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Torna la festa nazionale di San Francesco: cos’è e quando è

Il 4 ottobre torna festa nazionale: il Parlamento ha approvato in via definitiva il ripristino della giornata festiva in onore di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia. La nuova festività civile entra in vigore dal 2026, anno dell’ottavo centenario della morte del Santo; per il calendario, il primo vero “giorno libero” su un feriale sarà lunedì 4 ottobre 2027, perché il 4 ottobre 2026 cade di domenica. La decisione aggiorna il calendario delle ricorrenze nazionali e ridà spazio, con valenza laica e civile, a un simbolo trasversale che unisce storia, identità e impegno sociale.
Il provvedimento ha registrato consenso larghissimo in entrambe le Camere: dopo il via libera della Camera con 247 voti favorevoli, la Commissione Affari costituzionali del Senato ha dato l’ok finale in sede deliberante, trasformando la misura in legge. L’Italia torna così ad avere il 4 ottobre tra i giorni festivi nazionali, ripristinando una giornata introdotta nel 1958 e sacrificata nel 1977 durante la stagione delle razionalizzazioni del calendario. L’avvio dal 2026 consente di agganciare la ricorrenza al programma delle celebrazioni per l’Ottavo Centenario.
Da quando è festivo e come cambia il calendario
La novità è semplice da mettere in agenda: a partire dal 2026, il 4 ottobre è festivo su tutto il territorio nazionale, con scuole e uffici chiusi quando la data cadrà in un giorno feriale. L’anno del debutto non genererà chiusure aggiuntive perché il 4 ottobre cade di domenica; il primo effetto pieno per lavoratori e studenti arriverà nel 2027, quando la giornata cadrà di lunedì e tornerà a spezzare l’inizio d’autunno. Per chi ama organizzare con un certo anticipo, le date successive scorrono su un ritmo regolare: mercoledì nel 2028, giovedì nel 2029, venerdì nel 2030, sabato nel 2031, di nuovo lunedì nel 2032, martedì nel 2033. È un dettaglio utile per pianificare periodi di chiusura aziendale, congedi e rientri scolastici, evitando sovrapposizioni con verifiche, esami o scadenze contabili.
Nel settore privato e nella Pubblica amministrazione, la festività del 4 ottobre si comporta come le altre previste dalla normativa: si riposa, salvo esigenze specifiche regolate da contrattazione o accordi, e chi presta servizio ha diritto alle maggiorazioni previste. A livello di percezione sociale, è un ritorno: l’Italia recupera una data che da decenni vive nelle cerimonie civili, nelle liturgie trasmesse in tv e nelle iniziative delle comunità locali, a maggior ragione nell’anno che accompagna il Paese verso il centenario francescano.
La cornice giuridica: cosa dice la legge
Per capire cosa cambia, bisogna tenere insieme due riferimenti. Da un lato c’è la legge 27 maggio 1949, n. 260, che elenca le giornate festive agli effetti civili: è il “contenitore” che ora si arricchisce con il 4 ottobre e che disciplina diritti e doveri connessi al riposo, alla retribuzione e all’eventuale lavoro festivo. Dall’altro c’è la legge 4 marzo 1958, n. 132, che aveva già qualificato il 4 ottobre come “solennità civile” in onore dei patroni speciali d’Italia, San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena, poi evoluta nel tempo anche come “giornata della pace, della fraternità e del dialogo fra culture e religioni”. Il nuovo impianto non cancella quella dimensione: la integra, riportando San Francesco tra i giorni festivi del calendario civile.
Un aspetto operativo utile: con l’inserimento del 4 ottobre nell’elenco della legge del 1949, l’Italia sale a 13 festività nazionali complessive. È un dato che aiuta imprese, consulenti del lavoro e uffici del personale a tarare turnazioni, budget di straordinari e pianificazione ferie per i prossimi esercizi, in modo coerente con la cornice legislativa e contrattuale. La scelta del 2026 come anno di esordio della festività collega la riforma al calendario delle celebrazioni nazionali per gli 800 anni dalla morte del Santo, favorendo una programmazione integrata tra istituzioni, scuole, third sector e comuni.
Lavoro e retribuzioni: effetti concreti in busta paga
Le regole economiche seguono principi già noti e consolidati dalla prassi. Nelle festività infrasettimanali i lavoratori hanno diritto ad astenersi dal lavoro, conservando la retribuzione normale. Se, per esigenze organizzative o per accordo, si lavora nella giornata festiva, al lavoratore spetta un trattamento maggiorato definito dal contratto collettivo applicato, con percentuali variabili per ore diurne, notturne e straordinari. L’assetto è chiarito dall’articolo 5 della legge 260/1949 e dalla giurisprudenza più recente, che ha messo a fuoco i limiti e le condizioni delle deroghe: la prestazione può essere concordata con accordi individuali o intese sindacali idonee, specie nei servizi H24 e nei reparti che non possono fermarsi (sanità, trasporti, sicurezza, servizi essenziali).
Un caso pratico, già attuale per il 2026: se la festività cade di domenica, come avverrà appunto il 4 ottobre 2026, la norma prevede in generale un’ulteriore quota retributiva oltre alla retribuzione ordinaria, anche quando non si lavora (per molti CCNL corrisponde a 1/26 della mensilità o criteri equivalenti). Chi lavora di domenica festiva ha diritto sia alla maggiorazione domenicale sia a quella festiva, secondo il contratto applicato. Restano naturalmente le specificità di settore e le clausole particolari per il pubblico impiego e per i contratti a orario su cinque o sei giorni, che i consulenti gestiscono con i consueti parametri di busta paga. L’obiettivo, per aziende e uffici, è allineare turni e oneri senza sorprese, comunicando per tempo le esigenze di servizio e gli eventuali riposi compensativi collegati alla festività.
Sul piano giuridico, la Cassazione ha ribadito in più occasioni che il diritto ad astenersi nelle festività non è assoluto e può essere oggetto di rinuncia o disciplina pattizia, ma entro paletti chiari: serve un accordo valido, non basta un ordine unilaterale del datore di lavoro. La regola tutela tanto l’organizzazione continua dei servizi essenziali quanto il diritto del lavoratore a un quadro prevedibile di riposi e indennità. Questo equilibrio, calato sul nuovo 4 ottobre festivo, agevola una gestione ordinata dei reparti e dei servizi aperti, come sanità, trasporto pubblico, forze dell’ordine, media e turismo.
Scuola e uffici: organizzazione pratica
Per il mondo della scuola, l’indicazione è lineare: aule chiuse quando il 4 ottobre cade in un giorno di lezione, con il calendario scolastico regionale che terrà conto della nuova festività nelle griglie di recuperi e giornate-ponte. L’anno scolastico 2026/27 non avvertirà l’effetto perché la data casca di domenica; dal 2027, con il 4 ottobre di lunedì, dirigenti e famiglie inseriranno il nuovo appuntamento tra le pause d’autunno. Il periodo è tradizionalmente privo di lunghe vacanze, quindi l’effetto concreto è un respiro nel primo trimestre, utile anche per attività di educazione civica e progetti didattici legati a ambiente, dialogo interculturale e volontariato.
Negli uffici pubblici la giornata si traduce in chiusura o servizi ridotti in base alle esigenze essenziali, con l’ordinaria programmazione di turni, reperibilità e pronta disponibilità laddove necessario. Per aziende e studi professionali, la raccomandazione è quella di comunicare con anticipo il calendario delle attività di ottobre, soprattutto negli anni in cui la data potrà favorire un ponte (come nel 2029 e 2030), incrociando piani ferie, scadenze fiscali e chiusure contabili. Anche gli enti locali potranno valorizzare la ricorrenza con iniziative civili e culturali, coordinando cerimonie, bandiere e messaggi istituzionali nel solco delle linee guida che accompagnano le giornate con effetti civili.
Cerimonie e tradizioni del 4 ottobre
Il cuore simbolico del 4 ottobre batte ad Assisi. Qui si svolgono, da decenni, riti e cerimonie che uniscono istituzioni, comuni e famiglie francescane. La più nota è l’accensione della Lampada votiva dei Comuni d’Italia, gesto che si ripete dalla fine degli anni Trenta e che ogni anno vede una Regione offrire l’olio destinato a mantenere accesa la lampada sulla tomba del Santo. È un passaggio carico di significato civico: la comunità nazionale che rende omaggio al proprio patrono, attraverso i suoi territori e gli amministratori che li rappresentano. Le celebrazioni includono la Benedizione all’Italia dalla Basilica di San Francesco, i vespri e il Pontificale, momenti seguiti da media e tv nazionali. Con il ritorno della giornata festiva, la partecipazione popolare è destinata a crescere, favorendo spostamenti familiari e iniziative civiche anche fuori dall’Umbria.
La ritualità di Assisi non è un unicum isolato: in tutto il Paese, il 4 ottobre si moltiplicano iniziative civiche legate alla cura dei beni comuni, alla protezione degli animali, alla solidarietà. La riconfigurazione della data come festività nazionale offrirà ai comuni e alle scuole un perimetro più netto per progetti di cittadinanza attiva, giornate ecologiche, letture pubbliche del Cantico delle Creature e momenti di dialogo interreligioso. È una filiera di pratiche che traduce in azione parole spesso astratte: pace, fraternità, ambiente. Nelle città, nei quartieri e nei borghi, il 4 ottobre potrà diventare anche un punto di riferimento per i cammini lenti e gli itinerari turistico-culturali ispirati al francescanesimo.
Verso il 2026: l’anno dell’ottavo centenario
Il 2026 segna otto secoli dalla morte di Francesco (1226–2026). A livello nazionale è al lavoro il Comitato “San Francesco 800”, istituito per coordinare un programma diffuso di eventi, mostre, convegni, percorsi educativi e iniziative culturali che toccheranno scuole, musei, università e istituti italiani di cultura all’estero. L’orizzonte è biennale: si parte già nel 2025 con gli 800 anni del Cantico delle Creature e si entra nel 2026 con un palinsesto che punta a lasciare tracce anche oltre la ricorrenza, con progetti di restauro, digitalizzazione e didattica. L’effetto della festa nazionale è quello di fornire una data-simbolo attorno a cui allineare proposte e risorse, dal terzo settore alle fondazioni, fino alla rete diplomatico-consolare che promuove l’immagine del Paese nel mondo.
Ad Assisi, le celebrazioni tra la fine di settembre e l’11 ottobre assumono così una dimensione ancora più unitaria. La Lampada votiva e la Benedizione all’Italia, la processione civica e i momenti musicali legati al repertorio francescano si intrecciano con mostre, incontri e percorsi tematici che preparano l’anno del centenario. La presenza di rappresentanze regionali — ogni anno una Regione dona l’olio per la Lampada —, di autorità nazionali e di delegazioni internazionali renderà l’edizione 2026 una tappa di rilievo per il Paese e per i territori coinvolti, con ricadute attese su turismo e economia locale. L’attenzione mediatica contribuirà a diffondere buone pratiche e materiali didattici che le scuole potranno utilizzare anche dopo la ricorrenza, consolidando una memoria civile fatta di gesti, parole e responsabilità condivise.
Un ritorno che entra nel quotidiano
Il ripristino del 4 ottobre festivo è una scelta concreta che tocca la vita di tutti: famiglie, lavoratori, studenti, amministrazioni. Dice quando si riposa, stabilisce come si organizza il lavoro e spiega perché quell’appuntamento torna centrale nelle agende, non per un culto di parte ma per un patrimonio condiviso di valori civili.
Da domenica 4 ottobre 2026, quando la ricorrenza rientrerà a pieno titolo nel calendario, fino a lunedì 4 ottobre 2027, primo giorno feriale effettivamente festivo, l’Italia si abituerà a trovare in quel quadratino d’autunno non solo un giorno di riposo, ma anche l’occasione per rallentare, riflettere e partecipare. Dietro la data ci sono regole chiare, garanzie in busta paga, programmi educativi, cerimonie civili e una visione che lega identità e impegno. In altre parole, una festa nazionale che torna a fare quello che deve: unire.
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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: ANSA, Senato della Repubblica, Sky TG24, AGI, Quotidiano.net, La Stampa.

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