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Francia, manovra di Lecornu: quale destino del governo?

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Francia manovra di Lecornu

Il destino del governo francese guidato da Sébastien Lecornu si decide nelle prossime ore, con un obiettivo immediato: presentare e far avanzare la legge di bilancio entro domani, lunedì 13 ottobre, per rispettare i tempi costituzionali e disinnescare una nuova fiammata della crisi politica. Il primo ministro, riconfermato venerdì all’Eliseo, deve chiudere la squadra dei ministri, blindare una rotta sui conti pubblici e assicurarsi una maggioranza di transito in Assemblea. I numeri non sono ancora dalla sua parte, ma il perimetro è chiaro: ridurre il disavanzo dal 5,4% del Pil verso una forchetta compresa tra il 4,7% e il 5%, mostrare credibilità a Bruxelles e ai mercati, evitare che l’opposizione converga su una mozione di censura. Se fallisse, la Francia scivolerebbe in esercizio provvisorio e in un nuovo giro di instabilità.

Il quadro politico è tese e concreto. La destra repubblicana è divisa tra chi vuole entrare nell’esecutivo per guidare la correzione dei conti e chi rifiuta compromessi; la sinistra minaccia la sfiducia subito dopo la dichiarazione di politica generale; il Rassemblement national valuta il tornaconto di un appoggio episodico o del colpo di grazia all’esecutivo. Lecornu ha poche carte, ma tutte pesanti: una trattativa serrata con i gruppi parlamentari, il possibile ricorso agli strumenti di prassi della Quinta Repubblica e la scommessa che la responsabilità di bilancio faccia premio sul calcolo elettorale. La finestra è stretta: senza un governo operativo e una maggioranza funzionale, la manovra rischia di arenarsi al via.

Una crisi a tappe: dal giuramento al ritorno a Matignon

Per capire come si è arrivati a questo snodo bisogna scorrere la cronologia, fitta di scossoni. Sébastien Lecornu era entrato a Matignon il 9 settembre per prendere il posto di François Bayrou e gestire la fase più delicata della legislatura: conti fuori traiettoria, opinione pubblica oscillante, Parlamento frammentato. Una prima squadra di governo era stata annunciata il 5 ottobre. Poi, in una manciata di ore, il crollo: il 6 ottobre Lecornu ha rassegnato le dimissioni, dopo la rottura con un pezzo di destra e l’impennata delle tensioni sugli incarichi chiave. La mossa ha spiazzato tutti e ha agitato i mercati. Ma l’Eliseo non ha voluto aprire la porta alla dissoluzione: venerdì 10 ottobre lo stesso Lecornu è stato riconfermato per formare un esecutivo bis e portare in Aula il testo di bilancio. Oggi, domenica 12 ottobre, la formazione del governo è ancora in bilico mentre si corre contro il tempo per rispettare la scadenza di domani.

La ricostruzione temporale spiega due cose. Primo, la crisi non è ideologica ma aritmetica: senza una maggioranza esplicita, ogni nomina diventa un detonatore. Secondo, l’Eliseo ha scelto la continuità: meglio scommettere su Lecornu due volte, chiedendogli di tessere una rete parlamentare minima, che aprire una faglia istituzionale in piena sessione di bilancio. È una scelta che punta a congelare il rischio di nuove elezioni e a riportare la discussione sui numeri, più che sui nomi. In questo, il messaggio al Paese e all’Europa è lineare: prima i conti, poi la politica.

La manovra: obiettivi, vincoli, messaggi al Paese

La legge di bilancio è il baricentro. Il primo obiettivo dichiarato è tagliare il deficit in modo visibile e credibile, muovendosi in una forchetta 4,7–5% del Pil nel 2026, per poi rientrare più decisamente l’anno successivo. Il secondo è evitare manovre recessive mentre la crescita ristagna. Il terzo, politico, è ricomporre una coalizione di responsabilità intorno a un testo che riduca gli aspetti più divisivi e salvaguardi alcune priorità: investimenti in sicurezza e difesa, transizione energetica, scuola e sanità. L’asticella è stata alzata dal ripetuto richiamo alla disciplina di bilancio. Senza un segnale netto, il Paese pagherebbe tassi più alti, con un effetto a catena su famiglie e imprese.

Entrando nel merito, la partita si gioca su due leve. Da una parte contenimento della spesa, con una revisione dei programmi meno efficaci e una stretta su alcune agevolazioni considerate ridondanti. Dall’altra entrate mirate, senza appesantire il lavoro e l’impresa: lotta più aggressiva all’evasione e al lavoro irregolare, revisione di crediti d’imposta che nel tempo hanno perso efficacia, rimodulazioni selettive su consumi inquinanti. L’architettura non è un libro dei sogni, ma una griglia di scelte da validare nei corridoi dell’Assemblea. A bruciare è soprattutto la continuità con la riforma delle pensioni, quella che ha fissato l’età legale a 64 anni e che una parte dell’opposizione chiede di rimettere in discussione come condizione per ogni patto. Qui Lecornu ha lasciato uno spiraglio di dialogo, ma con un vincolo: proposte realistiche e finanziate.

Dietro ogni riga della manovra c’è un messaggio alle famiglie che temono nuovi giri di vite, alle imprese che chiedono certezze regolatorie, ai territori che rivendicano risorse per servizi e infrastrutture. La promessa politica è semplice da enunciare e complessa da mantenere: difendere il potere d’acquisto, attivare investimenti che creano lavoro qualificato, non cedere sulla traiettoria del debito. È qui che la manovra diventa manovra politica, non solo contabile.

Il Parlamento che decide: alleati incerti, avversari compatti

Con un’Assemblea nazionale senza maggioranza assoluta, la sopravvivenza dell’esecutivo è un’equazione a più incognite. Les Républicains sono l’ago della bilancia. Dentro il partito convivono la linea della responsabilità, pronta a contrattare posti e capitoli del bilancio per evitare lo scontro finale, e la linea del no, che teme di essere risucchiata e punita dagli elettori per una collaborazione giudicata opportunistica. Nelle ultime ore si sono moltiplicate pressioni e contatti, ma la leadership LR ha posto paletti: rientro del deficit, nessun arretramento sulle pensioni, serietà del perimetro di governo. Sono condizioni pensate per mostrare forza alla base e costo politico a Matignon.

Dall’altra parte, la sinistra è di fatto compatta sulla censura. Ecologisti e socialisti, in sintonìa con La France insoumise, minacciano una mozione immediata se Lecornu non chiederà il voto di fiducia dopo la sua dichiarazione di politica generale. Il messaggio è limpido: senza un’investitura parlamentare, nessun patto di circostanza. Per l’esecutivo significa che le astensioni tattiche potrebbero non bastare e che il tempo per i negoziati è misurato in ore, non in giorni.

E poi c’è il Rassemblement national, decisivo per aritmetica e per clima politico. Il partito di Marine Le Pen ha interesse a mostrare serietà sui conti, senza regalare ossigeno a un governo che ritiene fuori fase. L’ambiguità è calcolata: un via libera episodico su singoli articoli del bilancio potrebbe accreditare una patente di affidabilità, mentre una censura frontale spingerebbe verso la resa dei conti, con il rischio però di essere accusati di irresponsabilità in un passaggio in cui i mercati guardano Parigi con lente d’ingrandimento. In entrambe le opzioni, la posta è alta: spostare l’asse del racconto pubblico sul RN come forza di governo o come forza di opposizione intransigente.

Le condizioni di LR

Per riportare LR a bordo, Lecornu ha messo sul tavolo capitoli specifici. Sicurezza e difesa sono aree su cui le convergenze sono naturali, anche per il profilo dell’ex ministro della Difesa. Sugli equilibri di finanza pubblica c’è spazio per un’intesa tecnica, purché il governo accetti una tabella di rientro credibile e verificabile, con revisione della spesa reale e non cosmetica. Qui la trattativa si fa quasi contrattuale: parametri, scadenze, indicatori, un comitato di monitoraggio da negoziare. Resta il nodo politico: l’entrata o meno di figure LR in ruoli esecutivi. Una mano tesa, se sarà percepita come spartizione, potrebbe costare carissimo nelle urne. Se invece verrà raccontata come un patto per evitare l’emergenza contabile, potrebbe tenere.

La linea della sinistra

Sul fronte opposto, i Verdi hanno già anticipato una mozione di censura in caso di passaggio senza fiducia. I socialisti oscillano tra la tentazione del ruolo di costruttori e la disciplina di campo. La France insoumise punta a capitalizzare il malcontento sociale sul costo della vita e sulla riforma delle pensioni. Le richieste comuni sono note: più progressività fiscale, più risorse per i servizi pubblici, stop ai tagli lineari. A Matignon sanno che un’apertura troppo larga in questa direzione spaventerebbe la destra e i mercati, ma un segno sociale nella manovra è ormai indispensabile.

Il calcolo del RN

Il RN misura da giorni l’umore del Paese. Il partito non vuole farsi incastrare nel ruolo di stampella, ma nemmeno nella caricatura di chi brucia il bilancio per fare opposizione. La via di mezzo sarebbe lasciare passare il testo in prima lettura per poi ingaggiare la battaglia emendamento per emendamento, cercando vittorie simboliche. Una strategia rischiosa ma coerente con la costruzione di una rispettabilità di governo. Se invece la scelta cadrà sulla censura, la narrazione sarà quella della battaglia contro il sistema che non sa aggiustare i conti senza colpire i ceti popolari. Tutto dipenderà dalle concessioni che Lecornu riuscirà a strappare a LR e dai segnali sociali inseriti nel testo.

Gli strumenti del mestiere: fiducia, 49.3, decreti e tempi

Nella Quinta Repubblica, la cassetta degli attrezzi del primo ministro è ben nota. La dichiarazione di politica generale apre il cantiere del rapporto di fiducia. Senza un voto esplicito, l’opposizione può subito testare l’Aula con una mozione di censura. Esiste poi l’ormai famoso articolo 49.3, che permette di far adottare un testo senza voto, esponendosi però alla caduta in caso di sfiducia. È un’arma che negli ultimi anni è stata usata per i bilanci, ma ha un costo politico: cementa l’opposizione e alimenta la protesta di piazza. Qui Lecornu deve valutare se il gioco valga la candela: una forzatura potrebbe garantire il via libera tecnico alla manovra, ma logorare l’esecutivo sul medio periodo.

C’è poi il fattore tempo. La Costituzione francese accorda settanta giorni per l’esame del bilancio. Per rispettare i paletti, il testo dovrebbe arrivare in Parlamento domani o al massimo martedì, preceduto da un Consiglio dei ministri che a oggi non è stato ancora convocato. Ogni ritardo rischia di comprimere il dibattito e innalzare la temperatura politica, fino alla minaccia dell’esercizio provvisorio. Anche per questo la scelta di riconfermare Lecornu è stata una scommessa sul fattore velocità: chi già conosce i dossier può provarci, senza tempi morti per passaggi protocollari.

Un’altra opzione è lavorare su decreti attuativi e leggi di delega per spezzare la manovra in capitoli, cercando maggioranze diverse sui singoli pezzi. È una tattica sofisticata, che richiede regia politica e disciplina d’Aula. Funziona se i partner di giornata sono disposti a condividere il merito delle misure che passano e a non incassare tutto subito sul piano comunicativo. È l’esatto contrario della logica social del “tutto e subito”, ma può trasformare l’emergenza in un percorso di aggiustamenti.

Economia, mercati, società: perché la traiettoria dei conti conta davvero

Ogni governo vive anche nello sguardo dei mercati. La fase di ottobre ha già mostrato quanto rapidamente l’incertezza politica possa colpire la Borsa e, per la via dei rendimenti, arrivare fino a mutui e investimenti. La ragione è semplice: l’ammontare del debito pubblico transalpino, unito alla sensibilità dei tassi nell’area euro, rende costosa ogni incertezza. Un segnale credibile sul rientro del disavanzo schermerebbe la Francia dalle oscillazioni più brutali, riducendo la volatilità e restituendo margini di manovra alla Banque de France e al Tesoro. Al contrario, una crisi prolungata innescherebbe un circolo vizioso tra politica e finanza, con l’Europa più severa sulla disciplina dei conti. La scorsa settimana, di fronte al precipitare degli eventi, il listino parigino ha segnato un tonfo: non un crollo sistemico, ma un promemoria. E i promemoria dei mercati, quando si parla di bilanci, diventano subito condizioni politiche.

C’è poi il lato sociale. Le famiglie francesi vivono l’erosione del potere d’acquisto in un quadro di prezzi ancora alti su voci sensibili come energia, affitti, beni alimentari. Le imprese chiedono certezza su credito d’imposta, costo del lavoro, ammortizzatori per i settori energivori. Le città medie e le aree periferiche invocano investimenti mirati su trasporti, sanità di prossimità, scuola e formazione. Se la manovra sarà percepita come un elenco di tagli, l’opinione pubblica reagirà male. Se invece verrà raccontata come un patto pragmatico che punta ad efficienza e crescita, l’esecutivo potrà ricostruire fiducia giorno dopo giorno. In questa cornice, la comunicazione non è un orpello: è l’unico modo per spiegare perché una scelta costa oggi ma rende domani.

Nomi e squadre: perché il governo “bis” pesa quanto la manovra

Il destino dell’esecutivo passa anche da chi siederà al tavolo. Lecornu deve combinare profili tecnici capaci di scrivere i dettagli del bilancio e profili politici in grado di negoziarli. È un equilibrio sottile. Troppa tecnicità rischia di isolare Matignon; troppa politica, senza competenze solide, fa deragliare l’iter al primo tornante. In queste ore, i nomi chiave sono quelli dell’Economia e della Difesa, della Transizione energetica e degli Interni: portafogli che trasmettono segnali a mercati, alleati e opposizioni, oltre che alla opinione pubblica. Senza una squadra credibile, la manovra non cammina.

Il tessuto istituzionale francese, abituato alla verticalità decisionale, assorbe bene i cambi di passo purché la rotta sia chiara. Ma il Parlamento attuale, più frammentato di quanto Matignon avrebbe voluto, impone una cultura di coalizione che la Francia esercita meno di altri Paesi europei. La “manovra di Lecornu” è quindi anche una prova organizzativa: distribuire responsabilità, creare sedi di coordinamento, evitare doppi comandi, garantire una voce unica tra governo e maggioranza.

In controluce, si legge il rapporto con l’Eliseo. La riconferma del premier è un atto di fiducia, ma anche un mandato vincolato: consegnare un bilancio credibile e una squadra capace di portarlo a casa. È la cifra di questa fase: pragmatismo, pochi simboli, molti numeri.

Cosa succede ora: calendario, snodi, possibili esiti

La giornata di oggi, domenica, è servita a riaprire i canali con i leader di partito e a riordinare il dossier ministeriale. Domani, lunedì 13 ottobre, si apre la finestra decisiva. Se il governo “bis” sarà annunciato al mattino e il testo di bilancio verrà trasmesso nel pomeriggio, l’iter potrà iniziare nei tempi. A seguire, la dichiarazione di politica generale in Aula e, a brevissimo, il test della fiducia o delle mozioni di censura. L’eventuale via libera non garantirebbe serenità, ma darebbe all’esecutivo ossigeno per lavorare articolo per articolo in Commissione.

Gli esiti possibili, in concreto, sono tre. Primo scenario, la maggioranza di transito: una parte di LR si astiene o vota a favore, la sinistra si compatta ma non basta, il RN resta defilato. La manovra prende la corsia preferenziale, magari con il paracadute del 49.3 su singoli capitoli. Secondo scenario, il braccio di ferro: l’opposizione unisce i voti, la censura passa per manciate di schede, il governo cade e si apre una nuova consultazione tra Eliseo e partiti per un altro premier, con forte rischio di paralisi sui conti. Terzo scenario, la spallata che non spacca: il governo resiste alla censura, ma senza maggioranza politica reale; ogni passaggio successivo diventa una trincea. In questo caso il logoramento sarebbe rapido e, a ogni scadenza, tornerebbe il dilemma tra forzare e mediare. In tutti e tre i casi, la bussola resta una: il bilancio.

La variabile meno discussa ma non meno decisiva è l’opinione pubblica. Se la manovra verrà percepita come seria e non punitiva, il Paese potrebbe concedere tempo a Lecornu. Se invece il racconto collettivo sarà quello di un accanimento contabile sulle fasce medie e popolari, le piazze torneranno a riempirsi e l’opposizione troverà un carburante in più. È uno spartito che la politica francese conosce bene.

Perché questa manovra è anche un messaggio all’Europa

C’è un’ultima dimensione, spesso evocata e raramente spiegata: l’Europa. Portare un bilancio credibile a Bruxelles non significa solo evitare richiami formali. Significa contare di più nelle discussioni che contano: la riforma delle regole fiscali, la difesa comune, gli investimenti industriali, la transizione energetica, la governance economica dell’area euro. Una Francia con i conti sotto controllo ha più voce per chiedere flessibilità intelligente, guide condivise sugli investimenti strategici, una politica industriale capace di tenere il passo con Stati Uniti e Cina. Il segnale che Lecornu vuole inviare è esattamente questo: responsabilità non è austerità, ma un patto per liberare risorse dove servono e togliere cordami dove frenano.

Per l’Italia, che guarda con attenzione alle mosse di Parigi, il destino del governo francese non è un fatto di colore. Nel cantiere dei dossier comuni – energia, manifattura, difesa, spazio, rotte migratorie – la solidità dell’esecutivo transalpino pesa. Un governo che passa la manovra e tiene in piedi una maggioranza di lavoro è un partner prevedibile; un governo che cade o che vivacchia tra una censura e l’altra spinge tutti gli altri a giocare da soli, con un costo per l’Europa intera.

L’ultima curva prima del voto: decisioni, non slogan

A poche ore dalla scadenza, il destino del governo Lecornu non è scritto ma è leggibile. La via d’uscita è stretta, però reale: una manovra essenziale, numeri chiari, concessioni puntuali per tenere a bordo una parte della destra, un segnale sociale per non incendiare la sinistra, nessuna retromarcia strutturale sulle riforme più sensibili. Il resto è tenuta nervosa: evitare errori di comunicazione, mettere i nomi giusti nei posti giusti, non alimentare il teatrino. Se queste condizioni verranno rispettate, l’esecutivo potrà iniziare a governare davvero, anche senza una maggioranza scolpita nella pietra.

Se invece il compromesso salta, la Francia si ritroverà domani con un governo azzoppato e un bilancio da riscrivere in emergenza. È lo scenario che tutti dicono di voler evitare e che molti calcolano di poter sfruttare. È qui che si misura la differenza tra manovra politica e manovra sui conti. La prima può piacere ai tifosi, la seconda serve al Paese. Per Lecornu, che in pochi giorni ha vissuto nomina, caduta e riconferma, il giudizio non sarà sugli slogan, ma sulle righe del bilancio e sulla capacità di costruire una maggioranza funzionale intorno a esse.

In controluce resta la domanda che attraversa Parigi: quanto durerà una maggioranza così costruita? La risposta, per ora, non sta nelle formule, ma nei numeri che domani cominceranno a scorrere in Aula. Se quei numeri terranno, avremo un governo fragile ma operativo. Se non terranno, la Francia aprirà un nuovo capitolo di una crisi che è parlamentare prima ancora che politica. In entrambi i casi, da lunedì sarà più chiaro dove va la Francia e quanto Lecornu può reggere la somma di conti, partiti e Paese.

Ultima parola ai conti: la posta in gioco di queste ore

Al netto delle tattiche, resta l’essenziale: la manovra è il test di realtà. Se passerà con un consenso sufficiente e un impianto credibile, Lecornu avrà guadagnato il tempo necessario a trasformare un fragile equilibrio in governo. Se si incaglierà nella censura o in un rimpasto infinito, la Francia entrerà in una zona grigia fatta di esercizi provvisori, mercati diffidenti e cantieri riformatori sospesi. È il motivo per cui le prossime ore valgono molto più di un rimpasto o di un titolo in Borsa: segnano la capacità del sistema politico di assumersi la responsabilità dei conti e di raccontarla al Paese senza scorciatoie.

In fondo, tutta la “manovra di Lecornu” si riduce a questo: mettere i numeri al centro e costruire intorno a quei numeri la maggioranza che manca. Chi vuole governare davvero, in Francia come altrove, non ha un’altra strada.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: ANSACorriere della SeraLa StampaIl PostRaiNewsSky TG24.

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