudono in granuli o profili, destinati a nuove applicazioni: cornici, battiscopa tecnici, appendiabiti, componenti per l’isolamento, segmenti di packaging riciclato. In alcuni casi, il materiale ritorna a vita come HIPS o altre mescole, in blend studiati per garantire prestazioni precise.

Il punto è la qualità in ingresso. Un EPS ben separato, asciutto e privo di contaminanti ha valore. Un EPS sporco, misto a organico o frammentato in polvere si trasforma in un costo. Qui torna l’importanza del gesto domestico: svuotare, separare, schiacciare senza polverizzare, evitare che il vento disperda pallini o briciole. I gestori rilevano in ingresso parametri come umidità, percentuale di scarto e omogeneità del carico; più il cittadino collabora, più la filiera funziona. È un patto a due vie: la logistica pubblica si attrezza con calendari chiari, bidoni adeguati e isole ecologiche organizzate; chi conferisce segue istruzioni semplici e coerenti.

Esiste anche il capitolo economico-ambientale. Il recupero dell’EPS riduce il fabbisogno di materia vergine e gli impatti legati all’estrazione di risorse fossili usate per produrre il polistirene. In parallelo, un conferimento corretto riduce la quota di indifferenziata e quindi i costi di trattamento (trasporto, incenerimento o discarica), che alla fine ricadono sui cittadini attraverso la tariffa rifiuti. In un contesto urbano, differenziare bene l’EPS significa anche migliorare il decoro: chi ha visto un bidone della plastica “intasato” da grandi pezzi interi sa quanto sia più efficiente ridurre a pezzi il materiale prima di buttarlo.

C’è infine il tema delle microplastiche. L’EPS non si dissolve, ma se sbriciolato produce pallini che possono finire nei tombini o negli spazi verdi. Evitare di rompere e spargere i pezzi, usare un sacco chiuso e, se si lavora all’aperto, raccogliere con cura gli avanzi, sono attenzioni minime ma determinanti. La differenziata non è solo un atto burocratico: è un comportamento ambientale che inizia in casa e prosegue nel tragitto fino al bidone.

Dilemmi quotidiani, errori diffusi e come evitarli

Uno degli errori più comuni è confondere imballaggio e oggetto. Un soprammobile in polistirolo o i riempitivi di cuscini e pouf non sono imballaggi: non vanno nella plastica domestica, bensì nel secco residuo, a meno che non si utilizzi il centro di raccolta per volumi importanti. Questo perché il circuito urbano degli imballaggi è tarato su materiali standardizzati e controllati, non su manufatti di qualunque forma e composizione. La regola vale anche al contrario: un imballaggio in PS sporco non “si converte” in umido solo perché lo sporco è organico. Il compost accetta solo materiali compostabili certificati; il polistirolo non lo è.

Altri dubbi riguardano le accoppiate. Capita di ricevere un imballo con EPS e cartone incollati o fascettati insieme. La regola sensata è: separare ciò che si separa senza sforzo, evitando di strappare o creare frammenti. La parte in carta andrà nella carta, quella in EPS nella plastica. Quando l’accoppiata è stabile e non separabile senza danneggiare, non bisogna accanirsi: l’impianto farà la sua parte. Il buon senso è una risorsa preziosa anche nella differenziata.

C’è poi il tema delle etichette e degli assorbenti nelle vaschette alimentari. Le etichette adesive sono tollerate in piccole quantità nel flusso plastica, ma se si staccano con un gesto è meglio rimuoverle. Gli assorbenti per carne e pesce non sono plastica riciclabile domestica: si buttano nel secco residuo. La pellicola superiore, che può essere in PET, PP o altri polimeri, in molte città viaggia comunque insieme alla plastica domestica; dove si chiede distinzione, la si segue. L’importante è non lavare le vaschette con acqua e detersivo, pratica che non aggiunge qualità al riciclo e consuma risorse.

Un altro abbaglio diffuso riguarda le “patatine” di riempimento. Alcune si sciolgono in acqua perché sono in amido; non è un test consigliato per casa, ma è utile sapere che materiali diversi esistono. Se la confezione o il documento del corriere riportano la dicitura compostabile con marchi ufficiali, allora l’organico è la destinazione corretta; in caso contrario, si tratta quasi sempre di EPS e si segue la plastica. Quando sono sporche o contaminate da polveri o liquidi, meglio l’indifferenziata per quel lotto.

Capita anche il caso opposto: chi fa tutto giusto ma non riduce i volumi. L’EPS occupa spazio e rischia di far traboccare il bidone. Qui sta la differenza tra un conferimento corretto e uno ottimale. Corretto è mettere il pezzo intero di imballaggio nel sacco della plastica. Ottimale è romperlo in porzioni grandi, contenere gli sfridi in una busta secondaria e comprimere l’aria senza frantumare in briciole. Il tutto con un occhio al vicinato: il rispetto passa anche dal non saturare un servizio condiviso.

Infine, un aspetto spesso sottovalutato: gli orari e i contenitori. Non tutti i Comuni usano lo stesso colore per la plastica. C’è chi adotta il sacco giallo, chi il bidone blu, chi un mastello dedicato con etichetta plastica, chi il multimateriale leggero dove plastica e metalli vanno insieme. La parola d’ordine è coerenza. Se in casa si adotta un sistema di pre-selezione — un contenitore per la plastica vicino alla cucina — si evita di “sbagliare secchio” all’ultimo secondo, soprattutto nelle serate di conferimento.

Casa, condominio, negozi: stesse regole, approcci diversi

In contesto domestico la partita si gioca sul gesto ripetuto, quasi automatico, che rispetta la regola base: imballaggi in EPS puliti nella plastica, sporchi nell’indifferenziata, volumi ridotti quando possibile, isola ecologica per carichi abbondanti. In condominio, il tema diventa coordinamento: il polistirolo da imballaggio di un singolo fa poca differenza; quello di quattro traslochi nello stesso weekend può intasare la raccolta. Qui è utile avvisare l’amministratore o il portierato, concordare un conferimento straordinario o usare l’isola ecologica. Alcuni condomìni, soprattutto nelle città più grandi, hanno un locale rifiuti con gabbie o big-bag dedicate agli imballaggi voluminosi: rispettarne l’uso evita sanzioni e incomprensioni.

Nei negozi e nelle piccole attività il polistirolo da imballaggio è più frequente, specie nella vendita di elettronica, elettrodomestici o arredi. Qui la regola degli imballaggi vale allo stesso modo, ma entra in campo la tracciabilità dei rifiuti quando i volumi superano la normale soglia domestica. Molti operatori usano compattatori o densificatori per ridurre l’ingombro e conferiscono attraverso ritiri programmati. Chi gestisce un’attività commerciale dovrebbe informarsi presso il gestore locale o la propria associazione di categoria sugli eventuali servizi dedicati, evitando di riversare grandi quantità nel circuito domestico condominiale.

Un capitolo a parte riguarda i corrieri e chi riceve resì. I grandi marketplace hanno iniziato a ridurre l’uso di EPS, sostituendolo con soluzioni in carta e cartone. Tuttavia, l’EPS resta una soluzione efficace per prodotti fragili. Quando rispediamo un reso, è positivo riutilizzare l’imballaggio in polistirolo. Il riuso è la forma più immediata di prevenzione del rifiuto, specialmente se l’oggetto è atteso da un nuovo acquirente e l’imballo ne garantirà l’arrivo intatto. Se il riuso non è possibile, si torna alle regole di conferimento già viste.

Gestione consapevole: piccoli gesti che contano ogni giorno

Il percorso virtuoso parta da una domanda semplice che ci facciamo mentalmente davanti al secchio: è imballaggio? è pulito? posso ridurne il volume senza sbriciolarlo? se la risposta è sì, va nella plastica. Se è sporco in modo irrecuperabile, si sceglie il secco residuo; se i pezzi sono tanti o ingombranti, si preferisce l’isola ecologica. In mezzo, ci sono scelte ragionevoli: separare componenti diverse quando è facile, non lavare inutilmente, non creare microframmenti, non saturare il bidone condominiale. Non serve essere esperti di polimeri: serve attenzione.

La certezza nasce anche dal linguaggio. Chiamarlo polistirolo o polistirene, EPS o PS 6, non cambia la sostanza per il cittadino: quando parliamo di imballaggi la strada è la plastica. La filiera fa il resto, a patto che il materiale in ingresso sia adeguato. L’idea che “tanto va tutto insieme” è il più dannoso dei luoghi comuni: i numeri mostrano che la qualità della raccolta migliora quando le regole sono poche, chiare e ripetute. Ognuno di noi, con un gesto che dura due secondi, fa la sua parte in una catena lunga che trasforma un rifiuto leggero e ingombrante in nuovo materiale.

C’è anche un aspetto culturale. L’EPS ha accompagnato l’Italia dei consumi per decenni: nelle case, nei negozi, nei mercati. Oggi la sfida è usarlo meglio, smaltirlo correttamente, sostituirlo quando esistono alternative davvero equivalenti, e chiudere il cerchio quando l’abbiamo tra le mani. Non serve eroismo, bastano abitudini. La differenziata non è mai perfetta, non lo è in nessuna città del mondo; ma è migliorabile con una comunicazione coerente e con cittadini che si fidano delle regole e le applicano.

Una regola chiara che facilita la vita

In definitiva, il percorso è lineare: imballaggi in polistirolo puliti nella plastica, sporchi nel secco residuo, volumi grandi al centro di raccolta. La verifica del calendario comunale e una lettura rapida dei simboli in etichetta tolgono gli ultimi dubbi. Il resto lo fanno attenzione, coerenza e buon senso.

È una scelta quotidiana che libera spazio nei bidoni, migliora la qualità della raccolta, tiene in ordine il condominio e aiuta la filiera del riciclo a lavorare meglio. Ogni volta che chiudiamo il sacco della plastica con dentro l’EPS giusto, stiamo già facendo circolare materia: un gesto minuto che, moltiplicato per milioni di mani, produce un risultato concreto.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: COREPLAAMSAGruppo HeraISPRAARPA FVGComune di Roma.

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