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Ponte Morandi, 18 anni a Castellucci: è la svolta decisiva?

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Ponte Morandi 18 anni a Castellucci

La Procura di Genova ha chiesto 18 anni e 6 mesi di reclusione per Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, nel processo sul crollo del viadotto Polcevera (ponte Morandi) avvenuto il 14 agosto 2018. La richiesta è stata formalizzata oggi, 14 ottobre 2025, al termine della requisitoria dei pubblici ministeri, segnando un passaggio centrale in un dibattimento che la città e il Paese seguono da anni. Il punto di caduta della Procura è netto: per l’accusa, la catena di decisioni e omissioni a livello di vertice avrebbe inciso in modo determinante sulla sicurezza dell’opera e sulla prevenzione di un disastro che ha provocato 43 vittime, oltre a un trauma economico e sociale senza precedenti per Genova e per la rete autostradale nazionale.

Il messaggio che filtra dall’aula è di forte accelerazione verso l’esito del giudizio di primo grado. La richiesta contro l’ex ad, considerato fra gli imputati più esposti, arriva dopo mesi di udienze dedicate all’esame di testimonianze, consulenze tecniche, documentazione aziendale e atti di vigilanza. Non si tratta di una sentenza e la decisione spetta al collegio giudicante; tuttavia, la quantificazione della pena proposta dall’accusa rappresenta una soglia simbolica e giuridica che ridefinisce il quadro. Per i lettori, significa che il processo ha imboccato la fase conclusiva, con il calendario che ora prevede le richieste per gli altri imputati, le arringhe delle difese e la successiva camera di consiglio. In termini sostanziali, i magistrati hanno circoscritto la responsabilità contestata a Castellucci su un perimetro chiaro: gestione della manutenzione, sistemi di controllo e decisioni strategiche in merito allo stato del ponte.

Chi è Castellucci e perché la sua posizione pesa

Figura centrale del capitalismo infrastrutturale italiano negli anni Duemila e Dieci, Castellucci ha guidato Autostrade per l’Italia in una fase di espansione e riorganizzazione, con responsabilità di indirizzo su investimenti, manutenzioni e governance. Nel processo Morandi, il suo profilo assume un rilievo particolare perché incarna la catena di comando del concessionario nell’arco temporale considerato dall’accusa. L’atto d’imputazione contesta a vari livelli omicidio colposo plurimo, disastro colposo, violazioni in materia di sicurezza sul lavoro e falsi documentali, delineando un quadro nel quale le scelte del vertice avrebbero inciso sulle priorità operative e sull’allocazione di risorse per la manutenzione straordinaria del viadotto.

Per comprendere il senso della richiesta, è utile ricordare come si è evoluto il fascicolo. Dopo l’incidente, le indagini hanno raccolto rapporti tecnici, piani di manutenzione, scambi interni fra Aspi e la controllata di ingegneria, oltre alle ispezioni della rete e alle valutazioni di soggetti terzi. Da questo materiale l’accusa ha estratto un racconto di warning ripetuti, degrado progressivo e interventi rinviati o ridimensionati nel tempo, incastonando tali elementi in un’ipotesi di responsabilità gestionale. Per i pubblici ministeri, Castellucci non è soltanto un nome, ma la sintesi organizzativa di scelte che, sommate, avrebbero alimentato un rischio non più accettabile. È su questo terreno che si misura la richiesta di 18 anni e 6 mesi, descritta dall’accusa come coerente con la gravità dei fatti e con la posizione apicale dell’imputato.

Dal lato opposto, la difesa rivendica una lettura opposta: assenza di nesso causale diretto fra le decisioni di vertice e il crollo, non prevedibilità dell’evento nei termini temporali utili a impedire la tragedia, esistenza di controlli considerati congrui rispetto alle norme tecniche e regolatorie dell’epoca. È una dialettica classica nei processi per disastri complessi, ma qui assume un peso superiore perché incrocia l’aspettativa pubblica di accertamento delle responsabilità in un contesto dove i confini fra errore tecnico, miopia gestionale e colpa si sfumano. Al netto delle posizioni, ciò che conta oggi è che il tribunale disponga ormai di un corpus probatorio vasto, sul quale dovrà misurare colpe individuali e ricadute sistemiche.

Le prove chiave e i nodi tecnici del viadotto Polcevera

Sul piano materiale, il dibattimento ha scandagliato la meccanica del collasso del ponte progettato da Riccardo Morandi, con focus sugli stralli in calcestruzzo armato precompresso e sul degrado dei cavi interni. Le consulenze hanno discusso l’impatto della corrosione e la progressiva perdita di sezione resistente, analizzando fotografie, carotaggi, prove sui materiali e la cronologia degli interventi programmati. Il tema cruciale è se e quanto gli elementi di criticità noti potessero o dovessero indurre misure conservative più energiche prima del 2018. Per l’accusa, i segnali erano sufficienti a giustificare scelte drastiche, come limitazioni di carico, chiusure parziali o un rafforzamento più rapido; per la difesa, le evidenze disponibili non permettevano di stimare con precisione il momento ultimo dell’evento, né imponevano iniziative oltre quelle pianificate e compatibili con la gestione della rete.

La qualità delle ispezioni e la governance dei controlli è un altro snodo. Il rapporto fra concessionario e società di engineering incaricata delle verifiche è stato passato al setaccio per valutare indipendenza, metodologie e tracciabilità delle risultanze. La Procura sostiene che tale rapporto abbia creato una permeabilità poco salutare tra chi gestiva e chi certificava, con il rischio di conflitti o di sottostima del rischio. I legali degli imputati rispondono richiamando procedure codificate, norme tecniche vigenti e controlli esterni. Il tribunale, in questo quadro, è chiamato a bilanciare lettera delle norme e spirito della prevenzione, verificando se i processi di controllo fossero adeguati non solo sulla carta, ma anche nella pratica.

Un terzo pilastro di prova riguarda i programmi di manutenzione e i budget destinati alla sicurezza. Gli atti illustrano proposte, varianti, pianificazioni pluriennali e prioritizzazioni che si sono susseguite negli anni. La questione è estremamente concreta: gli interventi strutturali richiesti dal ponte Morandi sono stati valutati, programmati e in parte affidati, ma la loro tempistica effettiva e il perimetro degli interventi sono diventati terreno di contesa. Gli inquirenti parlano di ritardi significativi e di ridimensionamenti che avrebbero inciso sulla robustezza residua dell’opera; le difese ribattono che i lavori erano in pipeline, che le attività erano coerenti con il quadro informativo e che l’urgenza ex post non può essere retroproiettata come prova di colpa ex ante.

Infine, vi è il tema delle comunicazioni interne: email, relazioni, appunti, verbali. Qui la Procura intravede una consapevolezza diffusa di problematiche strutturali e un livello di attenzione al rischio che, pur presente, non avrebbe prodotto una risposta proporzionata. Le difese contestano l’interpretazione e chiedono di distinguere fra preoccupazioni tecniche fisiologiche in opere complesse e allarmi certi che avrebbero imposto interventi immediati. È su questo crinale, sottilissimo, che il tribunale dovrà collocare la linea di responsabilità.

La linea della difesa e gli scenari di pena

Con la richiesta di condanna depositata, la palla passa alle arringhe. La strategia difensiva ruota intorno a tre assi. Primo: causalità. Dimostrare che non esiste un nesso diretto tra le decisioni imputate a Castellucci e l’evento del 14 agosto 2018, oppure che quel nesso è interrotto da fattori tecnici o gestionali non riconducibili al vertice. Secondo: prevedibilità. Sostenere che, sulla base delle informazioni effettivamente disponibili prima del crollo, nessun gestore ragionevole avrebbe potuto anticipare la dinamica e il timing del collasso con il grado di certezza necessario per chiudere o declassare l’opera. Terzo: conformità. Evidenziare che ispezioni, monitoraggi e piani erano conformi alle norme e alle prassi allora vigenti, magari imperfette, ma adottate dall’intero settore.

Se il tribunale dovesse accogliere in tutto o in parte la tesi della Procura, restano da considerare gli effetti concreti della pena. La richiesta di 18 anni e 6 mesi inquadra un range severo; la decisione finale potrà tener conto di attenuanti, di eventuali prescrizioni su capi minori e dell’eventuale concorso con altre vicende penali. L’età e le condizioni personali degli imputati incidono sulle modalità di esecuzione e sui regimi penitenziari, ma l’elemento centrale è la pronuncia di colpevolezza o assoluzione sul nucleo dei reati contestati. Per chi guarda dall’esterno, è vitale non confondere i tempi della giustizia con i tempi mediatici: una richiesta di pena è il manifesto dell’accusa, non l’ultima parola.

È altrettanto plausibile che le difese concentrino parte dell’argomentazione sul quadro normativo e sulla ripartizione delle funzioni fra concessionario e autorità di vigilanza. In una rete stratificata come quella italiana, i controlli sono multilivello: società concessionaria, società di ingegneria, organismi ministeriali e talvolta enti terzi. Dimostrare che la vigilanza pubblica non ha rilevato anomalie determinanti o che le prescrizioni non imponevano misure drastiche potrebbe diventare una leva per ridurre l’addebito di colpa a carico dei vertici aziendali. D’altro canto, la Procura cercherà di far valere il principio per cui il gestore è il primo garante della sicurezza dell’opera e non può invocare a propria discolpa eventuali lacune del sistema di controllo.

Sul piano pratico, l’esito avrà anche un risvolto risarcitorio. Il processo penale convive con azioni civili e transazioni già intervenute negli anni successivi al crollo, ma la condanna o l’assoluzione influenzeranno il quadro delle responsabilità e la quantificazione dei danni residui. Per i familiari delle vittime, quanto accade in aula ha una dimensione che va oltre la pena in sé: una affermazione di responsabilità o un proscioglimento pesano sulla memoria pubblica della tragedia e sul percorso di ricomposizione che Genova sta affrontando fin dal giorno del crollo.

Ricadute su rete, aziende e regolazione

Al di là delle persone fisiche coinvolte, il caso Morandi ha già inciso sul modello di gestione delle infrastrutture in Italia. La pressione regolare di opinione pubblica, istituzioni e media ha accelerato piani di manutenzione e monitoraggi sulla rete, con più cantieri visibili e una comunicazione più puntuale su interventi e chiusure programmate. Una condanna significativa nei confronti dell’ex vertice del concessionario potrebbe spingere ulteriormente verso barriere più robuste tra chi progetta e chi verifica, affinando i requisiti di indipendenza delle società che svolgono ispezioni e introducendo standard più stringenti su durabilità dei materiali, frequenza delle ispezioni e tracciabilità delle decisioni manutentive.

Per Autostrade per l’Italia, che negli ultimi anni ha vissuto un percorso di ristrutturazione dell’azionariato e di revisione dei processi interni, il processo è insieme passato e presente. Sul piano strettamente giuridico, il dibattimento riguarda condotte anteriori e responsabilità personali; sul piano reputazionale, ogni passaggio di rilievo incide sulla fiducia verso il gestore, la cui attività si misura ogni giorno nella sicurezza percepita dagli utenti. Nel frattempo, gli effetti regolatori hanno già prodotto un rafforzamento della vigilanza e un’attenzione più serrata su opere critiche e viadotti datati. Il sistema nel suo complesso sta internalizzando una lezione netta: la manutenzione non è una variabile di bilancio comprimibile senza conseguenze, ma un capitale da preservare.

Per lo Stato e per le autorità di controllo, la vicenda è una cartina tornasole sulla responsabilità condivisa. Un’eventuale condanna di vertice può tradursi in un impulso a rivedere procedure e potestà ispettive, a standardizzare meglio la raccolta dati sullo stato delle opere e a rendere più trasparenti le priorità di intervento. È verosimile che l’esito del processo, qualunque esso sia, alimenti una nuova stagione di linee guida tecniche e adempimenti per le concessionarie, con l’obiettivo di ridurre le asimmetrie informative e mitigare i rischi correlati a infrastrutture realizzate decenni fa. Le aziende del settore, dal canto loro, hanno già iniziato a ridefinire la governance dei rischi, con comitati dedicati, audit indipendenti e una diversa accountability su tempi e qualità degli interventi.

Per gli automobilisti e gli autotrasportatori, risultati tangibili sono traducibili in più lavori in rete, chiusure temporanee e talvolta disagi. È il prezzo di un ripensamento che privilegia la prevenzione rispetto alla mera continuità del traffico. Nella percezione dei cittadini, la credibilità di gestori e istituzioni passa da qui: meno promesse generiche e più piani pubblici, cronoprogrammi e verifiche divulgate con chiarezza. Al termine del processo, indipendentemente dall’esito, questo approccio pragmatico resterà un punto fermo.

Le prossime tappe in tribunale

Dopo la richiesta contro Castellucci, la Procura proseguirà con le quantificazioni di pena per gli altri imputati. Seguirà il calendario delle arringhe difensive, che potrebbero occupare diverse udienze, vista la mole del fascicolo e il numero di posizioni da trattare. Al termine, il collegio fisserà la camera di consiglio. Non esiste al momento una data ufficiale per la sentenza, ma la traiettoria è tracciata: si entra nella fase in cui il tribunale deve pesare ogni elemento, sciogliere i contrasti fra consulenze, ricondurre la narrazione processuale a un impianto motivazionale coerente e verificabile.

Per i lettori, è utile tenere a mente alcuni punti fermi. Anzitutto, la richiesta della Procura non vincola il giudice: è un parametro che segnala quanto l’accusa ritenga grave il comportamento contestato. In secondo luogo, il processo di primo grado è solo una tappa dell’iter giudiziario: in caso di condanna, sono possibili impugnazioni in appello e Cassazione; in caso di assoluzione, le eventuali impugnazioni dell’accusa seguiranno le stesse strade. Infine, l’eventuale pronuncia di condanna o assoluzione non esaurisce il capitolo civile e amministrativo della vicenda, che si è già sviluppato in parallelo con accordi e procedimenti diversi.

La calendarizzazione delle prossime udienze verrà resa nota dal tribunale, ma l’indicazione che emerge è di una chiusura della fase dibattimentale non lontana, compatibile con la complessità del dossier. Per il sistema Paese, conoscere la verità processuale a distanza di oltre sette anni dalla tragedia è un passaggio indispensabile. Per Genova, lo è ancora di più, perché l’ombra del Morandi ha accompagnato ogni progetto, ogni cantiere e ogni scelta di mobilità dal 2018 a oggi. Qualunque sia l’esito, la motivazione della sentenza dovrà confrontarsi con il bisogno di chiarezza dei familiari delle vittime e con l’esigenza di certezza per chi ogni giorno percorre i nostri viadotti.

Il peso specifico di una richiesta così alta

La richiesta di 18 anni e 6 mesi non è soltanto una cifra impressa negli articoli di cronaca: è lo strumento con cui la Procura prova a rappresentare, in termini comprensibili, la portata delle condotte contestate. Per arrivare a una quantificazione così elevata, l’accusa ha costruito un’architettura in cui convergono la gravità dell’evento, il numero delle vittime, la posizione apicale dell’imputato e la lettura di condotte seriali o comunque protratte nel tempo. È un messaggio chiaro anche sul piano dissuasivo: sulle infrastrutture strategiche, la soglia di tolleranza per errori e leggerezze si abbassa drasticamente.

È importante però non scivolare nell’idea che la severità della richiesta anticipi l’esito. I processi penali si reggono su prove, contraddittorio e motivazioni. La credibilità dell’esito finale dipenderà dalla chiarezza con cui il collegio riuscirà a rispondere a domande semplici ma decisive: cosa sapevano i vertici, cosa potevano ragionevolmente fare in base alle conoscenze all’epoca disponibili, quali decisioni specifiche hanno inciso sul rischio e con quale peso. In altre parole, la sentenza dovrà distinguere con precisione fra errori organizzativi e condotte penalmente rilevanti, indicando quando e come la linea è stata superata.

In questo senso, il caso Morandi è anche un banco di prova metodologico. La tracciabilità delle decisioni tecniche e gestionali è il cuore della prevenzione nelle opere complesse. Documentare perché un intervento si fa o non si fa, come si priorizza un viadotto rispetto a un altro, quali indicatori fanno scattare allerta e misure conservative: se qualcosa di tutto questo non ha funzionato, il processo lo renderà evidente. Se, viceversa, emergerà che l’evento era statisticamente imprevisto nonostante procedure coerenti, sarà un dato altrettanto rilevante. In entrambi i casi, l’effetto più utile per chi guida, per chi gestisce e per chi controlla sarà la chiarezza.

Dopo sette anni: cosa ci dirà davvero la sentenza

A oltre sette anni dal crollo, la sentenza del processo Morandi dirà due cose che contano davvero per i lettori. Primo: chi risponde penalmente di ciò che è accaduto, con nomi, reati e pene, se del caso. Secondo: quali regole e procedure hanno funzionato e quali no, affinché la rete nazionale riduca ulteriormente il rischio di eventi analoghi. Perché la giustizia è anche prevenzione: ogni paragrafo della motivazione potrà diventare linea guida tecnica, regolatoria e organizzativa per concessionari e vigilanza.

La richiesta di 18 anni e 6 mesi per Giovanni Castellucci segna una soglia che nessuno può ignorare. Non è la fine del processo, ma una tappa che obbliga tutti — istituzioni, aziende e cittadini — a guardare dentro le decisioni che determinano la sicurezza di ciò che percorriamo ogni giorno. Quando arriverà la pronuncia, il valore non starà solo nei numeri, ma nella trasparenza con cui verranno ricostruiti i fatti e distribuite le responsabilità. È da lì che passa la fiducia: quella degli utenti della rete, dei familiari delle vittime e di una città che, pur avendo già ricostruito un ponte, ha bisogno soprattutto di ricostruire certezza.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: Corriere della SeraSky TG24Il Postla RepubblicaANSAIl Secolo XIX.

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