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Quando scade e come ottenere il bonus mamme 2025?

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bonus mamme 2025

Crediti foto: Freepik

Nei fatti, il nuovo bonus per le lavoratrici madri vale 40 euro al mese per tutto il 2025 fino a 480 euro complessivi, si richiede online e ha una scadenza precisa: termine formale il 7 dicembre 2025, con ultimo giorno utile il 9 dicembre per via del calendario (il 7 è domenica e l’8 è festivo). C’è anche un secondo binario: istanze fino al 31 gennaio 2026 per chi matura i requisiti entro il 31 dicembre, con pagamento entro febbraio. Il sostegno è destinato a chi ha almeno due figli e un reddito da lavoro 2025 non superiore a 40.000 euro. L’INPS riconosce l’importo in un’unica soluzione, tipicamente a dicembre, senza tassazione e senza effetti sull’ISEE.

Il perimetro è chiaro: possono rientrare dipendenti pubbliche e private (tranne il lavoro domestico), autonome e libere professioniste iscritte alle gestioni obbligatorie, comprese le casse ordinistiche e la Gestione separata. Per le famiglie con tre o più figli, se c’è un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei mesi interessati, si applica l’esonero contributivo fino a 3.000 euro annui previsto dalla normativa in vigore, non il contributo cash da 40 euro; per gli altri casi (contratti a termine, somministrazione, intermittenti, autonome), il bonus opera regolarmente. La logica è di coordinamento: o l’uno o l’altro strumento, mai entrambi sullo stesso periodo.

Una misura mirata: platea, requisiti, calendario

Il bonus mamme 2025 nasce come intervento semplice da comprendere e, soprattutto, da incassare. Due figli è la soglia minima. Con due figli, il diritto copre i mesi in cui il più piccolo non ha ancora compiuto 10 anni. Con tre o più figli, la finestra si estende fino ai 18 anni dell’ultimo nato, ma con la già citata eccezione: se c’è un tempo indeterminato, in quei mesi scatta lo sconto contributivo e non il bonus cash. Vale tanto per le assunte a tempo indeterminato quanto per chi passa da un contratto flessibile a uno stabile: nel mese in cui il rapporto diventa indeterminato, cambia lo strumento, non l’eleggibilità familiare.

Il reddito da lavoro 2025 non deve superare 40.000 euro. Si considera il reddito da lavoro dipendente o autonomo prodotto nell’anno; altre tipologie di reddito seguono le regole fiscali generali, ma ai fini del bonus rileva quel tetto. Il contributo è fuori IRPEF e non incide sull’ISEE, caratteristica che lo rende interessante per chi percepisce altre prestazioni collegate alla situazione economica. Non ci sono graduatorie, non è un bando a sportello che esaurisce fondi: chi ha i requisiti e presenta la domanda in tempo, matura l’importo per i mesi coperti.

Due figli e tre o più figli: come leggere le soglie

Il criterio “numero dei figli” va letto in modo operativo, non astratto. Se il secondo figlio nasce nel corso del 2025, il diritto parte dal mese di nascita e prosegue fino al mese in cui compie 10 anni, a condizione di essere al lavoro (o iscritta a gestione/cassa se autonoma) in quei mesi. Con tre o più figli, la soglia dei 18 anni dell’ultimo apre una finestra anagrafica più lunga, che però non trasforma il bonus in una “rendita”: conta sempre la presenza di attività lavorativa o, per le autonome, l’iscrizione effettiva alla previdenza.

Esiste anche la cristallizzazione del requisito in caso di eventi che, purtroppo, possono colpire una famiglia: se il requisito è maturato, il diritto già acquisito non decade per i mesi dovuti. Una tutela minima, ma concreta. Il messaggio, per chi deve orientarsi, è di tenere sempre in mente tre variabili: figli, tipo di rapporto e mesi lavorati.

Importo, maturazione e pagamento: 40 euro al mese, ma tutti insieme

Il valore è lineare: 40 euro per ciascun mese del 2025 in cui si rispettano i requisiti, con un tetto naturale a 12 mensilità. La somma non è frazionata su base giornaliera: se in un mese si è “dentro” (perché si lavora o si è iscritti alla gestione/cassa), quel mese vale 40 euro. La scelta del legislatore è stata di pagare in un’unica soluzione. Nella prassi, significa accredito a dicembre 2025 per chi presenta domanda entro la prima scadenza e accredito entro febbraio 2026 per chi chiude i requisiti a ridosso di fine anno o invia l’istanza entro il 31 gennaio 2026.

Questo schema ha un vantaggio concreto per famiglie e aziende. Per chi riceve il contributo, è una entrata liquida collocata in un momento prevedibile, utile per le spese di fine anno. Per i datori di lavoro, non c’è nulla da “manovrare” in busta paga: nessun ricalcolo, nessun conguaglio. Tutto avviene direttamente tra richiedente e INPS, su IBAN indicato in domanda. E il fisco non entra: no IRPEF, no addizionali, e nessun effetto sull’ISEE.

Un aspetto tecnico spesso ignorato riguarda le autonome e le iscritte alla Gestione separata. Per le prime, il mese che dà diritto è quello in cui risulta iscrizione effettiva alla gestione o alla cassa professionale: in pratica, contano i mesi di copertura previdenziale. Per la Gestione separata, contano i periodi di lavoro effettivo, anche se discontinui. Per le dipendenti a termine, intermittenti o in somministrazione, si guarda alla vigenza del contratto nei singoli mesi. Nulla di complicato, ma fondamentale per evitare di sovrastimare o sottostimare l’importo.

Scadenze: 7 dicembre formale, 9 dicembre operativo, poi 31 gennaio

Il calendario è stringente e non lascia spazio a interpretazioni fantasiose. Pubblicata la circolare attuativa, i 40 giorni per la presentazione delle istanze portano al 7 dicembre 2025. Poiché il 7 è domenica e l’8 dicembre è festivo nazionale, la pratica suggerisce di considerare il 9 dicembre come ultimo giorno utile per chiudere senza rischi. È un riferimento di buon senso, che evita intoppi tecnici dell’ultimo minuto. Detto questo, chi ha già i requisiti farebbe bene a non attendere: l’invio precoce aiuta a entrare nell’erogazione di dicembre.

C’è anche una seconda scadenza, pensata per chi matura i requisiti entro il 31 dicembre 2025 (ad esempio, perché il secondo figlio nasce a novembre o dicembre, o perché il reddito 2025 si assesta sotto i 40.000 euro solo a fine anno): istanze fino al 31 gennaio 2026, con pagamento entro febbraio. Le due finestre sono complementari, non alternative. In tutti i casi, la data spartiacque è il mese in cui i requisiti esistono. In altre parole, si maturano i 40 euro solo nei mesi coperti.

Come presentare la domanda: credenziali, percorso, dati

La domanda viaggia online. Serve una identità digitale (SPID di livello 2, CIE 3.0, CNS o credenziali eIDAS) per accedere al portale inps.it e raggiungere il servizio dedicato. Il flusso è quello ormai noto per le prestazioni economiche: si entra nel Fascicolo previdenziale del cittadino, si seleziona la misura, si compila l’istanza e si conferma. È possibile farsi aiutare da un patronato oppure chiamare il Contact Center (803.164 da rete fissa, 06.164.164 da mobile) per orientarsi sui passaggi prima dell’invio.

Nell’istanza si autocertificano i requisiti. Servono i dati anagrafici dei figli, con date di nascita e codici fiscali. Se si tratta di adozione o affidamento preadottivo, va indicata la data di ingresso nel nucleo e allegata la documentazione. Se il neonato non ha ancora il codice fiscale, si allega certificato di nascita o dichiarazione della struttura sanitaria. Vanno fornite le coordinate bancarie (IBAN) per l’accredito. Conviene verificare prima, nel Fascicolo, che lo stato anagrafico e i recapiti siano aggiornati: spesso gli intoppi nascono da dettagli banali, non dai requisiti sostanziali.

Un controllo ulteriore riguarda i mesi lavorati. Chi lavora con contratti intermittenti o in somministrazione dovrebbe tenere a portata di mano le date dei periodi coperti: saranno quelle a determinare il conteggio dei mesi validi. Per le autonome, la verifica è sui mesi di iscrizione alla gestione o alla cassa; per le iscritte alla Gestione separata, sui periodi di attività effettiva. Non è necessario allegare buste paga o fatture in fase di domanda, ma è prudente avere un quadro ordinato: se l’INPS chiede integrazioni, si risponde in fretta e si evita di spostare l’erogazione da dicembre a febbraio.

Esempi concreti che aiutano a non sbagliare

Prendiamo Giulia, impiegata a tempo determinato con due figli di 7 e 3 anni. Ha lavorato da gennaio a dicembre 2025 e ha un reddito di 28.500 euro. Rientra nella misura per dodici mesi: maturerà 480 euro e, presentando la domanda entro il 9 dicembre, potrà incassare a dicembre. Se il contratto fosse partito a marzo, i mesi sarebbero dieci e l’importo 400 euro. Nulla di più che una proporzione mensile.

Passiamo a Marta, architetta con partita IVA, tre figli di 12, 9 e 5 anni. È autonoma, iscritta alla cassa professionale tutto l’anno, reddito 36.000 euro: rientra nel bonus, perché tre figli allargano la finestra anagrafica ma non cambiano il meccanismo di calcolo. Trovandosi senza rapporto a tempo indeterminato, matura fino a 12 mesi, quindi 480 euro. Se a metà anno aprisse una collaborazione a tempo indeterminato con uno studio, da quel mese non applicherebbe più il bonus cash ma l’esonero contributivo in busta. Sono strumenti alternativi, non cumulabili sullo stesso periodo.

Terzo profilo, Sara: tre figli di 14, 10 e 2 anni, tempo indeterminato in un’azienda di servizi. Per i mesi coperti dal rapporto stabile, non ha diritto ai 40 euro, perché l’ordinamento ha riservato a questa platea lo sconto contributivo fino a 3.000 euro annui. Non è una penalizzazione: in valore assoluto, lo sgravio in busta è più consistente dei 480 euro cash, soprattutto se l’anno di lavoro è pieno. Se però Sara avesse una pausa del rapporto indeterminato e passasse temporaneamente a un termine o a regime autonomo, nei mesi “flessibili” potrebbe tornare a maturare i 40 euro.

Quarto scenario, Nadia, collaboratrice domestica con due figli di 8 e 6 anni. Qui l’esito è netto: il lavoro domestico è escluso dalla misura. È importante ribadirlo per evitare domande inutili o false aspettative. Chi rientra nel domestico può comunque verificare con un patronato se esistono altri sostegni compatibili con la propria situazione familiare e reddituale.

Infine, un caso purtroppo non raro: Marco e Elena hanno due figli, il secondo nasce a novembre 2025. Elena è dipendente a termine. Dal mese di nascita del bambino, novembre, la lavoratrice entra nei requisiti con due figli e, se lavora novembre e dicembre, matura 80 euro totali. Non riuscirà a chiudere la domanda entro il 9 dicembre? Nessun problema: può presentarla entro il 31 gennaio 2026 e ricevere l’accredito entro febbraio.

Coordinamento con altre misure e impatto su IRPEF e ISEE

La convivenza con le altre misure è stata progettata per evitare sovrapposizioni. Il bonus mamme 2025 non si cumula con l’esonero contributivo dedicato alle madri con tre o più figli titolari di tempo indeterminato. La scelta è strategica: se una madre numerosa ha un rapporto stabile, conviene lo sconto in busta paga fino a 3.000 euro; se invece ha contratti a termine, intermittenti o è autonoma, il bonus cash da 40 euro/mese incide in modo certo e liquido. Questa architettura riduce i contenziosi e rende il quadro più leggibile per consulenti del lavoro, uffici paghe e patronati.

Sul piano fiscale, il contributo non concorre alla formazione del reddito. Niente IRPEF, niente addizionali. E, aspetto non secondario, non entra nell’ISEE. Chi percepisce l’Assegno Unico o altre prestazioni a misura ISEE non vedrà effetti negativi. Per molte famiglie, specie quelle che navigano attorno a una soglia ISEE sensibile, questo è il vero valore: un aiuto che non “sporca” gli indicatori e che quindi non taglia altri benefici.

Guardando oltre l’anno in corso, il Governo ha già indicato l’intenzione di rafforzare la misura nel 2026, portando l’importo mensile a 60 euro con la stessa struttura di requisiti e il coordinamento con l’esonero contributivo. Non è un elemento operativo per la domanda 2025, ma è un’informazione utile per pianificare e non confondere i piani: oggi si parla del bonus 2025 da 40 euro, l’anno prossimo si ragionerà su un ritocco all’insù.

Errori che costano tempo: come evitarli davvero

L’esperienza degli ultimi anni insegna che la maggior parte dei problemi nasce da dettagli formali. Il primo è la documentazione dei figli: dimenticare un codice fiscale, indicare male una data di nascita, non segnalare la data di ingresso per un’adozione. Sono imprecisioni che portano a richieste di integrazione e slittamenti. Meglio preparare prima i dati e, se manca il codice fiscale del neonato, allegare subito la documentazione sanitaria. Secondo tallone d’Achille: IBAN non aggiornato. L’INPS accredita su quello indicato in domanda; se è vecchio o errato, l’operazione va in storno e i tempi si allungano.

Terzo, la contezza dei mesi. Chi lavora in modo discontinuo deve ricostruire con precisione quali mesi sono coperti. Per le autonome, significa verificare i mesi di iscrizione; per le iscritte alla Gestione separata, i periodi di lavoro. Il bonus non è un gettone automatico di 480 euro: è un conteggio mensile che premia la presenza effettiva. Quarto, non ridursi all’ultimo giorno: il 9 dicembre è un termine utile, non una linea del traguardo da tagliare al fotofinish. Gli imprevisti esistono sempre, meglio evitarli.

Un accenno ai ricorsi. Se un’istanza viene respinta per motivi formali, è spesso possibile rimediare con una integrazione documentale. Se invece il diniego riguarda i requisiti sostanziali (ad esempio, superamento del tetto di 40.000 euro di reddito da lavoro 2025), forzare la mano non aiuta. In questi casi conviene chiedere assistenza a un patronato o a un consulente per capire se ci sono elementi ignorati o se la lettura è corretta.

Domanda e tempi tecnici: cosa aspettarsi dopo il click

Una volta inviata la domanda, l’INPS effettua i controlli sui dati anagrafici e sui requisiti dichiarati. I tempi non sono uguali per tutti: dipendono dal carico delle sedi territoriali e dal numero di integrazioni richieste. In assenza di anomalie, la pratica scorre e l’accredito confluisce nella tranche di dicembre. Le domande presentate sulla seconda finestra, entro il 31 gennaio 2026, confluiranno nella tranche di febbraio. Ricevere notifiche di presa in carico o di integrazione non è un cattivo segnale: significa semplicemente che la pratica sta avanzando.

Un aspetto utile: se cambia la situazione tra la presentazione della domanda e l’erogazione (per esempio, nasce un terzo figlio o cambia il tipo di contratto), non si ricalcola l’importo già maturato; si adegua semmai il perimetro dei mesi successivi quando si valuterà l’eleggibilità per altre misure. In breve, il bonus 2025 foto-grafa i mesi dell’anno in cui i requisiti ci sono stati e paga quelli, tutto insieme.

Uno sguardo al lavoro flessibile: intermittenti, somministrati, part time

Nel mercato italiano molte madri lavorano con contratti non standard. Il bonus è pensato per includerle, non per lasciarle ai margini. Se il contratto è intermittente, contano i mesi in cui il rapporto è attivo secondo la disciplina del lavoro a chiamata. Se la lavoratrice è in somministrazione, valgono i mesi di missione coperti dal contratto. Il part time non riduce l’importo: il mese coperto vale 40 euro tanto quanto un full time. L’unica vera discriminante resta l’esistenza del rapporto o dell’attività in quel mese.

Per le libere professioniste iscritte alle casse ordinistiche, non fa differenza che si tratti di regime forfettario o ordinario dal punto di vista fiscale: ciò che rileva è l’iscrizione alla cassa nel mese. Per le iscritte alla Gestione separata, il tema è la prestazione: se il mese non registra attività, non matura il bonus; se registra collaborazioni o prestazioni occasionali inquadrate correttamente, quel mese entra nel conteggio.

Domande che ricorrono tra lettrici e consulenti, senza fare un elenco

Capita di chiedersi se il bonus sia compatibile con l’Assegno Unico. Sì, perché non incide sull’ISEE. Se una madre supera di poco i 40.000 euro di reddito da lavoro, non rientra nella misura, e forzare i numeri non conviene: meglio concentrarsi su altri strumenti e tenere sotto controllo il quadro reddituale per l’anno successivo. Se il secondo figlio nasce a dicembre, si possono maturare una o due mensilità (novembre no, dicembre sì, oppure solo dicembre, a seconda della data) e presentare poi la domanda entro il 31 gennaio 2026. Se a giugno il contratto a termine diventa indeterminato e ci sono tre figli, da quel mese si cambia binario verso l’esonero contributivo: niente doppio beneficio, ma la soluzione più vantaggiosa.

Infine, un’osservazione pratica: chi ha più rapporti nello stesso mese (ad esempio, somministrazione che si sovrappone a prestazione autonoma) non “raddoppia” il bonus. Il mese vale una sola volta. È il mese “coperto” a contare, non il numero di contratti. E lo stesso vale per chi cambia datore o commessa dentro il mese: ai fini del bonus, il mese è unitario.

Muoversi adesso paga: poche mosse, niente sorprese

Il terreno è stato preparato con regole semplici e un calendario serrato. Il perimetro è definito: almeno due figli, reddito da lavoro 2025 sotto i 40.000 euro, mesi effettivamente lavorati o iscrizione alla previdenza se autonome. Le date da non perdere sono tre: 7 dicembre come scadenza formale, 9 dicembre come termine operativo “sicuro”, 31 gennaio 2026 come seconda finestra per chi completa i requisiti a fine anno. Il pagamento arriva in un’unica soluzione e non pesa né su IRPEF né su ISEE. Non ci sono trabocchetti, ma serve ordine: dati dei figli corretti, IBAN aggiornato, cronologia dei mesi coperti ben chiara.

Chi ha le carte in regola oggi non ha nulla da guadagnare ad aspettare. Inviare la domanda con qualche giorno di anticipo elimina l’ansia da ultimo click e mette in fila l’erogazione di dicembre. Chi, invece, diventerà “ammissibile” nelle prossime settimane ha comunque una strada: presentare l’istanza entro fine gennaio per intercettare la tranche di febbraio. Il bonus 2025 non promette miracoli, ma fa una cosa giusta: riconosce in modo diretto i mesi in cui si lavora e si cresce una famiglia. Senza tasse, senza penalizzare altre prestazioni, con una tempistica chiara. E, a volte, è proprio la chiarezza a fare la differenza.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: INPSFLC CGILLavorosiSky TG24Informazione FiscaleOrizzonte Scuola.

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