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Perché le galline non fanno uova: tutti i possibili motivi

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perché le galline non fanno uova

Il blocco della deposizione nasce quasi sempre dall’incrocio di luce insufficiente, muta stagionale, età, dieta sbilanciata, stress ambientale o problemi di salute. La priorità è verificare questi fattori con ordine, partendo dal fotoperiodo e dall’accesso ad acqua e mangime corretti, perché sono le leve che più rapidamente riportano il gruppo in equilibrio. In un contesto domestico italiano è normale osservare un calo tra fine autunno e inverno: le giornate corte spengono il segnale ormonale che avvia l’ovulazione, e l’animale dirotta energia sulla ricrescita del piumaggio. Non è un guasto: è fisiologia.

L’approccio più efficace è pratico e sequenziale. Si ripristinano 14–16 ore di luce complessiva con un timer regolare, si offre un mangime da deposizione con 16–18% di proteine e calcio sempre disponibile a libero consumo, si garantisce acqua pulita e fresca senza interruzioni, si riducono gli stress (sovraffollamento, predatori, rumori) e si monitora la presenza di parassiti o eventuali segni clinici. Con questo set di interventi, compatibilmente con stagione ed età del gruppo, la produzione riparte spesso nell’arco di poche settimane. Quando non accade, la pista sanitaria diventa prioritaria, con valutazioni mirate.

Luce e stagionalità: il pedale dell’ovario

La gallina “legge” il calendario con gli occhi e con recettori profondi nel cranio. La durata del giorno regola l’asse ormonale che governa l’ovulazione: sotto una certa soglia di luce l’ovaio rallenta, poi si ferma. È il motivo per cui, senza illuminazione di supporto, in Italia molte ovaiole scendono a zero tra novembre e gennaio. La luce non è un optional, è il pedale dell’acceleratore del sistema riproduttivo.

In una gestione domestica il punto non è creare giorno a mezzanotte, ma allungare l’alba in modo costante. Una lampada a LED caldo, montata alta e schermata per evitare abbagli, impostata con un timer che si attivi prima del sorgere del sole e si spenga quando l’esterno è già chiaro, consente di raggiungere la soglia delle 14–16 ore senza stressare il gruppo. L’errore più frequente è un uso on/off casuale: giorni con luce extra, giorni senza, orari ballerini. La conseguenza è una deregulation ormonale che peggiora il calo. Il sistema endocrino ama la coerenza: meglio una luce moderata ma sempre uguale che picchi disordinati.

Anche l’intensità conta. Per stimolare la deposizione servono pochi lux, più o meno la luminosità che permette di leggere senza sforzo nel punto più buio dell’area di alimentazione. Illuminare a giorno il ricovero non aggiunge uova e può innescare comportamenti nervosi, come beccaggio delle penne o competizioni esasperate per i nidi. La luce deve uniformare la percezione del tempo, non trasformare la notte in piazza d’armi.

C’è poi un aspetto strategico: scegliere se integrare o no. Accettare la pausa invernale, per chi produce per autoconsumo, può allungare la “carriera” delle galline e ridurre i costi. La pausa è un reset naturale che molte linee genetiche fanno volentieri, specie durante la muta. Chi invece desidera regolarità annuale può integrare la luce a partire da fine estate, in modo graduale. L’importante è evitare colpi di frusta: si sale, si mantiene, poi si scala con altrettanta gradualità.

Un dettaglio spesso risolutivo riguarda il ritmo del pollaio. Anticipare artificialmente l’alba è più stabile che prolungare la sera: le galline rientrano spontaneamente con il tramonto; se la luce resta accesa dietro l’angolo, si confondono i tempi di salita sui posatoi e aumenta il rischio di stress. Accendere la mattina aiuta il corpo a sincronizzarsi: sveglia dolce, colazione, attività, deposizione a metà mattina quando il metabolismo è già in marcia.

Età e genetica: cosa aspettarsi davvero

La curva produttiva non è un’autostrada in piano. Le ovaiole iniziano tra 18 e 22 settimane, toccano il picco tra 6 e 8 mesi e poi imboccano una discesa graduale. Dopo il secondo anno il calo diventa evidente e la frequenza si assesta su pochi pezzi a settimana, con pause più lunghe in inverno o durante la muta. È un andamento fisiologico, che varia con razza e linea.

Le linee leggere selezionate per la deposizione hanno un primo anno generoso se gestite con luce e dieta adeguate. Le razze a duplice attitudine (uova e carne) mostrano una curva più morbida, con meno record giornalieri ma maggiore robustezza caratteriale e fisica. Le razze ornamentali e di taglia grande, più lente, alternano periodi buoni a fasi di chiocciaggine, sospendendo la produzione senza malattia. Conoscere il profilo della propria popolazione evita indagini inutili: una Orpington anziana con piumaggio da muta e cresta pallida non “si è rotta”, sta seguendo il suo calendario.

Gestire il ricambio generazionale aiuta a livellare la curva annuale. Inserire ogni anno un piccolo gruppo di pollastre pronte a partire copre naturalmente il calo delle veterane. L’operazione va pianificata per non turbare l’ordine sociale: quarantena, presentazione graduale dietro rete, tempi generosi. Un gruppo stratificato per età è più resiliente: le giovani portano slancio, le adulte stabilità, le anziane esperienza sociale che smorza i litigi. In questo equilibrio, ogni età ha il suo valore.

Sull’età pesa anche la storia produttiva. Soggetti che hanno corso forte per dodici mesi di fila possono pagare dazio con una discesa più netta dopo i 24–30 mesi, specie se non hanno avuto una pausa naturale invernale. Viceversa, chi ha avuto una gestione più “stagionale”, con cali accettati e meno pressione luminosa, spesso mantiene una cadenza dignitosa più a lungo. Il messaggio non è ideologico: è gestionale. Ogni scelta ha un costo biologico che conviene valutare prima di inseguire un numero “a tutti i costi”.

Dieta e acqua: il carburante dell’uovo

L’uovo è un progetto ad alta intensità nutritiva. Per farlo con regolarità servono proteine di qualità, energia ben calibrata, aminoacidi essenziali (lisina, metionina in primis), calcio in quantità e forma disponibili, vitamina D3 per l’assorbimento, fosforo in equilibrio, oligoelementi come manganese e zinco che incidono sulla qualità del guscio. La via più sicura, per chi non formula razioni in proprio, è un mangime da deposizione professionale, integro e recente. È una scorciatoia intelligente: qualcuno ha già bilanciato per voi i rapporti tra nutrienti e la densità energetica.

Il calcio merita un paragrafo dedicato. Il fabbisogno sale proprio quando l’utero deposita il guscio, tipicamente nelle ore serali e notturne. È per questo che offrire gusci d’ostrica o carbonato di calcio a libero consumo accanto al mangime funziona meglio di “dopare” la razione. La gallina attinge quando serve e il corpo sfrutta il minerale con più efficienza. Attenzione a non confondere grit (sassolini per lo stomaco muscolare) con la fonte di calcio: sono due cose diverse, entrambe utili ma non intercambiabili. Quando il calcio manca, si vedono gusci sottili, uova “molli”, rotture in nido e una curva produttiva che si sbriciola.

Gli aminoacidi limitanti sono il collo di bottiglia silenzioso. Una dieta apparentemente proteica ma povera di metionina o lisina frena la sintesi dell’albume. Ecco perché “aggiungere mais” non risolve; anzi, diluisce il profilo aminoacidico e abbassa la qualità complessiva. Allo stesso modo, gli avanzi di cucina generosi ma casuali (pane, pasta, riso) riempiono il gozzo senza nutrire il ciclo riproduttivo. Semplificando: se l’obiettivo sono le uova, il mangime completo deve restare la base costante, gli extra uno sfizio misurato.

L’acqua è l’interruttore più rapido. Una gallina in produzione può bere diverse centinaia di millilitri al giorno, con picchi in estate. Se il beverino resta vuoto anche solo per un pomeriggio caldo, la deposizione salta nei giorni successivi. I contenitori vanno ombreggiati, puliti, stabili, senza ristagni che favoriscono alghe e batteri. In inverno l’acqua non deve gelare: quando è troppo fredda le galline bevono meno, con lo stesso effetto boomerang sulla produzione. In molte situazioni, ripristinare un accesso idrico impeccabile fa più differenza di qualunque integratore costoso.

Infine la conservazione del mangime. Sacchi aperti per settimane in ambienti umidi sviluppano muffe e rancidità dei grassi: un danno subdolo per fegato e intestino. Il risultato pratico è un pollaio che “mangia” ma non assimila, con un calo di deposizione che nessuno si spiega finché non si cambia lotto. Meglio acquistare quantità compatibili con il consumo reale e tenere i sacchi sollevati da terra, chiusi, al riparo.

Salute e parassiti: i freni invisibili

Una gallina può apparire in ordine e perdere uova per colpa di parassiti che lavorano di notte. Gli acari rossi si nascondono nelle fessure, escono al buio, succhiano sangue e rientrano all’alba. I segnali sono creste pallide, irrequietezza, ritrosia a dormire sui posatoi, macchie scure sui legni. Senza controllo meccanico e interventi mirati, la produzione crolla. Altri parassiti esterni, come pidocchi masticatori e pulci, erodono energie e scatenano prurito cronico, con lo stesso esito: il corpo spegne ciò che non è essenziale.

I vermi intestinali rubano nutrienti e infiammano la mucosa, soprattutto in contesti con terreno sempre uguale, presenza di selvatici o alta densità. Qui la prevenzione è una filiera: igiene, rotazioni delle aree di pascolo quando possibile, chiusura ai piccioni, lettiere asciutte, e, quando indicato, sverminazioni ragionate. Le scorciatoie “fai da te” con molecole a caso sono un boomerang: rischiano di creare resistenze e non risolvono il calo.

Sul fronte infettivo, alcune bronchiti virali e altre patologie respiratorie lasciano strascichi sull’apparato riproduttore: gusci irregolari, albumi acquosi, pause lunghe. In un gruppo che condivide lo spazio, la quarantena reale dei nuovi ingressi è un’assicurazione. Chi alleva più capi valuta piani vaccinali con un professionista. Non è terrorismo sanitario: è protezione della costanza produttiva.

Esistono poi problemi riproduttivi non infettivi. La ritenzione d’uovo blocca letteralmente la macchina: l’animale si isola, sforza, respira a becco aperto, tiene la coda bassa. La peritonite da tuorlo accumula materiale in addome, dando pancia tesa e calore. La deposizione interna cronica toglie di mezzo l’uscita naturale del ciclo. Sono condizioni che non si risolvono con rimedi casalinghi: serve veterinario, analgesia, talvolta terapia ormonale mirata o chirurgia. Riconoscerle in tempo salva la gallina e, più in generale, riporta ordine al gruppo.

Un capitolo spesso trascurato è il fegato grasso in soggetti poco attivi nutriti con troppe calorie “vuote”. Qui la spia è una gallina apparentemente ben pasciuta ma letargica, con cresta spenta e uova irregolari. La correzione è gestionale: più movimento, niente “premi” quotidiani di pane o dolci, mangime come base unica, integrazione minerale corretta. Non servono pozioni, serve disciplina.

Ambiente, nidi e routine che fanno la differenza

La gallina è un animale sociale con gerarchie. Ogni cambiamento brusco costa, e lo stress sociale è un freno potente alla deposizione. Introdurre nuove compagne senza periodo di affiancamento, spostare posatoi e nidi ogni settimana, cambiare orari di apertura e chiusura, lasciare il cane libero a correre lungo la rete: ognuno di questi fattori accende l’allarme. L’organismo risponde dirottando energia sulla sopravvivenza, non sulla riproduzione.

Gli spazi fanno ordine. In ricovero chiuso conviene rispettare densità realistiche: poche galline per metro quadrato, posatoi ampi (almeno 20–25 cm per capo), nidi allineati, asciutti, puliti e confortevoli. Un buon rapporto è un nido ogni 4–5 galline: riduce code, litigi e, soprattutto, deposizioni a terra. Lettiere asciutte e morbide invogliano la routine, mentre l’umidità deforma gusci e apre la porta a problemi respiratori. Ventilare senza creare spifferi diretti è un’arte: aria che gira, ma niente correnti addosso agli animali.

La chiocciaggine è un comportamento naturale che sospende la produzione. Alcune razze ci cascano più facilmente; non è una colpa, è selezione. Quando parte, la gallina resta nel nido, si gonfia, vocalizza e non depone. Se non si desidera covate, la strada più efficace è prevenire: togliere le uova con regolarità, evitare nidi troppo bui e nascosti che invitano alla permanenza, scegliere linee meno propense al comportamento. Se la chioccia insiste, isolare per qualche giorno in un recinto comodo ma senza nido, con luce e aria, spesso resetta l’assetto ormonale senza traumi.

La predazione incide anche quando il predatore non entra. Una volpe che pattuglia o un cane che abbaia tutta la notte alzano la soglia di allerta. Segni come piume sparse, animali che rifiutano i posatoi, galline ammassate nei nidi fuori orario meritano un sopralluogo. Rinforzare recinzioni, chiudere presto, lasciare buio dentro e luce di dissuasione fuori riduce il carico di stress. In estate, l’ombra vera (alberi, tettoie) e la ventilazione contano quanto la dieta: oltre i 30 °C lo stress da caldo riduce l’appetito, abbassa l’assunzione di nutrienti e taglia la produzione.

La routine quotidiana è l’olio nel motore. Orari regolari di apertura, alimentazione e chiusura, tono di voce e movimenti del custode sempre uguali, riducono micro-stress che si accumulano. Non è “parlare alle galline”: è buona zootecnia. Anche la gestione del tempo libero in giardino va curata: se l’area è vasta e l’erba alta, qualcuno aprirà un nido segreto. Il sospetto nasce quando una gallina entra ed esce dal nido “ufficiale” senza lasciare traccia ma mantiene cresta piena e comportamento da soggetto in produzione. Chiudere tutti in recinto per le prime ore del mattino e poi riaprire nel pomeriggio fa riaffiorare uova “perse” e restituisce controllo.

C’è un ultimo tassello, poco glamour ma decisivo: tracciabilità. Annotare quante uova si raccolgono ogni giorno, quando si è acceso il supporto luminoso, che lotto di mangime si sta usando, se è cambiato qualcosa in recinto. Quando la produzione cala, i numeri sbloccano la memoria e mostrano correlazioni che l’occhio non vede: proprio in quella settimana è cambiato il sacco, o si è ridotta un’ora di luce, o sono entrate nuove compagne. L’indizio giusto nasce spesso da una riga di quaderno.

Produttività che torna con scelte semplici

La deposizione regolare non dipende da un trucco segreto ma da coerenza. La luce stabilizza l’asse ormonale, l’età guida le aspettative, la dieta alimenta il ciclo, la salute toglie di mezzo i freni invisibili, l’ambiente riduce gli attriti. Investire in un timer affidabile, in un mangime da deposizione integro, in acqua sempre disponibile, in nidi puliti e in una routine che rassicura il gruppo vale più di qualunque scorciatoia. Quando arriva l’inverno o la muta, accettare il ritmo naturale non è perdere terreno: è fare squadra con la biologia per ritrovare costanza al momento giusto.

Chi gestisce un piccolo gruppo in Italia può permettersi una regia lucida: integrare la luce se serve davvero, introdurre pollastre ogni anno per coprire i fisiologici cali delle veterane, controllare periodicamente il pollaio con una torcia alla ricerca di acari, tenere un diario semplice. Dietro ogni cestino vuoto c’è quasi sempre una causa concreta e correggibile. Ritrovata la causa, l’uovo torna. E con esso torna la sensazione, concreta e quotidiana, che cura, metodo e pazienza siano la scelta più moderna che si possa fare in un pollaio. In fondo, la vera differenza sta nel saper leggere i segnali e nell’intervenire con mano ferma ma gentile: l’unica strada che funziona davvero, stagione dopo stagione.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: IZSLTIZSVeIZSLERRegione PiemonteATS BresciaUniversità di Bologna.

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