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Perché la RAI ha licenziato Enrico Varriale? Cosa è successo

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RAI ha licenziato Enrico Varriale

La Rai ha risolto il contratto di lavoro con Enrico Varriale “per giusta causa” il 2 ottobre 2025. La comunicazione è arrivata alla redazione di Rai Sport con una nota firmata dalla direzione e ha effetto immediato, senza preavviso, come previsto dalla normativa quando la prosecuzione del rapporto viene ritenuta incompatibile con gli interessi e l’immagine del datore di lavoro. La decisione segue la condanna in primo grado del 13 giugno 2025 a dieci mesi (pena sospesa) per atti persecutori e lesioni ai danni dell’ex compagna, in un quadro in cui è presente anche un secondo procedimento penale tuttora pendente. L’azienda ha applicato l’istituto della giusta causa in base a una valutazione complessiva dell’impatto reputazionale e deontologico connesso al ruolo pubblico del giornalista.

Sul piano pratico, l’effetto è netto: Varriale non è più un dipendente della Rai né un volto spendibile nei contenitori sportivi del servizio pubblico. La scelta non altera il palinsesto in modo sostanziale, perché il giornalista era già stato progressivamente allontanato dalle conduzioni e dalle presenze in video nelle ultime stagioni; incide però sull’assetto interno, chiudendo una storia professionale trentennale e fissando uno standard aziendale per casi analoghi in futuro. Resta garantita la presunzione d’innocenza sul fronte penale, con i possibili gradi di impugnazione, ma l’azienda ha ritenuto non più sostenibile il rapporto di lavoro alla luce degli atti disponibili e dei profili disciplinari.

Perché la RAI manda via Varriale e come mai ora

La formula è “giusta causa”, l’ipotesi più grave nel diritto del lavoro italiano perché rompe il rapporto senza preavviso e senza obbligo di indennità sostitutiva. Nel lessico della Pubblica Amministrazione e delle partecipate, la giusta causa si valuta su più livelli: condotta del dipendente, ruolo mediatico, danno d’immagine attuale e potenziale, coerenza con codici interni e carta dei valori. La condanna del 13 giugno 2025 ha rappresentato il punto di svolta, dato che il giudice ha riconosciuto responsabilità penali (pur in primo grado) e un obbligo di percorso rieducativo presso centri specializzati, misura che ha un peso simbolico e sostanziale per un volto del servizio pubblico.

Perché ora? Tra giugno e inizio ottobre si è svolta la trafila interna tipica dei casi disciplinari: acquisizione di sentenza e atti, pareri legali, confronto con la direzione editoriale, verifica dei precedenti provvedimenti, quantificazione del rischio reputazionale. La valutazione è stata anche prospettica: l’eco mediatica non si sarebbe esaurita, con un secondo processo in corso; mantenerlo in organico, seppure non in video, avrebbe continuato a riflettersi sul brand.

Che cosa comporta per l’azienda e per il giornalista

Per l’azienda la rottura elimina un fattore di incertezza e mette in chiaro i criteri disciplinari in materia di condotte extra-professionali che impattano sulla credibilità editoriale. Per il giornalista si apre lo spazio, se lo riterrà, per un’impugnazione in sede giuslavoristica della misura, mentre sul versante penale potrà proseguire con l’appello.

Sono percorsi distinti: il giudice del lavoro valuterà la legittimità del licenziamento alla luce di codice civile, contratti, regolamenti interni e proporzionalità della sanzione; non è automatico che un diverso sviluppo penale modifichi retroattivamente la tenuta disciplinare, ma potrà pesare.

Un divorzio annunciato: dalle prime indagini alla sentenza

Agosto 2021 è l’anno-chiave da cui originano le contestazioni poi sfociate nel procedimento penale. Nel 2022 emergono misure cautelari e l’avvio del processo. Nel 2024 arriva un rinvio a giudizio in un secondo filone con una diversa denunciante. Il 13 giugno 2025 il Tribunale di Roma condanna Varriale a dieci mesi per stalking e lesioni, con sospensione della pena e indicazioni per un percorso trattamentale in caso di definitività. Il 2 ottobre 2025 la Rai chiude il rapporto di lavoro per giusta causa.

L’arco temporale racconta due cose. Primo: la progressiva separazione editoriale tra Varriale e il video, già visibile da tempo, con utilizzi sempre più sporadici e un ruolo ridotto. Secondo: la scelta finale si inserisce alla fine di un percorso, non è una reazione a caldo. La tempistica di tre mesi tra la sentenza e il provvedimento rientra nella fisiologia dei grandi enti, dove la materia disciplinare richiede atti completi e un’istruttoria scrupolosa.

I passaggi che hanno pesato

La condanna di primo grado è il passaggio più rilevante, per natura e contenuti della decisione. Il secondo procedimento ha rafforzato il quadro complessivo considerato dall’azienda, spostando l’ago della bilancia sul fronte dell’impatto reputazionale.

Le pregresse misure cautelari e gli strascichi mediatici delle udienze hanno contribuito a consolidare una percezione pubblica incompatibile con l’autorevolezza richiesta a un volto di servizio pubblico.

Che cos’è la “giusta causa” nel giornalismo del servizio pubblico

In termini giuridici, la giusta causa si configura quando il fatto è così grave da non permettere la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. Nel giornalismo televisivo entrano in gioco specificità ulteriori: visibilità, fiducia del pubblico, aderenza ai codici interni, responsabilità dell’immagine. Non si tratta di trasformare l’azienda in un tribunale parallelo, ma di tutelare un patto fiduciario: chi informa in tv per conto del servizio pubblico rappresenta il marchio anche fuori onda.

Nelle valutazioni pesano più elementi insieme: l’esistenza di una decisione giudiziaria (ancorché appellabile), la recidiva di condotte attribuite in più procedimenti, la rilevanza sociale del tema (violenza contro le donne, atti persecutori), l’eco mediatica potenziale e la posizione apicale o esposta del dipendente. Da qui discende la scelta di rompere il rapporto e non limitarsi a sospensioni o demansionamenti, giudicati insufficienti a neutralizzare il danno d’immagine.

La linea editoriale e i rischi reputazionali

La reputazione è un asset editoriale. In redazioni sportive molto esposte, che vivono di dirette, talk e social, l’affidabilità dei volti è parte del prodotto.

Un caso penale che segna la narrazione pubblica di un giornalista diventa in sé notizia ricorrente, con riverberi su ogni trasmissione e su ogni presenza. La scelta della Rai delimita il rischio e chiarisce agli stakeholder – audience, istituzioni, partner sportivi – che lo standard interno nei casi di condotte ritenute incompatibili è elevato.

Il profilo professionale di Enrico Varriale

Enrico Varriale è entrato in Rai nella seconda metà degli anni Ottanta e ha attraversato tutte le stagioni del racconto calcistico. È stato inviato, conduttore, autore, fino a diventare vicedirettore di Rai Sport nel 2019. Ha legato il suo nome a programmi storici della tv pubblica sul calcio, tra highlights e talk domenicali, seguendo nazionali, campionati e grandi eventi. La cifra espressiva diretta e divisiva lo ha reso un personaggio riconoscibile, dentro e fuori dallo schermo, anche per la presenza assidua sui social.

Negli ultimi anni la sua centralità televisiva si è ridimensionata. Il combinato disposto di riorganizzazioni interne, cambi di direzione, nuove impostazioni dei format e, soprattutto, l’avanzare delle vicende giudiziarie lo hanno progressivamente allontanato dalle conduzioni. Prima del provvedimento finale, il suo rapporto contrattuale era ancora attivo ma con incarichi ridotti, coerenti con una linea di prudenza editoriale. Il licenziamento del 2 ottobre chiude formalmente un percorso che, nei fatti, era già in fase discendente sul fronte operativo.

Episodi precedenti che hanno pesato

Tra il 2021 e il 2022 l’inchiesta penale ha determinato misure cautelari e una forte esposizione mediatica, con udienze e testimonianze che hanno alimentato la cronaca.

Nel 2024 è arrivato il rinvio a giudizio nel secondo filone; nel 2025 la sentenza di primo grado e l’eco mediatica collegata hanno consolidato il quadro. L’insieme di questi fattori ha agito come moltiplicatore del rischio reputazionale, spingendo la Rai verso la soluzione più netta.

Cosa cambia subito per Rai Sport e per i palinsesti

A livello di palinsesto, nulla di dirompente. Le principali trasmissioni sportive erano già strutturate con altri volti e squadra definita. La redazione prosegue la copertura del campionato e delle competizioni internazionali con l’assetto attuale. Sul piano interno, la chiusura del rapporto fa chiarezza sugli organici, elimina una fase di incertezza e libera margini per la pianificazione delle prossime stagioni sportive e dei grandi eventi in arrivo.

Per il pubblico, l’impatto è soprattutto simbolico. Varriale è stato per decenni un volto associato al calcio in Rai; la sua uscita segna una cesura nella memoria degli spettatori più affezionati. Nello stesso tempo, l’assenza in video da mesi ha già “abituato” l’audience al nuovo equilibrio, riducendo il rischio di shock da cambiamento. La linea che passa è di rigore e coerenza, in una fase storica in cui il tema delle condotte violente e del rispetto delle persone è al centro del discorso pubblico.

I prossimi passaggi possibili

Sul fronte legale potrebbero arrivare ricorsi sia in sede penale (appello sulla condanna) sia in sede del lavoro (impugnazione del licenziamento).

Sul fronte editoriale la Rai potrebbe rafforzare formazione e policy su uso dei social, prevenzione dei rischi reputazionali e gestione dei casi sensibili che coinvolgono figure esposte. Per il sistema dei media, il caso è un precedente su cui verranno tarate in futuro le risposte delle aziende rispetto a condotte extra-professionali di figure pubbliche.

Ultima pagina di una lunga storia televisiva

Restano i dati essenziali. Un licenziamento per giusta causa formalizzato il 2 ottobre 2025; una condanna di primo grado del 13 giugno 2025 a dieci mesi per stalking e lesioni con pena sospesa e indicazioni di percorso trattamentale; un secondo procedimento in corso; una carriera lunga e centrale nel racconto sportivo del servizio pubblico; una valutazione disciplinare che ha ritenuto non più sostenibile il rapporto. Il resto è cornice. La notizia, in sé, è che la Rai ha scelto la strada più drastica prevista dal diritto del lavoro, esercitandola dopo un’istruttoria e in coerenza con la responsabilità di un marchio che vive di credibilità.

Questo è ciò che cambia davvero: il rapporto tra Varriale e la Rai si chiude e la linea aziendale sui casi che intrecciano penale e immagine si conferma stringente. Gli esiti dei ricorsi diranno il resto, ma qui e ora è la misura disciplinare a definire l’orizzonte.

Il capitolo che si chiude riguarda un professionista che ha attraversato quarant’anni di tv pubblica e che, per scelta dell’azienda, non è più parte dell’organico.

La motivazione è chiara e si muove dentro una logica ormai consolidata: tutelare la fiducia del pubblico e la reputazione dell’informazione sportiva. La Rai volta pagina, la redazione prosegue il proprio lavoro, e l’industria dei media si ritrova con un precedente che farà scuola nella gestione delle crisi reputazionali legate a comportamenti personali di figure esposte.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: ANSAAGIAdnkronosla RepubblicaIl Fatto QuotidianoCorriere della Sera.

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