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Quali sono i formaggi fermentati? Tipi e caratteristiche

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alcuno formaggi fermentati in un caseificio

Conosci i formaggi fermentati: sapore intenso, probiotici e tecniche antiche, tra esempi autentici e scelte per il benessere in cucina.

Cominciamo con una verità che non si dice spesso: quasi tutti i formaggi che troviamo in commercio sono, tecnicamente, fermentati. Ma, come spesso accade, il diavolo è nei dettagli. Perché non basta aggiungere fermenti lattici al latte per ottenere qualcosa che si possa davvero chiamare “formaggio fermentato”, nel senso pieno del termine. C’è fermentazione e fermentazione. E poi ci sono le muffe, i batteri, i lieviti… e la mano dell’uomo, che spesso fa la differenza.

Dunque, proviamo a fare chiarezza. Ma senza la pretesa di essere enciclopedici. Questo articolo non vuole solo spiegarti quali sono i formaggi fermentati: vuole accompagnarti tra i profumi pungenti di una grotta umbra, il cuore umido di una forma di Roquefort, e il frigo di chi ha comprato per sbaglio un Brie artigianale e ora non sa come gestirlo. Succede.

La fermentazione: quella vera, quella viva

Partiamo dal principio. Quando si parla di fermentazione nei formaggi, si intende quel processo naturale in cui microrganismi trasformano il lattosio (cioè lo zucchero del latte) in acido lattico. Già questo basta a cambiare tutto: cambia il sapore, la consistenza, la conservabilità. Ma la cosa si fa interessante quando entra in gioco un secondo livello: muffe e batteri che trasformano il formaggio in qualcosa di completamente nuovo.

Ecco, i veri formaggi fermentati sono quelli che vivono questa seconda trasformazione, più profonda, spesso lunga e non sempre controllabile. Formaggi che maturano grazie alla presenza di Penicillium, Geotrichum, Brevibacterium linens e altri nomi che sembrano usciti da un libro di microbiologia (perché lo sono).

Cosa significa? Che non tutti i formaggi sono uguali, anche se sulla confezione trovi scritto “stagionato”. Il latte cagliato lasciato a seccare non è abbastanza. Serve il tempo. Serve un ambiente adatto. Serve la pazienza — e l’esperienza — di chi li produce.

Ma quindi, quali sono questi formaggi fermentati?

Il più noto, almeno in Italia, è sicuramente il Gorgonzola. Lo riconosci subito, per l’odore che riempie il frigorifero e per quelle inconfondibili venature blu-verdi che si formano grazie alla muffa Penicillium roqueforti. È un formaggio erborinato — dal termine “erborin”, che in dialetto milanese significa prezzemolo, proprio per la somiglianza con quelle macchie sparse.

Ma il Gorgonzola non è solo. Anzi, fa parte di una grande famiglia. Il Roquefort francese, il Stilton inglese, il Bleu d’Auvergne, il Cabrales spagnolo… tutti formaggi erborinati, tutti fermentati con le stesse muffe, anche se ogni paese ha sviluppato una sua tecnica, una sua “firma”.

Poi ci sono i formaggi con crosta fiorita, come il Brie e il Camembert. In questi casi la fermentazione è meno “drammatica” — niente venature interne, per capirci — ma la crosta esterna è letteralmente viva. Ricoperta da Penicillium camemberti, crea quella tipica pelle bianca, morbida e vellutata, che protegge una pasta interna più dolce e lattiginosa. Alcuni la amano, altri la scartano. Ma è lì che succede la magia.

E attenzione, perché non si tratta solo di estetica. La fermentazione modifica la struttura del formaggio anche all’interno, rendendolo più digeribile (per molti) e più complesso a livello aromatico. Quella cremosità che si scioglie sulla lingua non è casuale. È chimica. È vita.

Fermentazione e occhi: sì, parliamo dei buchi

Hai presente l’Emmental, quello dei cartoni animati, con i buchi giganti? Anche quelli sono il risultato di una fermentazione, ma diversa. Qui entra in gioco un altro batterio: il Propionibacterium freudenreichii. Durante la maturazione, questo simpatico microrganismo produce anidride carbonica, che resta intrappolata nella pasta e forma le classiche cavità.

Lo stesso processo vale per il Gruyère, il Maasdam o il nostro meno conosciuto Pusteria Alta (che ha occhi più piccoli ma un profilo aromatico simile). È una fermentazione “interna”, silenziosa, che non lascia muffe a vista ma cambia tutto: dal gusto al taglio.

E quelli strani, che pochi conoscono?

Beh, qui le cose si fanno interessanti. In Italia c’è il Formaggio di Fossa, tipico di Talamello e Sogliano al Rubicone. Viene chiuso in fosse scavate nella roccia e lasciato lì per mesi, in assenza di ossigeno, con fermentazioni anaerobiche che gli conferiscono un sapore pungente, quasi selvatico.

Poi c’è il Bruzzo piemontese (o Bruss), che è un formaggio “di recupero”: si usano pezzi di formaggio avanzato, si aggiunge un po’ di grappa o vino e lo si lascia fermentare. Il risultato? Una crema piccante, alcolica, che si spalma su pane nero o si usa come condimento. Un tempo era cibo povero. Oggi è presidio Slow Food.

In Germania, invece, troviamo l’Harzer Käse: a base di latte scremato, fermentato con batteri lattici, ha pochissimi grassi ma un gusto intensissimo. Lo mangiano con cipolla cruda e pane nero. Non è per tutti, ma chi lo ama lo difende a spada tratta.

Ok, ma fanno bene alla salute?

Bella domanda. La risposta breve? Sì, ma dipende. I formaggi fermentati contengono spesso probiotici, cioè batteri vivi che, una volta arrivati nell’intestino, possono aiutare l’equilibrio del microbiota. In pratica, aiutano a digerire meglio, rafforzano il sistema immunitario e, in alcuni casi, migliorano anche l’umore.

Ma attenzione: non tutti i formaggi fermentati mantengono i probiotici attivi. Se il formaggio è stato pastorizzato o conservato troppo a lungo, quei batteri potrebbero non essere più vivi. Quindi è sempre meglio preferire formaggi freschi, artigianali, non pastorizzati se si cerca l’effetto “yogurt”.

E comunque, va detto: i fermentati non sono un farmaco, ma un alimento. Possono fare bene, certo, ma dentro una dieta equilibrata. Mangiarne 200 grammi al giorno “per la flora intestinale” non è proprio il massimo. Meglio alternare, magari abbinarli a fibre (come verdure e cereali integrali), che nutrono quei batteri buoni.

E per chi è intollerante al lattosio?

Qui una buona notizia: molti formaggi fermentati hanno un contenuto bassissimo di lattosio, perché durante la fermentazione questo zucchero viene trasformato in acido lattico. Formaggi come il Parmigiano Reggiano (oltre 36 mesi), il Grana Padano, il Pecorino stagionato o lo stesso Gorgonzola contengono meno dello 0,1% di lattosio.

Chi soffre di lieve intolleranza spesso può consumarli senza problemi. Ma occhio: se l’intolleranza è grave, o se c’è allergia alle proteine del latte, meglio consultare un medico. Sempre.

E i vegani? Esistono formaggi vegetali fermentati?

Sì, e negli ultimi anni stanno facendo passi da gigante. Non parliamo più solo di “fette di plastica vegetale” (chi ha provato certi prodotti lo sa), ma di vere e proprie specialità fermentate a base di anacardi, mandorle, soia o semi di girasole, con l’aggiunta di fermenti vivi. Alcuni ricordano il Camembert, altri puntano a sapori più innovativi. Non è solo un’alternativa etica, ma un campo in fermento — in tutti i sensi.

Chi li produce spesso utilizza tecniche derivate dalla caseificazione tradizionale: stagionatura in cantina, croste edibili, lavaggi con salamoia. Alcuni marchi italiani e francesi stanno cominciando a farsi un nome anche tra gli onnivori. Il gusto, se ben fatto, c’è.

Ti è venuta fame?

I formaggi fermentati sono tanti. Troppi per farne un elenco chiuso. Gorgonzola, Brie, Roquefort, Formaggio di Fossa, Harzer, Emmental… e potremmo continuare per ore. Ma non è questo il punto. Il punto è capire che un formaggio fermentato non è solo un cibo, è il frutto di una trasformazione viva, lenta, spesso imprevedibile.

Non si tratta solo di mangiare. Si tratta di assaggiare storie, territori, culture. Di riconoscere un odore forte e pensare: “è il taleggio della Valtaleggio”, oppure: “questo è un Bleu de Gex di quelli veri”. E magari sbagliare. Ma con gusto.

Il trucco? Sperimentare. Comprare quel formaggio strano al mercato contadino. Provare la ricotta forte pugliese anche se puzza da far paura. E, ogni tanto, ascoltare il proprio naso, il palato e, perché no, l’intestino.

Perché la fermentazione è vita. E la vita, come il formaggio, quando è un po’ imperfetta, è ancora più saporita.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: La Cucina ItalianaWikipedia (Formaggio di Fossa)La PecorellaAssolatte.

Content Manager con oltre 20 anni di esperienza, impegnato nella creazione di contenuti di qualità e ad alto valore informativo. Il suo lavoro si basa sul rigore, la veridicità e l’uso di fonti sempre affidabili e verificate.

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