Perché...?
Perché Starbucks sta chiudendo centinaia di negozi negli USA

Starbucks sta riducendo la propria rete in Nord America e in alcune città europee con un’azione straordinaria di ristrutturazione da un miliardo di dollari. Il piano prevede la chiusura di centinaia di caffetterie considerate non allineate agli standard economici o all’esperienza che il marchio vuole riportare al centro, con un effetto netto stimato in circa l’1% in meno del parco negozi complessivo tra Stati Uniti e Canada entro la fine dell’anno fiscale 2025. L’azienda, guidata dal presidente e CEO Brian Niccol, ha comunicato che questa revisione segue mesi di analisi sul campo e che le chiusure saranno compensate in parte da investimenti in oltre mille locali esistenti, per renderli più accoglienti, efficienti e coerenti con l’idea di “terzo luogo” che ha reso celebre la catena.
L’impatto è già visibile nei principali mercati urbani: oltre ai tagli distribuiti in diversi stati americani, New York perderà 34 punti vendita dislocati nei cinque distretti, mentre a Seattle è stata chiusa la Reserve Roastery simbolo, un’icona realizzata a pochi passi dall’headquarter. La scelta è stata definita “mirata”, legata a performance e contesto fisico dei singoli negozi, e accompagnata da un programma di ricollocazione del personale, trasferimenti verso caffetterie vicine e indennità di uscita per i ruoli che non potranno essere assorbiti. L’obiettivo dichiarato è rifocalizzare il brand sull’esperienza in store, riducendo le attese, migliorando la qualità del servizio e riportando calore e vivibilità negli spazi.
Che cosa sta succedendo a Starbucks
La riduzione della rete e il perimetro del piano
Nel merito, Starbucks ha confermato un ridimensionamento selettivo della rete nordamericana con esecuzione immediata e completamento entro l’anno fiscale, lasciando intendere che la manovra potrà proseguire in segmenti specifici del portafoglio globale. Il perimetro, stando alle comunicazioni ufficiali, comprende sia caffetterie a gestione diretta sia punti in licenza nel conteggio totale, con una fotografia di fine anno vicina a 18.300 sedi negli Stati Uniti e in Canada. L’azienda ha anche messo nero su bianco che dal 2026 tornerà a crescere, dopo aver riallineato l’impianto industriale: si tratta di un rientro tattico per spegnere gli asset poco produttivi e riaccendere quelli in grado di sostenere margini, qualità e soddisfazione del cliente. Il messaggio è chiaro: tagliare dove non si può garantire un’esperienza adeguata e mettere risorse dove si vede trazione.
All’interno di questo quadro, la società ha avviato anche una semplificazione organizzativa: circa 900 ruoli non retail vengono eliminati o non sostituiti, con l’intento di spostare più risorse possibili “vicino al cliente”, ossia nei negozi. È la parte meno visibile ma più decisiva del piano: alleggerire la struttura centrale e riallocare investimenti in organici, formazione, tecnologia di sala e rinnovo dei layout. A supporto della scelta, i conti degli ultimi trimestri mostrano comp vendite in calo negli Stati Uniti per sei periodi consecutivi, con pressioni su margini e scontrino medio. La fotografia macro spiega perché il management stia accelerando sul fronte dell’efficienza e dell’esperienza.
Ragioni economiche e operative
Dietro le serrande che calano ci sono voci di conto economico che non tornano e un’esperienza cliente da ricomporre. Affitti e costi operativi in molte aree metropolitane, specie in location premium, hanno corso più dei ricavi; in parallelo, la sensibilità al prezzo dei consumatori ha frenato la frequenza di visita e lo scontrino medio, comprimendo la leva dei volumi. L’effetto combinato ha reso più difficile sostenere negozi con picchi di domanda irregolari, sale non modulabili e layout nati per un retail diverso da quello che Starbucks vuole oggi. Se l’azienda parla di caffetterie “che non offrono il calore e la progettazione necessari o non hanno un percorso verso la redditività”, è perché l’architettura fisica conta: dagli spazi di sosta alla fluidità del back of house, tutto incide sui tempi, sull’errore in preparazione, sul costo del lavoro per bevanda. Quando il P&L non regge, la leva più rapida è riorganizzare la rete.
A questa dinamica si somma l’eredità del post-pandemia. L’accelerazione digitale ha spinto modelli come il ritiro rapido e le caffetterie “Pick Up” esclusivamente per ordini mobile. Oggi l’azienda sta archiviando quel format: tra 80 e 90 negozi nati solo per il ritiro saranno chiusi o convertiti entro il 2026, perché non offrono la socialità e la permanenza che il marchio vuole reintrodurre. In un contesto in cui le comp calano e la frequenza di visita non torna ai livelli storici, la priorità è ricostruire un’esperienza di permanenza, non soltanto velocizzare il take-away. È anche una risposta alla concorrenza: catene specialty locali e bakery-café hanno capitalizzato sulla qualità percepita e sull’atmosfera, elementi che Starbucks vuole rafforzare con design più caldi, materiali tattile-menti ricchi, luce corretta, seating diffuso.
Tutto accade negli USA: New York, Seattle ma non solo
La mappa delle chiusure tocca i grandi bacini di traffico. New York City conta 34 chiusure tra Manhattan, Brooklyn, Queens, Bronx e Staten Island: un riassetto significativo in una piazza di altissima intensità turistica e business, dove canoni e concorrenza impongono una selezione chirurgica dei punti a maggior resa per metro quadro. Il caso simbolo resta Seattle, dove l’azienda ha chiuso la Reserve Roastery in un passaggio emotivamente forte per il brand e per la comunità locale. La decisione è stata letta come un segnale di discontinuità: l’icona si sacrifica se non rientra più nel perimetro finanziario ed esperienziale che la strategia richiede oggi.
Fuori dagli Stati Uniti, il ridisegno tocca anche l’Europa. La società ha avviato consultazioni nel Regno Unito e segnalato interventi in Svizzera e Austria, parte di una revisione dei negozi a gestione diretta che segue la stessa logica adottata oltreoceano: chiudere dove il format non funziona e concentrare capitali dove la domanda e l’assetto urbano consentono di fare qualità e margini. Non è un arretramento dal continente, ma una ricomposizione del portafoglio: la priorità resta Nord America, che assorbe la maggior parte dei costi di ristrutturazione, ma gli aggiustamenti europei indicano la volontà di allineare il brand in tutti i mercati core.
Ecco come si svolge l’operazione
Le comunicazioni interne parlano di notifiche immediate ai team dei negozi coinvolti e di offerte di trasferimento ove possibile. Dove il ricollocamento non sarà praticabile, Starbucks sta prevedendo pacchetti di uscita strutturati, con livelli di indennità variabili per ruolo e anzianità che, per alcune posizioni di responsabilità, possono arrivare a diversi mesi di stipendio. Per baristi e shift supervisor sono stati previsti montanti orari predefiniti, mentre la copertura sanitaria verrà prolungata per consentire una transizione meno traumatica. La cifra stanziata per separazioni e chiusure rientra nella dote da 1 miliardo di dollari destinata al turnaround, con la quota più ampia assorbita dalla razionalizzazione di negozi e la rimanente a tutele e supporto per i lavoratori interessati.
Sul piano dei tempi, la società indica il completamento della riduzione netta entro la fine dell’anno fiscale 2025, con pianificazione 2026 incentrata su due direttrici: crescita selettiva della rete dove la domanda lo giustifica e programma di “uplift” di oltre 1.000 caffetterie per rinnovare layout, segnaletica, illuminazione, spazi di sosta e flussi di lavoro dietro al banco. È il cuore della virata: più ore uomo nei momenti di picco, tecnologia a supporto (dall’inventario all’assistente digitale per i baristi) e ritorno di elementi identitari come il condiment bar e tazze in ceramica dove la normativa lo consente, con l’intento di accorciare i tempi ma soprattutto aumentare la permanenza media.
Cosa cambia per i fan americani della marca
Il “Back to Starbucks” non è soltanto un nome. La filosofia operativa cambia su punti concreti: menu più snello, con l’eliminazione di referenze a bassa rotazione e la semplificazione della matrice di personalizzazioni più complesse; layout ripensati per separare meglio i flussi tra ritiro mobile e consumo sul posto; postazioni di lavoro con sequenze più lineari per abbattere gli errori e la fatica fisica del personale; materiali e illuminazione selezionati per dare calore ai locali. Sono scelte pensate per ridurre la “frizione” in corsia e restituire centralità alla sala, perché il valore del marchio non si gioca solo sullo scatto social del bicchiere, ma sul tempo speso in negozio.
Un capitolo a parte riguarda le Pick Up: il format mobile-only verrà dismesso e in parte convertito in caffetterie tradizionali. Starbucks conta che la coerenza dell’esperienza—dalla sosta breve all’incontro informale, dal lavoro solitario alla chiacchiera—torni a essere l’argomento competitivo contro una costellazione di brand locali e nazionali che negli ultimi anni hanno occupato spazi lasciati liberi dall’eccesso di standardizzazione. La scommessa è che un negozio “più caldo” riporti frequenza e scontrino medio, migliorando la produttività per ora lavorata.
Cosa aspettarsi adesso?
Nel frattempo, il confronto sindacale resta sullo sfondo. Il movimento dei lavoratori ha criticato la strategia, specie laddove la chiusura ha coinvolto negozi sindacalizzati. L’azienda ha negato che lo status sindacale sia un fattore nelle decisioni, ribadendo che i criteri sono economici e di customer experience. È un punto sensibile per la reputazione del marchio, che dovrà dimostrare nei fatti trasparenza nei criteri e correttezza nella gestione dei percorsi di uscita o trasferimento. Sul fronte finanziario, gli analisti guardano a due indicatori: la velocità con cui i negozi rinnovati mostreranno ripresa di visite e scontrino e l’elasticità della domanda a fronte di eventuali aggiustamenti di prezzo.
Per i clienti, il cambiamento sarà tangibile: in alcune aree urbane si vedranno meno punti vendita ravvicinati e più locali “di destinazione”, con spazi comodi, sedute diffuse e ritmi meno concitati. In città come New York, la riorganizzazione consentirà di ridurre sovrapposizioni in quartieri saturi, convogliando la domanda verso caffetterie più grandi e attrezzate. Nel 2026, al netto di questa “potatura”, l’azienda prevede di tornare in espansione: una scommessa sulla qualità della rete più che sulla quantità, che avrà ricadute anche sui fornitori (roteando gli allestimenti, ridefinendo i volumi, aggiornando attrezzature) e su concorrenti che, nelle finestre di chiusura, proveranno a presidiare la domanda rimasta scoperta. È il prezzo di una ripartenza ordinata: meno rami, più sostanza.
Ma non è una ritirata
Starbucks non sta fuggendo dal mercato del caffè al dettaglio, lo sta ricalibrando. La chiusura di centinaia di negozi è il mezzo, non il fine: eliminare le situazioni strutturalmente in perdita, finanziare la metamorfosi dei locali che restano e ridisegnare l’esperienza in modo coerente con quello che i clienti si aspettano oggi da una caffetteria globale. I numeri del piano—riduzione netta dell’1% in Nord America nel 2025, chiusure mirate in Europa, indennità e trasferimenti—vanno letti assieme a investimenti in oltre mille uplift e all’addio ai format Pick Up. La traiettoria punta a meno complessità operativa, più qualità percepita e un’identità di marca più leggibile.
Per i lettori italiani, il messaggio è pragmatico: il più grande operatore del caffè al mondo ha scelto di accorciare il perimetro per allungare il passo. In un settore dove costo del lavoro, materie prime e canoni hanno rialzato l’asticella, tenere aperto un punto vendita non performante è un lusso che non ci si può più permettere. Tagliare oggi per crescere meglio domani è una strategia dura ma comprensibile se si guarda alla sostenibilità industriale e alla tenuta dell’esperienza che ha fatto di Starbucks un marchio riconoscibile ovunque. La vera verifica arriverà nel 2026: se i locali rinnovati riporteranno traffico e margini, la “potatura” di quest’anno verrà ricordata come il passaggio necessario per rimettere radici più profonde in un mercato che non perdona gli errori di progettazione e di servizio.
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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: Corriere, AP News, Reuters, Invezz, Notizie.it

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