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Perché UniCredit ritira l’offerta su Banco BPM: ecco cos’è successo

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due operatori bancari studiano strategie davanti al pc

UniCredit rinuncia a Banco BPM dopo tensioni politiche e vincoli normativi. Tutti i retroscena, numeri e scenari del nuovo risiko bancario italiano.

Nelle ultime settimane, la decisione di UniCredit di ritirare l’offerta pubblica di scambio su Banco BPM ha smosso gli equilibri del sistema bancario italiano.

L’operazione, che avrebbe dato vita a un polo da oltre 1.000 miliardi di euro in attivi, è saltata per una combinazione di fattori politici, regolatori ed economici. Ma non si tratta solo di cifre o strategie aziendali: dietro c’è anche una visione precisa di cosa deve – o non deve – essere il futuro delle banche italiane. E il risultato, va detto, non è affatto neutro.

Il nodo del golden power: cosa ha fatto il governo

Quando si parla di “golden power”, spesso si pensa a una leva d’emergenza, da usare in caso di tentativi stranieri ostili. Ma in questo caso, è stato il governo italiano a farne uso verso un’azienda italiana. L’Esecutivo ha imposto a UniCredit vincoli considerati “sproporzionati e penalizzanti”, come l’uscita forzata dal mercato russo entro nove mesi e il mantenimento dei livelli di prestiti e depositi per cinque anni.

Non solo: tra le condizioni figurava anche il divieto di ridurre il portafoglio di project financing e una “raccomandazione vincolante” sulla gestione della quota in Anima Holding. Una sorta di recinto troppo stretto, che ha tolto ossigeno all’offerta e scoraggiato un confronto diretto con i soci BPM. UniCredit, in risposta, ha parlato apertamente di una “situazione ostile e incerta”, che avrebbe impedito di portare avanti un’operazione trasparente.

Cosa ha detto il TAR e cosa ha fatto Bruxelles

Il TAR del Lazio, in tempi record, ha smontato due delle quattro clausole imposte dal governo, riconoscendone la debolezza giuridica. In particolare, ha definito eccessive le condizioni su finanziamenti e project finance, e ha convertito in “non vincolante” il parere su Anima. Ma la clausola sull’uscita da Mosca è rimasta intatta. E questo ha continuato a pesare come una zavorra.

Nel frattempo, la Commissione Europea ha chiesto spiegazioni all’Italia, ipotizzando che le condizioni imposte possano violare le regole comunitarie sulle concentrazioni. In sostanza, l’Europa vede nella gestione del golden power un rischio per il mercato unico. Se Roma non fornirà chiarimenti convincenti, potrebbe esserci un provvedimento formale.

Perché UniCredit ha fatto un passo indietro

L’amministratore delegato Andrea Orcel non ha usato mezzi termini. L’ambiente normativo è diventato ingestibile. L’offerta pubblica di scambio è stata congelata da proroghe continue, incertezze regolamentari e condizioni extra-mercato che rendevano impossibile spiegare ai soci BPM le potenzialità dell’operazione.

Inoltre, secondo Orcel, l’assenza di dialogo ha generato un clima di sfiducia. E i numeri lo confermano: solo lo 0,5% del capitale BPM aveva finora aderito all’offerta. Un dato che, di fatto, ha reso l’iniziativa poco sostenibile. “Non ha senso forzare un matrimonio quando l’altra parte non può neppure parlare”, avrebbe detto internamente uno dei vertici UniCredit.

I numeri parlano chiaro: un bilancio solido

Eppure, la banca non è in crisi. Anzi. Il ritiro dell’offerta è arrivato lo stesso giorno in cui UniCredit ha annunciato utili semestrali record: 2,9 miliardi netti, che salgono a 3,3 miliardi considerando gli aggiustamenti. L’obiettivo annuo è stato rivisto al rialzo, a oltre 10 miliardi. E il piano di ritorni agli azionisti – tra dividendi e buy-back – resta confermato a 30 miliardi entro il 2027.

In altre parole: l’acquisizione non era necessaria. Serviva a crescere, certo. Ma non a sopravvivere. E, a fronte delle incertezze normative, Orcel ha preferito rinunciare piuttosto che correre rischi che avrebbero potuto compromettere la strategia industriale.

Cosa succede ora a Banco BPM

Banco BPM si ritrova libera, ma osservata speciale. Il primo azionista resta Crédit Agricole, con una quota superiore al 9,9%, che – secondo indiscrezioni – sarebbe già salita oltre il 15%. L’uscita di scena di UniCredit potrebbe aprire la porta proprio al colosso francese, che già da tempo mira a rafforzarsi in Italia.

Non è escluso, però, che il governo preferisca un piano alternativo: una fusione tra BPM e Monte dei Paschi di Siena, ancora sotto il controllo statale. Una mossa che manterrebbe l’asse pubblico in una delle maggiori banche italiane, allontanando lo spettro di acquisizioni estere. Ma, ancora una volta, ci vorranno mesi – se non anni – per capirne l’esito.

E il progetto europeo di fusioni bancarie?

La vicenda BPM-UniCredit è lo specchio di qualcosa di più grande: il rischio che il progetto di consolidamento bancario europeo si blocchi. La Banca Centrale Europea spinge da anni per la creazione di “campioni paneuropei”, in grado di competere con i giganti statunitensi e cinesi.

Ma tra vincoli normativi, golden power e nazionalismi economici, la strada è in salita. Anche in Germania e Spagna, operazioni simili sono state frenate da interventi politici. E Bruxelles ha già lanciato segnali: serve una regia europea, oppure la competitività del settore rischia di restare frammentata e vulnerabile.

E UniCredit? Sguardo già altrove

Chiusa la porta su Banco BPM, UniCredit guarda ora verso nord. Il dossier Commerzbank – banca tedesca a controllo pubblico – è tornato in auge, ma anche lì le resistenze sono forti. Il governo tedesco ha già fatto sapere di non voler cedere facilmente, ma i contatti sarebbero avviati.

In parallelo, UniCredit punta a rafforzare il digital banking, con una serie di investimenti nella rete diretta e nell’intelligenza artificiale applicata alla gestione del credito. In sostanza: se il risiko italiano si è fermato, la crescita proseguirà altrove. E con altri strumenti.

Valeva davvero la pena? Uno sguardo senza filtri

Il progetto BPM aveva una logica industriale, ma è finito per incagliarsi tra veti incrociati, rivalità tra fondi e mancanza di dialogo. Alla fine, ha prevalso il pragmatismo. UniCredit non ha perso nulla. Anzi, ha evitato di entrare in un campo minato.

Per il sistema bancario italiano, però, questa resta una lezione scomoda. Ogni volta che l’intervento statale si sovrappone al mercato, i tempi si allungano, le opportunità sfumano e i capitali stranieri si allontanano. E alla fine, a pagare, sono spesso i piccoli risparmiatori.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: Il Sole 24 Orela RepubblicaCorriere della SeraANSA.

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