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Chi è Incoronata Boccia e cosa ha detto su Hamas e Israele

Incoronata Boccia è una giornalista televisiva italiana cresciuta professionalmente in Rai e oggi direttrice dell’Ufficio Stampa del servizio pubblico. In passato vicedirettrice del Tg1, è un profilo che unisce esperienza di redazione, conduzione e management della comunicazione. La sua figura è tornata al centro del dibattito nazionale dopo nuove dichiarazioni sul conflitto tra Hamas e Israele, pronunciate in un contesto istituzionale e divenute immediatamente un caso mediatico e politico.
Nel suo intervento pubblico a Roma il 13 ottobre 2025, Boccia ha sostenuto che una parte dell’informazione avrebbe fatto proprie le narrazioni di Hamas e ha affermato che “non esiste una sola prova” che l’esercito israeliano abbia mitragliato civili inermi. Parole nette, rilanciate in poche ore dalle principali testate e dai social, che hanno scatenato reazioni contrapposte: richieste di chiarimento e di valutazione sulla compatibilità di quelle affermazioni con il ruolo apicale che ricopre nella Rai, ma anche prese di posizione in difesa della libertà di opinione e del diritto di criticare il sistema dei media.
Profilo biografico e percorso professionale
Nata ad Abbasanta in Sardegna agli inizi degli anni Ottanta, Boccia costruisce presto il proprio legame con l’informazione. Dopo la maturità si trasferisce a Roma, dove si laurea in Scienze della Comunicazione all’Università La Sapienza. In Rai entra giovane, fra la fine degli anni Duemila e l’inizio del decennio successivo, attraversando redazioni e programmi fino a imporsi come volto e firma di taglio generalista. Il primo apprendistato sul campo matura nella Tgr Sardegna, la testata regionale del servizio pubblico, dove si forma sui temi del territorio, della cronaca e della politica locale.
In pochi anni il passaggio nelle newsroom nazionali la colloca tra i profili in ascesa. La cifra è quella di una giornalista molto attenta alla costruzione del messaggio e alle regole della televisione: ritmo, parole chiave, immagini. È presente in contenitori d’informazione e in programmi d’approfondimento, fino ad assumere responsabilità di coordinamento nelle strutture editoriali. Il salto arriva in via Teulada e poi a Saxa Rubra, con la promozione a vicedirettrice del Tg1: un ruolo nel cuore della macchina delle news, dove si gestiscono scalette, finestre in diretta, corrispondenze e la sensibilissima liturgia della prima edizione serale.
Nel 2025 la carriera imbocca una nuova curva: il Consiglio di amministrazione della Rai le affida la direzione dell’Ufficio Stampa. È una posizione diversa per natura e responsabilità: non più titoli e servizi, ma reputazione e relazioni. La struttura che guida è la cerniera fra Viale Mazzini e l’ecosistema informativo esterno; traduce all’opinione pubblica, ai giornali e ai broadcaster le decisioni dei vertici, gestisce le crisi e coordina comunicati, briefing, accrediti, strategie di risposta quando l’azienda finisce nell’occhio del ciclone. È un incarico che impone misura e ponderazione, perché ogni parola può essere letta come posizione dell’ente.
Dal Tg1 all’Ufficio Stampa Rai: cosa cambia con un incarico istituzionale
Il passaggio da vicedirezione del telegiornale alla guida dell’Ufficio Stampa non è un semplice avanzamento di carriera; è un cambio di linguaggio e di contesto. In una redazione, la priorità è produrre notizie: inquadrare i fatti, verificarli, confezionarli con il taglio appropriato. In un ufficio stampa dell’azienda più esposta del Paese, l’obiettivo è tutelare l’affidabilità del marchio Rai, gestire i tempi della comunicazione istituzionale, salvaguardare il pluralismo interno e tenere assieme aspettative spesso divergenti di politica, redazioni e pubblico.
Nel nuovo ruolo, Boccia diventa una figura di garanzia: presidia i flussi con le testate interne e i media esterni, concorda i messaggi chiave, calibra note e dichiarazioni. È un lavoro che si muove al confine tra comunicazione e diplomazia, soprattutto quando il tema riguarda il servizio pubblico e la sua neutralità. Ogni presa di posizione, anche personale, viene filtrata dall’interpretazione di chi rappresenta cosa in quel momento. Per questo, le esternazioni della direttrice non sono percepite come parole di un’analista qualsiasi, ma come affermazioni di un dirigente istituzionale.
Nelle settimane precedenti alle dichiarazioni su Hamas e Israele, l’Ufficio Stampa ha accompagnato le consuete attività della stagione autunnale: presentazioni di palinsesti, dossier su ascolti e share, gestione degli accrediti per eventi e speciali, supporto alla comunicazione delle direzioni Informazione, Approfondimento e Intrattenimento. Il profilo di Boccia, già conosciuto per la spiccata inclinazione al messaggio netto, entrava così in una funzione che chiede profilo basso e tessitura costante. La frizione fra stile personale e ruolo istituzionale è il punto in cui si colloca la vicenda di ottobre.
Le frasi su Hamas e Israele: contesto, parole, reazioni
L’occasione è un convegno istituzionale ospitato al Cnel a Roma, dedicato alla verifica dei fatti e alla narrazione del conflitto nel primo anniversario del 7 ottobre 2023. La platea riunisce esponenti del mondo ebraico organizzato, rappresentanti istituzionali, studiosi e giornalisti. Incoronata Boccia interviene con un discorso breve ma molto diretto. Nucleo dell’intervento: la critica al sistema dei media per aver amplificato contenuti e frame narrativi di Hamas senza sufficiente controllo.
Al centro resta una frase, più volte ripresa in video: «Non esiste una sola prova che l’esercito israeliano abbia mitragliato civili inermi». La direttrice parla di “suicidio del giornalismo” e, con un’iperbole che pesa come un macigno, assegna ad Hamas l’“Oscar per la miglior regia”. È la combinazione di tonalità e luogo a trasformare quelle parole in una miccia. In pochi minuti le agenzie battono il virgolettato; a ruota partono le reazioni politiche e quelle interne alla Rai.
Dove e quando sono state pronunciate
L’intervento è pubblico, ripreso e rilanciato. A renderlo notiziabile, oltre al tenore delle frasi, è il timing: il 13 ottobre 2025, giorno di rievocazione del trauma che ha segnato la storia recente del Medio Oriente e la vita della comunità ebraica. Il contesto è impegnativo per definizione; si discute di propaganda di guerra, di verifica e metodi. È in questa cornice che una dirigente del servizio pubblico, cioè chi custodisce la parola ufficiale dell’azienda, decide di entrare nel merito con un giudizio tranchant sulle responsabilità delle parti in conflitto e sul lavoro dei colleghi giornalisti.
Le reazioni politiche e dentro la Rai
La politica risponde a stretto giro. Partiti di opposizione chiedono chiarimenti sulla compatibilità tra quelle frasi e l’incarico apicale nell’Ufficio Stampa della Rai, evocando il rischio che l’intervento sia letto come posizione dell’azienda. Alcune voci interne alle redazioni del servizio pubblico, in particolare tra i sindacati dei giornalisti, domandano se la linea della direttrice coincida con una linea aziendale. Dall’altro lato, rappresentanti della maggioranza e commentatori vicini al centrodestra difendono Boccia in nome del pluralismo e della libertà di espressione, ricordando che criticare narrazioni non verificate è parte del mestiere.
La discussione, come spesso accade in questi casi, non si limita al merito delle affermazioni ma si sposta sul metodo istituzionale: fino a dove può spingersi un dirigente del servizio pubblico quando parla in pubblico di un tema così divisivo? Qual è la zona di legittima opinione e dove inizia la responsabilità del ruolo? La risposta non è solo giuridica; è anche culturale e riguarda il modo in cui l’Italia considera la neutralità del servizio pubblico nel racconto delle guerre e delle crisi internazionali.
Precedenti posizioni pubbliche e percezione del profilo
Il nome di Incoronata Boccia ha già incrociato la polemica nazionale nel 2024 per una presa di posizione sull’aborto che fece rumore. In un talk televisivo in onda sulla Rai, l’allora vicedirettrice del Tg1 definì l’aborto “un delitto, non un diritto”, citando Madre Teresa di Calcutta e invitando a “chiamare le cose con il loro nome”. Quella dichiarazione aprì immediatamente un fronte di discussione politica e mediatica, con reazioni durissime e difese altrettanto esplicite. L’episodio contribuì a consolidare l’immagine di una professionista dalla parola assertiva, poco incline a edulcorare le posizioni per ragioni di opportunità.
Quella traccia è rimasta nella percezione pubblica. Nel bene e nel male, Boccia viene spesso associata a un registro netto, capace di dividere. Per i detrattori, è la prova di una discontinuità con la prudenza che normalmente si chiede a chi guida settori strategici dell’informazione pubblica. Per i sostenitori, è l’esempio di una schiena dritta che non teme di criticare presunti conformismi del sistema comunicativo. Il punto, però, è la sovrapposizione fra stile personale e funzione istituzionale: quando la parola di un dirigente esce dall’ambito interno e si proietta nello spazio pubblico, l’interpretazione cambia. Quel che dice non è mai solo suo.
Nel profilo biografico trovano posto anche gli elementi di vita privata che spesso le cronache hanno richiamato: origini sarde marcate, una rete di relazioni professionali consolidate in anni di Rai, un legame stretto con il mondo dell’informazione regionale e nazionale. L’etichetta di “sarda” non è un dettaglio di colore; nei racconti dei colleghi pesa il richiamo a una cultura del lavoro concreta, scandita da tempi certi e attenzione ai dettagli. Chi ha collaborato con lei racconta una dirigente molto presente sulle scalette, sui toni, sul lessico, con una visione televisiva sviluppata dall’esperienza quotidiana di studio e newsroom.
Media, guerra e verifica dei fatti: cosa c’è in gioco davvero
Le frasi su Hamas e Israele toccano una questione cruciale: il modo in cui i media raccontano una guerra contemporanea, cioè combattuta anche attraverso immagini, frame e parole. In un teatro come Gaza, segnato da accessi limitati, da zone vietate ai giornalisti e da un flusso ininterrotto di materiali di parte, la verifica diventa una maratona quotidiana. La propaganda non è un sospetto: è una tecnica di guerra. Ogni redazione si misura con la stessa sequenza di domande operative: da dove arriva questo video, chi lo ha girato, come verifico la geolocalizzazione, che dicono i metadati, posso incrociare una fonte indipendente, quali condizionali inserire in testa e in coda?
Nel corso dell’ultimo anno, proprio per rispondere a queste criticità, molte testate hanno istituzionalizzato procedure più rigorose di fact-checking su contenuti di guerra: task force dedicate, workflow che impongono il doppio controllo su immagini non girate dai propri inviati, attese più lunghe prima della pubblicazione quando il danno da errore può essere altissimo. Non ovunque è stato possibile; il tempo dell’online spinge, i social moltiplicano la pressione e il pubblico si aspetta aggiornamenti in tempo reale. Ma lo sforzo di metodo è tracciabile, e un dibattito informato sulla qualità del racconto di Gaza non può prescindere da questi elementi concreti.
Dire che “non esiste una sola prova” circa specifiche condotte dell’Idf è una formula assoluta che, per sua natura, produce polarizzazione. Sul piano giornalistico, la discussione richiede distinzioni: cosa si intende per “prova”, quali sono le sedi idonee per accertarle, come si trattano in redazione accuse reciproche che arrivano da fonti interessate. È un compito che non ha glamour, ma è il cuore del lavoro informativo: separare ciò che è accertato da ciò che è presunto, chiarire cosa si sa e cosa non si sa, spiegare perché si pubblica o si decide di non pubblicare. Le redazioni che fanno questo on air e on line guadagnano credibilità; quelle che cedono alla fretta o al tifo la perdono, spesso in modo irreversibile.
L’intervento di Boccia intercetta proprio questa tensione. Critica il sistema per essere stato, a suo dire, troppo permeabile ai contenuti di Hamas e al tempo stesso contesta affermazioni sull’operato israeliano ritenendole non supportate. Al di là di come la si pensi, il dibattito utile è quello che riporta la questione al metodo: come si verificano le clip che arrivano dal campo, con quali standard, con quali tempi e con quali avvertenze per il pubblico. È qui che si misura la responsabilità di un media generalista, e a maggior ragione quella del servizio pubblico.
Ruolo istituzionale, libertà d’espressione e rischio d’ambiguità
Quando a pronunciare frasi così perentorie è la direttrice dell’Ufficio Stampa Rai, il piano della discussione non può che allargarsi. In Italia la Rai è infrastruttura civile, oltre che azienda: è luogo dove si formano le opinioni, si sommano memorie e si specchia il Paese. Ai suoi dirigenti si chiede professionalità e misura. La libertà di espressione resta un diritto pieno; ma nel caso di chi rappresenta l’istituzione, quella libertà convive con una responsabilità aumentata. Le parole di Boccia sono un banco di prova di questa convivenza: il diritto a criticare e prendere posizione non sparisce, ma deve fare i conti con la percezione pubblica di una voce ufficiale.
Questo equilibrio non è semplice. La zona grigia sta proprio nella sovrapposizione tra persona e funzione. Nelle aziende private, un responsabile comunicazione che interviene da un palco su un tema sensibile sa che la sua parola verrà letta come “corporate” anche se pronunciata “a titolo personale”. Nel servizio pubblico, la soglia è ancora più bassa: ogni parola rischia di diventare istituzionale per riflesso. Per questo molti ritengono che un dirigente dell’Ufficio Stampa debba mantenere un profilo più basso del resto del management, limitandosi ai canali formali e rifuggendo palchi e talk.
Dall’altra parte, chi difende Boccia sottolinea che un sistema dell’informazione vitale ha bisogno anche di voci controcorrente; che il conformismo può essere un rischio tanto quanto l’errore; che la funzione stessa del giornalismo è mettere in discussione e non solo allineare. La tensione fra queste due letture attraversa da anni il rapporto fra Rai e politica e, più in generale, il modo in cui l’opinione pubblica italiana attribuisce fiducia alle istituzioni dell’informazione.
Dati, cronologia e contenuti: cosa sappiamo in modo chiaro
Il profilo della giornalista si può fissare con alcuni punti fermi. Formazione a Roma, carriera iniziata nelle redazioni regionali e poi proseguita tra newsroom e approfondimento. Promozione a vicedirettrice del Tg1 nel 2023-2024 e, successivamente, nomina a direttrice dell’Ufficio Stampa Rai nel giugno 2025 nell’ambito di un pacchetto di nomine aziendali. Una presenza mediatica superiore alla media dei colleghi con incarichi analoghi, spesso legata a prese di posizione forti su temi eticamente sensibili e di politica internazionale.
Sul fronte personale, la biografia pubblica restituisce un’immagine coerente: radici sarde, una rete di relazioni maturate nel giornalismo regionale e nazionale, un lavoro costruito su ritmo televisivo, attenzione alle parole e cura del dettaglio operativo. È un profilo che negli ultimi due anni è passato dal dietro le quinte alla prima fila, imponendosi nella conversazione nazionale anche fuori dai confini classici della televisione.
Infine, il 13 ottobre 2025 è la data delle dichiarazioni che hanno riacceso i riflettori: un convegno dalla cornice istituzionale, parole di forte impatto sull’operato dell’Idf e sul comportamento dei media, reazioni immediate di partiti, associazioni e addetti ai lavori, con la richiesta trasversale di chiarire se e quanto quelle frasi siano compatibili con la funzione di portavoce della Rai.
Un profilo che pesa sulla comunicazione pubblica
Alla domanda di fondo — chi è Incoronata Boccia e cosa ha detto su Hamas e Israele — la cronaca consegna un quadro nitido. Boccia è una dirigente Rai proveniente dal Tg1, con un percorso costruito fra redazioni, conduzione e management, oggi capo dell’Ufficio Stampa del servizio pubblico. Il 13 ottobre 2025 ha pronunciato parole molto dure nei confronti di una parte dei media e dell’interpretazione delle condotte israeliane nel teatro di Gaza, sostenendo l’assenza di prove su episodi specifici e parlando di “suicidio del giornalismo”. Da quelle frasi sono seguite reazioni politiche e interne all’azienda, che hanno riaperto la discussione su ruoli, confini e responsabilità della comunicazione istituzionale.
Al netto delle posizioni, resta un punto operativo: in una stagione segnata da conflitti e propaganda digitale, il racconto della realtà chiede standard di verifica più alti e una misura pari al peso delle parole. A chi guida l’Ufficio Stampa del servizio pubblico si chiede qualcosa in più: saper tenere insieme la libertà del giudizio con l’esigenza di rappresentare tutti, evitando ambiguità e sovrapposizioni tra opinioni individuali e messaggi istituzionali. È su questo crinale che si gioca la partita della credibilità. E, piaccia o no, è anche il terreno su cui verrà misurato il passo di Incoronata Boccia nei prossimi mesi.
🔎 Contenuto Verificato ✔️
Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: la Repubblica, Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, ANSA, Il Fatto Quotidiano, Rainews.

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