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Chi ha vinto le elezioni in Toscana? Ecco il risultato finale

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Chi ha vinto le elezioni in Toscana

La Toscana ha confermato la propria guida: Eugenio Giani è stato rieletto presidente della Regione nella tornata del 12-13 ottobre 2025, battendo Alessandro Tomasi e Antonella Bundu. Il risultato è netto: circa il 55% dei consensi al candidato del centrosinistra, attorno al 40% al candidato del centrodestra e circa il 5% alla sinistra di Toscana Rossa. L’affluenza si ferma al 47,7%, quasi quindici punti in meno rispetto al 2020, e il Partito Democratico risulta prima forza davanti a Fratelli d’Italia.

Il quadro si è delineato in poche ore di spoglio: proiezioni convergenti e sezioni scrutinate a ritmo continuo hanno consolidato il vantaggio dell’uscente, confermando una seconda vittoria che assicura continuità amministrativa alla Regione. Per gli elettori toscani significa l’avvio di un secondo mandato orientato su sanità, infrastrutture, transizione energetica e lavoro qualificato. In parallelo, il crollo della partecipazione diventa tema politico centrale per tutti i partiti.

Risultati, numeri, contesto: perché ha vinto Giani

La coalizione guidata da Giani ha tenuto insieme il baricentro riformista del PD, la lista del presidente e gli alleati dell’area progressista, con un profilo di governo presentato come stabile, pragmatico e riconoscibile. Il divario di oltre dieci punti su Tomasi racconta una competizione dove la credibilità amministrativa ha pesato più delle dinamiche nazionali del consenso. Sulle liste, i dem si confermano prima forza regionale; Fratelli d’Italia guida il centrodestra ma non colma lo scarto complessivo, mentre Lega e Forza Italia arretrano o restano marginali a seconda delle aree. La componente di sinistra riconducibile a Toscana Rossa si attesta su una quota intorno al 5%, con un ruolo prevalentemente programmatico.

Il voto arriva a distanza di cinque anni dalla tornata 2020, ribadendo un paradigma che in Toscana resta decisivo: quando la sfida si gioca sui dossier locali (liste d’attesa in sanità, trasporti regionali, pianificazione territoriale, filiere produttive), gli elettori premiano la competenza percepita dell’uscente. In questo quadro, la campagna di Giani ha lavorato su un messaggio di continuità con correzioni, promettendo accelerazioni concrete su prenotazioni sanitarie, opere strategiche e politiche energetiche orientate alle comunità rinnovabili. Dall’altra parte, Tomasi ha puntato su sicurezza, fisco locale, tempi d’attesa e riequilibrio territoriale, ma il suo profilo, pur solido come sindaco di Pistoia, non ha scardinato la mappa del consenso nei capoluoghi più popolosi.

Il dato decisivo rimane l’affluenza: meno di un elettore su due si è recato alle urne. Questa cifra non intacca la legittimità del risultato, ma pesa nell’analisi perché rende evidente una stanchezza civica e una distanza tra cittadini e istituzioni regionali. È una frattura che il nuovo esecutivo dovrà provare a sanare con decisioni misurabili, tempi certi e accountability pubblica, altrimenti rischia di trasformarsi in assuefazione all’astensione.

I protagonisti e le proposte: profili, temi, promesse

Eugenio Giani, amministratore di lungo corso, ha impostato la corsa su alcune priorità pratiche: sanità pubblica più accessibile, mobilità più efficiente nei nodi critici e attrazione di investimenti a valore aggiunto nelle filiere toscane. La sua narrazione del “modello toscano” ha insistito su indicatori sanitari da riportare in quota, servizi territoriali da potenziare e governo dei fondi europei da finalizzare senza ritardi. La promessa è ridurre le liste d’attesa, spingere su digitalizzazione e medicina di prossimità, e sciogliere nodi annosi come il nodo ferroviario dell’area fiorentina e il tema del sistema aeroportuale.

Alessandro Tomasi, volto del centrodestra unito, ha provato a capitalizzare il vento nazionale favorevole alla coalizione guidata da Fratelli d’Italia, costruendo un messaggio orientato a sicurezza, imposte locali, infrastrutture e sussidiarietà. L’idea di fondo: riaccendere la concorrenza politica anche in aree considerate storicamente orientate al centrosinistra. Lo scarto finale dice che il tentativo ha allargato la base del centrodestra, ma non abbastanza da vincere: la chiave urbana e la componente giovanile restano segmenti dove il centrodestra non sfonda con la stessa facilità con cui cresce nella fascia produttiva e nelle periferie.

Antonella Bundu, con la lista Toscana Rossa, ha riportato al centro del dibattito lavoro, diritti sociali, casa, costo della vita. La sua campagna, fortemente identitaria, ha parlato a un elettorato militante e coerente, portando in dote una rappresentanza che, numericamente contenuta, ha però spostato l’asse del confronto su temi sociali spesso sacrificati dall’usura del dualismo tra i due poli maggiori.

Il risultato complessivo consegna al Consiglio una maggioranza riconducibile al campo largo con un margine stabile, utile a varare una Giunta capace di tenere insieme continuità e aggiustamenti. Per i partiti, i segnali non sono secondari: PD saldo al comando in regione, FdI primo partito del centrodestra ma senza la spinta necessaria nei grandi centri, M5S più defilato rispetto alle stagioni d’esordio ma comunque decisivo per la vittoria in alcune aree urbane, Verdi e Sinistra determinanti per profilo e numeri.

La mappa del voto: dove si è decisa la partita

La geografia elettorale disegna pattern riconoscibili. Firenze si conferma zoccolo duro del centrosinistra, con un radicamento che si intreccia a università, sanità d’eccellenza, amministrazione pubblica e terziario avanzato. Pisa, Livorno, Siena e Prato contribuiscono al vantaggio di Giani, anche quando il confronto è serrato quartiere per quartiere. Nel quadrante nord-occidentale, fra Lucca, Massa-Carrara e parte della piana, il centrodestra mostra muscoli, ma non abbastanza da ribaltare l’esito nei capoluoghi a più alta densità.

Arezzo e Grosseto raccontano un voto più competitivo, con bacini produttivi dove l’offerta del centrodestra intercetta imprese, artigianato e logistica. La somma, però, pende comunque sulla bilancia del centrosinistra grazie all’ampiezza del margine nei capoluoghi e nelle conurbazioni più popolose. La disomogeneità dell’affluenza ha inciso: province sopra la media hanno tendenzialmente rafforzato Giani, quelle sotto la media hanno offerto ossigeno a Tomasi, ma senza invertire l’inerzia.

Dentro le città, il voto ha seguito linee sociali leggibili. Nei quartieri con forte presenza di studenti, ricercatori, professionisti del pubblico impiego e del terziario avanzato, la proposta riformista ha tenuto. Nelle periferie produttive e nelle cinture artigiane, il centrodestra ha raccolto voti su sicurezza, tasse locali e tempi delle opere. Il saldo finale dimostra che, nelle competizioni regionali, governare resta spesso la migliore campagna elettorale quando si riesce a proiettare affidabilità sul medio periodo.

L’affluenza ai minimi: cosa significa quel 47,7%

Il numero che ha fatto discutere per tutta la giornata è il 47,7% di partecipazione. Significa che meno di un elettore su due ha ritenuto di recarsi alle urne. Rispetto al 62,6% del 2020, è una caduta verticale che merita una lettura non rituale. Le cause sono molteplici. Pesa una campagna breve, con toni generalmente sobri e un confronto tecnico poco capace di accendere un sentimento di urgenza. Incide la percezione che la Regione non abbia leve dirette su salari, inflazione e caro-vita, temi oggi dominanti nell’agenda quotidiana delle famiglie. Conta anche la calendarizzazione: il voto su due giorni con chiusura lunedì alle 15 non ha aiutato chi era indeciso o impegnato.

Questa astensione, tuttavia, non è uniforme. Alcune aree urbane hanno tenuto sopra la media, altre hanno segnato minimi storici. L’effetto netto sembra aver penalizzato soprattutto il voto intermittente, quello che si attiva solo quando avverte cambiamenti imminenti o rischio di alternanza. Non è stato il caso toscano 2025: la riconferma dell’uscente era una possibilità percepita da settimane. Eppure, la soglia psicologica del 50% non superata non può essere archiviata come una ruga statistica. Per il secondo mandato, Giani ha ora anche un mandato civico: ricucire il rapporto con chi non ha votato, semplificare l’accesso ai servizi, misurare e comunicare risultati concreti in tempi brevi.

Il punto è pratico: meno partecipazione significa meno legittimazione sociale delle scelte difficili. La risposta non può essere solo comunicativa. Servono procedure più semplici, trasparenza sugli obiettivi, monitoraggi pubblici e coinvolgimento delle comunità locali. Il voto lo ha detto in modo molto chiaro: le persone vogliono vedere cambiamenti verificabili, non slogan.

Cosa cambia adesso: sanità, infrastrutture, energia, lavoro

La rielezione apre la fase operativa. In sanità, l’impegno è aggredire le liste d’attesa con strumenti concreti: agende uniche digitali per prenotazioni più rapide, estensione degli orari nelle strutture pubbliche, rinforzo degli organici nelle specialità critiche, integrazione ospedale-territorio attraverso case di comunità e medicina di gruppo. Il tema è sensibile, perché le code per visite e interventi hanno un impatto sociale elevato e misurabile, e saranno il banco di prova dei primi 100 giorni.

Sul fronte infrastrutturale, la priorità è sciogliere i nodi che rallentano cittadini e imprese. Il nodo ferroviario fiorentino rimane il dossier più simbolico per velocizzare l’asse tirrenico-adriatico e alleggerire i collegamenti regionali. La dorsale tirrenica, i raccordi con i corridoi europei, la logistica portuale e il sistema aeroportuale chiedono decisioni coordinate con il Governo centrale e le imprese pubbliche nazionali. Qui il capitale politico di una riconferma può fare la differenza nel passare dai tavoli tecnici ai cantieri.

La transizione energetica entra nella fase di scala. Comunità energetiche rinnovabili nei distretti produttivi della piana, fotovoltaico su tetti pubblici e privati, riqualificazione energetica di scuole e ospedali, semplificazioni per autorizzazioni nei siti idonei: sono tutti tasselli di una strategia che può ridurre bollette, migliorare la qualità dell’aria e sostenere il made in Tuscany in filiere energivore come carta, vetro, ceramica e meccanica. La leva regionale è accompagnare gli investimenti con regole chiare e tempi certi.

Sul lavoro, la Toscana si gioca molto fra manifattura diffusa e servizi avanzati. La ricetta passa da ITS e università più connessi alla domanda delle imprese, reskilling per lavoratori in transizione, sportelli unici realmente efficaci per chi investe, attrazione di centri di ricerca legati alle filiere strategiche: farmaceutica, moda, nautica, technologies for life. L’obiettivo è consolidare posti di lavoro stabili e qualificati, evitando che la transizione industriale si traduca in perdita di competenze.

C’è poi il tema casa nelle città universitarie e turistiche: residenzialità studentesca, rigenerazione urbana, ERP, incentivi per riqualificare l’esistente senza snaturare i quartieri. Anche qui servono compassi precisi: più alloggi a canone sostenibile, meno burocrazia, attenzione al commercio di prossimità e alle famiglie che non rientrano nei criteri dell’edilizia popolare ma faticano a reggere i canoni di mercato.

Il confronto con il 2020 e il messaggio nazionale

Il 2025 non è il 2020. Allora, Giani vinse su Susanna Ceccardi in un contesto di affluenza più alta e con una Lega molto competitiva in Regione. Oggi la fotografia è diversa: Fratelli d’Italia è il motore del centrodestra, la Lega non replica più i picchi di cinque anni fa, e il PD torna centrale nel perimetro progressista con una coalizione più ordinata. Il margine di quest’anno, pur in un mare di astenuti, è più confortevole per l’uscente. Segno che, in assenza di fratture locali, la tradizione amministrativa toscana resta un vantaggio competitivo per il centrosinistra.

A Roma, il segnale è doppio. Il centrodestra tiene e consolida in molte aree del Paese, ma in Toscana non sfonda se non trova una chiave urbana robusta e proposte credibili sul welfare locale. Il campo largo, quando è coeso e si presenta con una leadership riconosciuta, è competitivo. Il messaggio vale anche per le opposizioni: la pluralità di liste funziona solo se tradotta in accordi programmatici che non siano un collage, ma un percorso di governo con priorità esplicite e misurabili.

Il confronto fra dinamiche nazionali e specificità regionali resta centrale. La Toscana conferma che, quando si vota per il governo del territorio, contano la qualità dei servizi, la capacità di spesa dei fondi già stanziati e la credibilità di chi guida processi complessi. In altre parole: i cittadini giudicano se una Regione funziona. E nei prossimi mesi si aspettano risultati tangibili più dei toni della dialettica politica.

Le prossime mosse: squadra, metodo, tempi

La proclamazione degli eletti aprirà la partita della Giunta. La bussola sembra chiara: continuità nei dicasteri chiave, qualche segnale politico agli alleati, un metodo di lavoro più orientato a obiettivi trimestrali pubblici e misurabili. In sanità servirà un assessorato forte, con strumenti per smaltire arretrati e riequilibrare la distribuzione territoriale delle prestazioni. Sulle infrastrutture, una cabina di regia con RFI, Anas, Autorità portuali e ministeri può velocizzare decisioni spesso incagliate fra pareri, VIA e varianti.

La tenuta finanziaria non è un dettaglio. Il capitolo sanità assorbe gran parte del bilancio regionale e le pressioni su personale, energia e beni sanitari non si sono dissolte. Occorre una programmazione che tenga insieme conti e qualità: priorità chiare, monitoraggio pubblico dei tempi e trasparenza sugli scostamenti. È anche così che si ricostruisce fiducia presso chi non ha votato.

Il rapporto con Palazzo Chigi sarà un test. Accordi istituzionali su opere e procedure possono trasformare annunci in cantieri, a patto di superare il ping pong burocratico. La Toscana non cerca bandiere, cerca soluzioni. Chi governa dovrà parlare il linguaggio dei cronoprogrammi e dei risultati.

Una Regione che chiede fatti: la rotta del secondo mandato

Il verdetto delle urne, al netto dell’astensione, è semplice: la Toscana ha scelto continuità e ha chiesto, con la stessa chiarezza, cambiamenti visibili nella qualità dei servizi e nella velocità delle decisioni. Eugenio Giani vince perché incarna stabilità, memoria amministrativa e una coalizione capace di parlare ai capoluoghi. Alessandro Tomasi consolida il peso del centrodestra in aree chiave ma non sfonda dove si decide la partita, nei grandi centri. Antonella Bundu tiene accesi i fari sulla questione sociale, che resta il sottofondo reale della fase.

Da qui si riparte. Chi ha vinto le elezioni in Toscana dovrà ora misurarsi con la parte che conta: ridurre le liste d’attesa, sciogliere nodi infrastrutturali bloccati da anni, far correre le comunità energetiche, rafforzare formazione e lavoro di qualità, intervenire sul caro-casa nelle città dove studenti e lavoratori si contendono pochi alloggi. I passaggi sono concreti, a portata di misurazione pubblica. La sfida, più che politica, è manageriale: mettere in fila priorità, tempi, responsabilità. Perché la Toscana che ha rinnovato la fiducia chiede risultati, e li chiede in tempo utile. E in un’epoca di partecipazione fragile, è proprio la concretezza a trasformare una vittoria elettorale in buon governo.


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