Seguici

Quale...?

Quale tonno in scatola con FAO 37? Guida rapida all’acquisto

Pubblicato

il

vari tipi di tonno in scatola approvati dalla fao

Impara a riconoscere il tonno in scatola con FAO 37, pescato nel Mediterraneo. Scopri qualità, sostenibilità e trasparenza sull’etichetta.

Non è un dettaglio da poco. Anzi. Chi ha iniziato a leggere le etichette del tonno in scatola – e intendo leggerle per davvero, non per abitudine o per scrupolo passeggero – a un certo punto ci si è imbattuto. C’è scritto FAO 37. Oppure non c’è. E lì inizia la domanda: “ma quindi cosa vuol dire? E che tonno sto mangiando?”

Non parliamo di fissazioni da gourmet, né di manie salutiste. È una questione concreta: sapere da dove viene il pesce che portiamo in tavola, in quali acque è stato pescato, con che metodi, da chi. Perché un tonno non vale l’altro. E il mare – questo sì che è il punto – non è ovunque lo stesso.

FAO 37, per chi non lo sapesse, è il codice che identifica una zona di pesca molto precisa: il Mar Mediterraneo. Sì, proprio quello che ci circonda, che vediamo dalle spiagge d’estate, che abbiamo studiato alle elementari con i cartelloni blu e gialli. E allora: quale tonno inscatola con FAO 37? Chi è che davvero pesca nel nostro mare? Chi lo scrive? Chi lo fa per davvero? E chi, invece, magari preferisce non farlo sapere?

Dietro una sigla, un mondo

Le zone FAO sono un sistema internazionale, codificato. Ogni area di pesca nel mondo ha un numero. FAO 27 è l’Atlantico nord-orientale. FAO 34 l’Atlantico centro-orientale. FAO 71? Oceano Pacifico. E FAO 37, appunto, il nostro Mediterraneo.

Perché interessa? Perché ci dice qualcosa sulla provenienza del pesce, certo, ma anche – e forse soprattutto – sulla qualità ambientale delle acque, sulla presenza (o meno) di controlli, di normative, sulla tracciabilità della filiera. In pratica: quanto possiamo fidarci di quello che stiamo mangiando.

Attenzione, però. Non è che tutto il tonno pescato nell’oceano faccia male, o che tutto il Mediterraneo sia puro come le sorgenti. Non è così semplice. Però una cosa è chiara: sapere da dove arriva il prodotto è il primo passo per fare una scelta consapevole. Il minimo sindacale, insomma.

Il tonno mediterraneo: c’è, ma bisogna cercarlo

Ecco, allora, il nodo. Chi vende tonno con FAO 37? Esistono aziende che lo specificano chiaramente in etichetta. Altre no. Alcune lo indicano nel retro, a caratteri piccoli, insieme alla specie. Qualcuno scrive solo “tonno pescato in mare aperto”, che può voler dire tutto e niente.

In molti supermercati – Coop, Esselunga, Conad, Eurospin, tanto per citare i più grandi – si trovano scatolette che indicano FAO 37, ma non sono la maggioranza. Alcune linee a marchio del distributore, specie le versioni “bio” o “filiera controllata”, lo dichiarano. Ci sono poi marchi più piccoli, spesso locali, che lavorano tonno pescato nel Mediterraneo, soprattutto nel tratto italiano. Parliamo di realtà come Coalma, As do Mar (in alcune referenze), Callipo.

Non sempre è chiaro. Qualche volta bisogna chiedere, scrivere al servizio clienti, cercare nei siti web. E questo non è normale. Perché se c’è una cosa che dovrebbe essere trasparente è proprio la provenienza di ciò che mangiamo.

Ma è davvero meglio?

A questo punto è lecito chiederselo: vale la pena preferire il tonno FAO 37? È davvero più sano, più sostenibile, più etico? La risposta, senza girarci intorno, è sì. O quantomeno: è più controllato.

Il Mediterraneo è uno dei mari più monitorati al mondo. Le normative europee impongono limiti severi alle quantità pescate, alle modalità di pesca, alla tracciabilità dei prodotti. I livelli di mercurio, PCB e altri contaminanti – pur non assenti – sono generalmente inferiori a quelli riscontrati in certe zone dell’Oceano Pacifico, dove il controllo è molto più blando. Anche la densità di tonno è più gestita, ci sono piani di ricostituzione degli stock. Non è il paradiso, ma è un passo avanti rispetto a molte aree internazionali.

Poi c’è l’impatto ambientale. Un tonno pescato vicino casa – e inscatolato magari in Sicilia o Calabria – fa meno chilometri, usa meno energia per il trasporto, ha una filiera più corta. Ed è più facile, per chi vuole davvero capire, andare a fondo e sapere come viene pescato e lavorato.

Non solo FAO: anche la specie conta

Attenzione, però: non basta leggere FAO 37 per stare tranquilli. Bisogna guardare anche altro. La specie, innanzitutto. C’è il tonnetto striato, che è quello più comune, economico e con un sapore un po’ più deciso. Poi il tonno pinne gialle (yellowfin), più delicato. E poi il tonno rosso del Mediterraneo, che però in scatola ci finisce di rado, e quando succede… costa un occhio.

Ma c’è di più. Bisogna vedere come è stato pescato. Se con palangaro, con reti a circuizione, con FAD (dispositivi di concentrazione del pesce). O, meglio ancora, a canna, che è il metodo più selettivo e meno impattante per l’ecosistema.

E infine: cosa c’è scritto accanto alla sigla FAO? A volte troviamo numeri più precisi, come FAO 37.1 o 37.2. Sono sottodivisioni: occidentale (tirreno, ligure), centrale (Adriatico) o orientale (Egeo, Levante). Più è dettagliata l’etichetta, più ci si può fidare. È un segnale. Vuol dire che chi produce ha qualcosa da raccontare e non ha paura di dirlo.

Ma quanto costa?

Già, il prezzo. Perché un’altra obiezione che si sente spesso è: “Sì, tutto bello, ma poi costa il doppio.” E non è del tutto falso. Il tonno FAO 37, se dichiarato, controllato e magari certificato (MSC, Friend of the Sea…), costa un po’ di più. Non il doppio, ma più del tonno anonimo a 0,89 centesimi.

La differenza, però, è reale anche nel contenuto. Basta leggere il peso sgocciolato. Alcune marche vendono 80 grammi di tonno… ma il peso effettivo, tolto l’olio o l’acqua, è 52. E spesso è poltiglia. Altre ti danno 65 grammi netti di filetti interi. Non è la stessa cosa.

Senza contare che, se vogliamo ridurre l’impatto ambientale della spesa quotidiana, iniziare da ciò che consumiamo spesso – come il tonno – è un buon primo passo. Non serve diventare esperti o ossessivi. Basta iniziare a scegliere con un po’ più di attenzione.

Cosa cambia davvero, allora?

Cambiano tante cose. A partire dalla consapevolezza. Chi sceglie un tonno FAO 37 non sta solo facendo attenzione alla propria salute, ma manda un messaggio. Sostiene una filiera più vicina, più tracciabile, spesso più etica. E – parliamoci chiaro – favorisce un modello di consumo che non si basa sullo sfruttamento massivo degli oceani tropicali, dove la pesca è ancora, in molti casi, una giungla.

Non si tratta di moralismo, ma di buon senso. Perché se ogni tanto si guarda l’etichetta del tonno, forse poi si inizia a guardare anche quella dei pomodori, del pane, del latte. E da cosa nasce cosa.

In sintesi, per chi ha fretta

Quale tonno inscatola con FAO 37? Diverse aziende italiane, alcune private label di supermercati, alcuni piccoli produttori artigianali. Non è difficile trovarlo, ma non è neppure automatico. Serve leggere. Serve cercare. E serve capire che dietro una sigla ci sta una scelta. Che riguarda il mare, la trasparenza e – in ultima analisi – anche noi.


🔎​ Contenuto Verificato ✔️

Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: Il Salvadanaio di SupermammaUlisse onlineAcademia BlogL’Unità.

Content Manager con oltre 20 anni di esperienza, impegnato nella creazione di contenuti di qualità e ad alto valore informativo. Il suo lavoro si basa sul rigore, la veridicità e l’uso di fonti sempre affidabili e verificate.

Trending