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Gi addetti alle emergenze da chi sono designati: la verità

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gli addetti alle emergenze da chi sono designati

In Italia gli addetti alla gestione delle emergenze in azienda — antincendio, primo soccorso ed evacuazione — sono designati dal datore di lavoro. È una responsabilità non delegabile nella sostanza organizzativa: chi dirige l’impresa individua i lavoratori che, in caso di incendio, malore o necessità di evacuare, intervengono per primi, attivano i soccorsi, coordinano l’uscita ordinata di colleghi e presenti. La scelta non si limita a un nome su un foglio. Deve essere proporzionata ai rischi reali, garantita su ogni turno, supportata da formazione certificata e da un piano praticabile. Senza nomine effettive, la catena dell’emergenza non esiste e il tempo perduto diventa un rischio concreto per le persone e per l’azienda.

Nel metodo, la procedura è altrettanto netta. Si parte dalla valutazione dei rischi aziendale e dal relativo assetto di prevenzione: processi produttivi, presenza di pubblico, layout dei locali, turni, eventuali lavoratori con fragilità, cantieri aperti, unità distaccate. In questo perimetro, il datore di lavoro seleziona i lavoratori da incaricare, li nomina per iscritto, organizza la formazione richiesta dalla normativa e si assicura che la copertura sia continua e sufficiente anche in ferie, malattia, missioni esterne. L’obiettivo non è riempire un faldone, ma rendere funzionante un sistema che nei primi minuti dell’evento critico può fare la differenza tra un incidente circoscritto e una crisi.

Cosa impone la legge italiana oggi

La cornice normativa è chiara e aggiornata. Il Testo Unico sulla salute e sicurezza stabilisce che ogni datore di lavoro designi i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi, lotta antincendio, evacuazione e primo soccorso. A questi incaricati si chiede presenza, addestramento e idoneità, non eroismo. La legge impone anche che il numero degli addetti sia adeguato alle dimensioni dell’azienda e alla natura dell’attività: una mensa affollata all’ora di pranzo non è una sala riunioni, un capannone con vernici e solventi non è un ufficio open space, un punto vendita in centro commerciale non è un laboratorio di analisi. La differenza non è teorica, perché influenza il livello di formazione antincendio, il gruppo di primo soccorso, le attrezzature e i tempi di risposta attesi.

Sul fronte antincendio, i decreti tecnici entrati a regime dal 2022 hanno sostituito le vecchie categorie “basso/medio/alto” con tre livelli di complessità. Ogni impresa viene inquadrata in base al profilo di rischio del luogo di lavoro e alla presenza di pubblico, con corsi e aggiornamenti tarati su quel livello. Per il primo soccorso, resta in vigore la classificazione in gruppi A, B e C secondo tipologia di attività, numero di lavoratori e distanza dal servizio di emergenza sanitaria. Ne discendono moduli formativi e aggiornamenti periodici precisi: in generale, l’antincendio prevede un richiamo almeno ogni cinque anni, il primo soccorso ogni tre anni, con esercitazioni pratiche obbligatorie. Se cambia il rischio — per esempio un ampliamento con nuovi solventi, un aumento del pubblico, un trasloco — il datore di lavoro rivaluta il profilo e ricalibra nomine e corsi.

Un aspetto spesso trascurato è la gestione documentale. La designazione degli addetti, la prova dell’avvenuta formazione, le prove di evacuazione annuali e gli eventuali addestramenti specifici devono essere tracciati. Non per burocrazia fine a sé stessa: la tracciabilità permette di dimostrare l’effettiva capacità del presidio interno e, soprattutto, aiuta a correggere il tiro quando emergono lacune. Un test di evacuazione con rientri disordinati o con tempi eccessivi non finisce nel cassetto: diventa materia per aggiornare il piano di emergenza, migliorare la segnaletica e rivedere il numero o la distribuzione degli addetti.

Come si scelgono e si nominano davvero

La selezione degli addetti non è una lotteria tra colleghi. Disponibilità, attitudine e presenza effettiva sono criteri determinanti. Chi copre turni critici o presidia aree sensibili è spesso la scelta più naturale, ma servono equilibrio e pluralità: non si nomina l’unico manutentore su cui ruota l’intero stabilimento né ci si affida all’amministrazione se lavora solo in orario d’ufficio mentre il reparto principale resta aperto fino a sera. Nei contesti con clientela o utenza esterna, la presenza di addetti in prima linea — reception, sala, punto vendita — accelera l’allarme e la gestione dei flussi.

La valutazione sanitaria ha un peso concreto. Alcune funzioni richiedono idoneità fisica adeguata (trasporto di estintori, movimentazione di cassette di primo soccorso, assistenza a persone con ridotta mobilità durante l’evacuazione). Non si tratta di discriminare, ma di costruire una squadra che, in caso di bisogno, possa effettivamente compiere le manovre previste. Chi ha limitazioni certificate o si trova in situazioni particolari — gravidanza, terapie, esiti di infortunio — può giustificare il rifiuto della designazione. La norma consente di non accettare l’incarico per giustificato motivo, da verificare caso per caso e da gestire con serietà, senza forzature.

Centralissimo è il tema della copertura temporale. Non basta nominare tre addetti se lavorano tutti al mattino e la produzione si concentra la sera. Ogni turno, ogni sede e ogni piano devono avere una presenza minima contemporanea di addetti antincendio e di primo soccorso. Questo porta, nella pratica, a strutture a geometria variabile: più persone abilitate di quelle “teoricamente” necessarie, così da coprire ferie, malattie, trasferte. È la logica delle ridondanze: l’emergenza non aspetta il rientro di Mario o Lucia.

Nel mosaico italiano ci sono poi casi particolari. Nei cantieri temporanei e mobili, ogni impresa esecutrice ha i propri addetti, ma l’impresa affidataria coordina e il committente, attraverso la cooperazione prevista dalla legge, assicura che i piani di emergenza comunichino tra loro. Nelle scuole il datore di lavoro è il dirigente scolastico: tra docenti e personale ATA vengono scelti gli incaricati, con prove di evacuazione che tengono conto di alunni con disabilità e di piani specifici per l’uscita assistita. Nelle strutture sanitarie e nelle residenze per anziani, il profilo antincendio è in genere più alto: le squadre interne sono più numerose, gli addestramenti più frequenti, i percorsi di evacuazione più articolati. Nei centri commerciali, tra negozi in affitto e aree comuni, la regia passa al gestore delle parti comuni, ma ogni negozio resta responsabile dei propri incaricati e del raccordo con il piano generale.

Lettera di designazione: cosa include

La lettera di designazione è l’atto formale che rende operativa la scelta. Non serve pompa retorica, ma chiarezza. Un documento ben scritto indica l’unità produttiva e i reparti di riferimento, specifica se l’incarico riguarda antincendio, primo soccorso, evacuazione o più funzioni, richiama i corsi da frequentare, indica i DPI e gli strumenti in dotazione (ad esempio, posizionamento delle cassette di primo soccorso, degli estintori, del defibrillatore, ove presente), precisa la copertura per turno e le modalità di sostituzione. La firma dell’azienda e la presa visione del lavoratore evitano equivoci. Molte imprese inseriscono la lettera nel fascicolo della sicurezza e affiggono, vicino ai telefoni o ai punti di raccolta, l’elenco aggiornato con nomi, turni e numeri interni. È una buona pratica da adottare sempre: riduce i tempi di attivazione e rassicura i nuovi assunti.

Formazione e aggiornamenti obbligatori

Gli addetti non sono “volontari generici”. La legge chiede che siano formati e addestrati con corsi riconosciuti, proporzionati al rischio dell’azienda. Per l’antincendio, i livelli previsti dai decreti del 2021 orientano durata, contenuti e parti pratiche: si va da moduli sintetici per luoghi a complessità ridotta fino a percorsi articolati per realtà con carichi d’incendio importanti, affollamento o presenza di persone non autonome. L’aggiornamento è quinquennale e include esercitazioni con attrezzature: estintori portatili, idranti a muro, coperta antifiamma, talvolta scenari con fumo artificiale per la gestione in condizioni realistiche. I docenti devono avere requisiti specifici e la parte pratica non può essere “saltata”: non c’è preparazione senza gesti ripetuti e memorizzati.

Il primo soccorso è regolato da una classificazione che tiene conto della natura dell’attività e della dimensione aziendale. I corsi insegnano a riconoscere l’emergenza sanitaria, attivare il 112, eseguire correttamente compressioni toraciche e uso del DAE se presente e se il personale è abilitato, gestire ostruzioni delle vie aeree, emorragie, traumi, ustioni, crisi convulsive, shock anafilattico e altri eventi compatibili con il contesto produttivo. Gli aggiornamenti ogni tre anni mantengono viva la memoria delle manovre, perché la competenza pratica si deteriora se non viene esercitata. Nei luoghi con pubblico o utenza fragile l’adozione del defibrillatore e del relativo addestramento BLSD è ormai uno standard virtuoso.

Le prove di evacuazione non sono un rito vuoto. Almeno una volta l’anno, la simulazione serve a misurare i tempi di esodo, verificare la fruibilità delle vie di fuga, allenare gli addetti all’assistenza delle persone con disabilità, testare la catena informativa e il punto di raccolta. Chi coordina redige un rapporto sintetico con criticità e miglioramenti proposti: porte ostruite, allarmi poco udibili, persone che rientrano per recuperare effetti personali, punti di imbuto. La volta dopo, si riparte da lì con correzioni chiare. È così che la formazione diventa cultura operativa.

Responsabilità, tutele e limiti operativi

L’incarico non trasforma un lavoratore in un professionista del soccorso. Gli addetti hanno compiti definiti: innescare la risposta, mettere in sicurezza l’area se possibile, assistere le persone, chiamare i soccorsi e fornire informazioni, guidare l’evacuazione secondo il piano. Non sostituiscono Vigili del Fuoco, sanitari o forze dell’ordine. Le manovre si fermano ai protocolli appresi: un addetto non improvvisa, non entra in zone sature di fumo senza protezioni idonee, non si mette in pericolo. La tutela assicurativa è quella del lavoro: se l’addetto si fa male durante un intervento, si tratta di infortunio in occasione di lavoro.

Sul piano giuridico, la responsabilità organizzativa resta del datore di lavoro. È lui che deve garantire numero sufficiente di addetti, formazione aggiornata, attrezzature in efficienza, piano e segnaletica coerenti. In caso di omissioni, le sanzioni sono significative e possono avere profili anche penali. Gli addetti, dal canto loro, hanno la facoltà di non accettare la nomina se esiste un giustificato motivo oggettivo: limiti sanitari, turni incompatibili con la copertura minima stabilita, altre mansioni che impediscono di allontanarsi. Il rifiuto “perché non ho tempo” o “perché non me la sento” non è di per sé sufficiente; si lavora su alternative, rotazioni, eventuali idoneità parziali. In molte imprese, per riconoscere l’impegno, la funzione è accompagnata da formazione in orario di lavoro, permessi per aggiornamenti e riconoscimenti interni: oltre a essere una buona pratica di relazione, è un incentivo a prendersi cura della sicurezza di tutti.

Attenzione anche all’esternalizzazione. Alcune realtà, specie grandi siti con orari prolungati, si dotano di presidi antincendio affidati a società specializzate. È una risorsa utile ma non sostitutiva: resta l’obbligo di designare addetti interni che conoscano processi, persone, abitudini del luogo. Le squadre esterne presidiano e supportano, non rimpiazzano l’occhio di chi vive ogni giorno quell’ambiente. Dove operano più imprese nello stesso luogo, il coordinamento evita sovrapposizioni e vuoti: i piani si parlano, gli addetti si riconoscono, le procedure sono coerenti. È nei primi tre minuti che tutto questo si misura.

Organizzare la copertura: casi concreti

Immaginiamo una PMI metalmeccanica con quaranta persone su due turni e verniciatura interna. Il datore di lavoro, dopo la valutazione dei rischi, inquadra il luogo a maggiore complessità antincendio e forma una decina di addetti distribuiti sui turni, con almeno due figure di primo soccorso sempre presenti. La verniciatura comporta gestione accurata di solventi, aree a rischio specifico, ventilazione e divieto di fiamme libere; gli addetti si addestrano all’uso di estintori idonei e all’impiego degli idranti nei corridoi, mentre la squadra di primo soccorso si aggiorna sulle ustioni chimiche e sulle procedure di decontaminazione previste. Le prove di evacuazione evidenziano un collo di bottiglia all’uscita del reparto finitura: il piano viene aggiornato con una nuova via di fuga segnalata e una riprogettazione degli stoccaggi.

In un punto vendita di abbigliamento in galleria commerciale, la priorità è la gestione del pubblico. Il gestore del centro coordina l’allarme generale e il flusso nelle aree comuni, ma il negozio deve poter spegnere un principio d’incendio in cassa o nel magazzino e accompagnare i clienti al punto di raccolta senza creare panico. Qui la designazione privilegia chi è sempre presente in sala, con turni studiati perché in ogni momento ci sia almeno un addetto antincendio e uno di primo soccorso. La cartellonistica è visibile anche agli ospiti stranieri, l’annuncio al pubblico è pronto in doppia lingua, l’esercitazione si fa prima dell’apertura per testare percorsi e tempi senza interferire con l’afflusso.

Nel call center con centinaia di operatori su tre turni, la sfida è quantitativa e logistica. La presenza simultanea di molte persone nello stesso piano richiede gruppi di addetti ben distribuiti, con capisquadra riconoscibili e una catena di comunicazione rapida. Le prove di evacuazione diventano l’occasione per verificare scale alternative, porte tagliafuoco e aree di attesa protette per chi ha mobilità ridotta. L’uso di cuffie rende meno udibili gli allarmi: ecco perché si introducono anche segnali luminosi e messaggi su monitor. Gli addetti di primo soccorso tengono una checklist per l’intervento: guanti, valutazione primaria, allertamento del soccorso pubblico, accompagnamento all’infermeria interna se presente.

In un cantiere edile che lavora su un edificio storico, si intrecciano rischi da altezza, polveri, macchine, taglio, elettricità. Ogni impresa designa i propri addetti, ma l’impresa affidataria li coordina; la presenza di fasi lavorative diverse nello stesso spazio impone riunioni brevi e frequenti sulla gestione dell’emergenza, numero di estintori mobili in quota, punto di raccolta variabile in funzione dell’area di lavoro del giorno. Il primo soccorso affina l’attenzione su traumi e sanguinamenti importanti, mentre l’evacuazione considera linee vita e percorsi verticali.

Nella scuola di quartiere, tra aule, palestre e laboratori, la designazione tiene conto dei cambi d’ora e delle uscite scaglionate. Il piano d’emergenza prevede l’assistenza a studenti con disabilità e l’uso di sedie d’evacuazione sulle rampe dove installate. Due volte l’anno, l’esercitazione si fa con tutto l’istituto: docenti addetti all’evacuazione misurano i tempi dal suono della campanella all’arrivo al cortile, il personale ATA controlla porte e corridoi, i referenti di primo soccorso presidiano i punti critici. La designazione è aggiornata a ogni inizio d’anno scolastico, con corsi ripetuti per chi cambia plesso.

Nel co-working cittadino, più microimprese condividono lo stesso spazio. Il gestore dell’immobile predispone un piano di emergenza e una squadra per le aree comuni, ma ciascuna società con dipendenti designa i propri addetti interni, anche se piccoli team. Il raccordo tra i due livelli è essenziale: chi si trova a intervenire per primo deve sapere chi chiamare e come attivare l’allarme generale. La segnaletica indica chiaramente estintori, uscite, punti di raccolta, e il personale di reception è formato a dirigere i flussi quando la sala è affollata da ospiti esterni.

Infine, nell’azienda diffusa con smart working parziale, gli addetti coprono i giorni di presenza in sede. Il telelavoro non elimina l’obbligo, lo ricalibra: in ufficio ci sono meno persone, ma l’emergenza richiede comunque una risposta. L’elenco addetti, condiviso su intranet, viene aggiornato per turno e per presenza programmata; la formazione si concentra su spazi effettivi e attrezzature reali, non su scenari astratti.

Errori tipici e soluzioni pratiche

Il primo errore è credere che “basti un nominativo”. Un addetto assente o senza formazione aggiornata è una casella vuota. Serve una mappa dinamica della copertura, aggiornata da chi gestisce i turni e verificata periodicamente. Nelle realtà piccole, la soluzione è spesso formare tutti o quasi, così da avere una squadra diffusa; nelle grandi, si investe in capisquadra riconoscibili e in strumenti di comunicazione rapidi, compresi messaggi interni che scattano con l’allarme.

Il secondo errore è copiare piani di altri. Ogni luogo ha ritmi, persone, percorsi diversi. Un piano che funziona altrove non funziona necessariamente qui. La soluzione è osservare come si muove davvero la popolazione aziendale, dove si formano code, quali porte restano chiuse, quali spazi sono usati come deposito. Le prove di evacuazione diventano l’alleato per scoprire la realtà non raccontata.

Il terzo errore è trascurare la manutenzione delle attrezzature. Un estintore senza pressione, un idrante con la lancia bloccata, un DAE con batteria scarica sono errori che si pagano. La manutenzione periodica, registrata e controllata, non è un tecnicismo: è la condizione perché l’addetto possa agire. La soluzione è integrare gli addetti nella cultura delle verifiche: sanno dov’è tutto, riconoscono un anomalia, segnalano.

Altro errore frequente è non considerare le persone con mobilità ridotta o con esigenze particolari. Medesimi percorsi non funzionano per tutti. La risposta è predisporre piani personalizzati, nominare addetti all’assistenza specifica, testare sedie d’evacuazione o aree di attesa protette dove previsto. L’evacuazione inclusiva non si improvvisa, si prova.

C’è poi il fattore lingua. In molti contesti lavorano stranieri o transitano clienti internazionali. Allarmi solo in italiano, istruzioni complesse, annunci poco chiari creano confusione. La soluzione è una segnaletica universale, annunci semplici e, se necessario, bilingui. Gli addetti allenano anche la comunicazione: una frase breve, un gesto chiaro, un percorso indicato con la mano valgono più di un discorso.

Un errore sottile ma diffuso è considerare gli addetti come un adempimento di HR. Invece appartengono all’operatività. Devono conoscere il ciclo produttivo, gli impianti, le aree interdette, i dispositivi di sgancio e le chiavi delle uscite. Devono saper leggere una planimetria e riconoscere i pittogrammi di sicurezza. La soluzione è includerli nelle verifiche periodiche, nelle riunioni tecniche, nelle simulazioni con scenari realistici: fumo che riduce la visibilità, persona a terra vicino a una macchina, materiale che brucia in un punto non banale.

Infine, la comunicazione con l’esterno. L’addetto deve saper fornire al 112 o ai Vigili del Fuoco l’indirizzo preciso, l’accesso consigliato, la tipologia di evento, l’eventuale presenza di sostanze pericolose. Sono informazioni che si preparano prima, scritte vicino ai telefoni o nella plancia di emergenza. Al resto pensano i professionisti del soccorso, ma l’avvio ordina tutto: chi chiama, chi guida l’esodo, chi assiste.

Quando la preparazione salva minuti decisivi

Tutto converge su un punto semplice: gli addetti alle emergenze sono designati dal datore di lavoro, perché solo chi governa l’organizzazione può garantirne numero, formazione e presenza.

Da qui discende un metodo concreto che non lascia spazio alle ambiguità. Si analizzano i rischi reali, si scelgono persone idonee e presenti, si formalizza la nomina per iscritto, si pianifica la formazione con gli aggiornamenti previsti, si cura la copertura sui turni, si eseguono prove che generano miglioramenti misurabili. L’azienda che lo fa davvero non è quella che sfoggia un faldone impeccabile, ma quella che, quando suona l’allarme, sa già cosa fare. I primi tre minuti non sono mai gentili: sono confusi, rumorosi, spesso emotivi.

Proprio lì la differenza la fanno le persone giuste, al posto giusto, con un compito chiaro e la serenità che viene dall’aver provato prima. È una responsabilità che vale per ogni impresa, pubblica o privata, piccola o grande. E non è un dettaglio: è organizzazione che diventa sicurezza.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: NormattivaGazzetta UfficialeVigili del FuocoMinistero del LavoroINAIL.

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