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Festa dei nonni: come nasce e perché si celebra il 2 ottobre

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Festa dei nonni

In Italia la Festa dei nonni si celebra il 2 ottobre per una scelta precisa del legislatore: la ricorrenza è stata istituita con una legge nazionale nel 2005 per riconoscere, in modo ufficiale, il ruolo delle nonne e dei nonni nella famiglia e nella comunità. La data coincide con la memoria liturgica dei Santi Angeli Custodi, una vicinanza simbolica che racconta bene l’immaginario associato ai nonni: presenze vigili, tenere e affidabili, capaci di accompagnare senza invadere, di esserci quando serve e di farsi da parte quando è il momento. Non è un giorno festivo dal punto di vista lavorativo o scolastico, ma è una giornata civile che invita scuole, comuni, associazioni e famiglie a fermarsi e dire grazie, con gesti semplici o iniziative pubbliche.

La ricorrenza nasce per valorizzare un ruolo reale, non per aggiungere una data di calendario: i nonni sostengono figli e nipoti nelle incombenze quotidiane, custodiscono memorie familiari e saperi del territorio, sono spesso la cerniera che tiene insieme orari di lavoro, scuola, sport, visite mediche, imprevisti. L’intento è chiaro: accendere i riflettori su un patrimonio di relazioni e competenze che non appartiene al passato, ma al presente del Paese. Per questo, ogni 2 ottobre l’Italia torna a parlare di nonni nelle classi, nelle biblioteche, nelle residenze per anziani, nelle piazze, nei salotti di casa. I simboli sono sobri — un fiore, un biglietto, una foto stampata — e la sostanza è forte: riconoscere pubblicamente ciò che, per il resto dell’anno, accade nel silenzio delle cucine, dei pianerottoli, dei cortili.

Una data che racconta un’idea di comunità

La scelta del 2 ottobre non è un dettaglio cerimoniale, ma un messaggio: mettere al centro chi custodisce. La figura dell’angelo custode, nella cultura italiana, è sinonimo di cura discreta, protezione, guida. Così il nonno e la nonna: non sostituiscono i genitori, non occupano spazio altrui, creano spazio. Quello che sanno fare è unire i tempi della vita. Sanno aspettare i nipoti fuori da scuola quando l’uscita anticipata scompagina il pomeriggio, sanno riannodare i fili di un racconto di famiglia quando un adolescente chiede “com’era prima”, sanno cucinare il piatto che “fa casa” meglio di qualsiasi consegna a domicilio. Intorno a questa immagine si sono sviluppate, negli anni, iniziative molto concrete: laboratori intergenerazionali, letture ad alta voce in biblioteca, giornate porte aperte nelle centrali del volontariato, percorsi di educazione civica dove i nonni parlano di Costituzione e di storia vissuta con parole accessibili.

La Festa dei nonni ha mantenuto un profilo laico e inclusivo: è una ricorrenza civile, che non obbliga nessuno a riti prefissati e non esclude chi professa credenze diverse o nessuna. Al contrario, è diventata un’occasione di linguaggi condivisi. Nelle scuole, ad esempio, la giornata si traduce in temi, disegni, canzoni, piccole interviste ai nonni per ricostruire una ricetta, un mestiere sparito, una tradizione locale. Nei comuni, si premiano le esperienze di “nonni vigili” davanti alle scuole o i “nonni bibliotecari” che donano tempo alle letture dei più piccoli. Nelle famiglie, si torna a sfogliare album di fotografie, a salvare su una chiavetta il video di una festa di molti anni fa, a digitalizzare un cassetto di ricordi per non perderli.

Dalla proposta alla legge: come è nata la ricorrenza

Il percorso che ha portato all’istituzione della Festa dei nonni è stato lineare: riconoscere per legge ciò che nella vita quotidiana era già evidente. Tra fine anni Novanta e inizio Duemila, molte iniziative locali avevano cominciato a dare un nome a un gesto diffuso: ringraziare i nonni. Da lì, la spinta a una cornice nazionale. L’obiettivo non era creare una “giornata di maniera”, ma avere uno strumento per promuovere progetti e non solo celebrazioni. La legge ha fissato la data, ha definito le finalità, ha incoraggiato scuole e istituzioni a valorizzare il tema con attività educative, sociali e culturali. Il risultato è stato duplice: una consapevolezza pubblica più nitida e un’occasione, ogni anno, per fare il punto su ciò che i nonni fanno per le famiglie e sui bisogni che si accompagnano all’età che avanza.

L’accostamento con la memoria degli Angeli Custodi ha aiutato a radicare la ricorrenza in un immaginario immediato, facilmente comunicabile anche ai bambini. Una data che non “sposta” il calendario scolastico e lavorativo, ma che lo illumina con un invito: fermarsi un attimo, dire grazie, costruire ponti. È così che la Festa dei nonni ha smesso di essere una semplice ricorrenza e ha iniziato a somigliare a una politica culturale diffusa, fatta di micro-progetti con un impatto reale: dal doposcuola intergenerazionale nei quartieri alle visite in RSA organizzate dalle classi, dalla cura condivisa degli orti urbani alla didattica delle competenze manuali che i nonni portano nei laboratori scolastici.

Che cosa si celebra davvero: il valore quotidiano dei nonni

La giornata del 2 ottobre non celebra un’idea astratta. Celebra il lavoro invisibile che i nonni svolgono ogni giorno. L’Italia è un Paese in cui la prossimità familiare continua a essere una risorsa primaria. Nei calendari reali, non sulle slide, i nonni sono logistica e affetto: tengono i nipoti quando la scuola chiude, organizzano pranzi senza ricette ma con memoria, accompagnano a visite mediche, fanno da interpreti tra generazioni quando i linguaggi si incrinano. In molti contesti sono anche tutor digitali: insegnano a usare un telefono senza paura, chiedono a loro volta ai nipoti di mostrare come si fa con un’app, si mettono in gioco con la curiosità di chi non smette di imparare.

Il 2 ottobre è l’occasione giusta per raccontare — e misurare — questo contributo. Le famiglie sanno bene quanto l’apporto dei nonni incida sui bilanci di tempo ed economici: un pomeriggio di babysitting, due ore di aiuto compiti, una settimana durante l’estate a recuperare energie e far giocare i bambini in cortile, una serie di cene calde “perché stasera finite tardi”. Non è un “servizio” da dare per scontato: è un patto di fiducia che regge grazie a relazioni solide, al rispetto dei ruoli, alla capacità di inventare mediazioni nuove quando cambiano i bisogni. In tante storie, i nonni sono anche caregiver di altri anziani in famiglia: un fratello maggiore che aiuta la nonna, una nonna che presta braccio e tempo a un bisnonno. La Festa, per questo, è anche un momento per chiedere tutele e non solo per ringraziare: riconoscere che chi dà molto, spesso, ha bisogno a sua volta di reti, servizi, respiro.

Umanamente, la giornata serve a ricordare che ogni nonno è diverso. Ci sono nonne giovanili che corrono al parco e nonni di poche parole che dicono tutto con un gesto; ci sono bisnonne che preparano la marmellata e bisnonni che imparano a videochiamare perché i nipoti sono lontani; ci sono nonni che insegnano a riparare una bicicletta e nonne che spiegano la pazienza guardando crescere una pianta sul balcone. Celebrare significa vedere queste differenze e chiamarle per nome, senza stereotipi.

Il quadro normativo e ciò che cambia nella vita delle famiglie

Accanto alla cornice simbolica della Festa, esiste un quadro giuridico che tutela il legame tra nonni e nipoti. Il diritto italiano riconosce al minore il diritto a mantenere rapporti significativi con gli ascendenti, a prescindere da separazioni, trasferimenti o conflitti tra adulti. È un principio che mette al centro il bene del bambino: l’idea è che i nonni non siano un “di più”, ma una presenza che contribuisce alla crescita equilibrata. Quando i rapporti si interrompono o diventano difficili per decisioni degli adulti, la legge consente ai nonni di chiedere al giudice un intervento per ristabilire modalità di frequentazione adeguate, sempre con lo sguardo rivolto all’interesse del minore, mai all’orgoglio degli adulti.

Questo non significa che tutto debba passare dai tribunali. Al contrario, la prassi suggerisce mediazioni familiari e percorsi condivisi per trovare soluzioni sostenibili: orari, luoghi, modalità di contatto, regole. In molte realtà, i servizi sociali e i consultori hanno sviluppato strumenti per accompagnare le famiglie quando le relazioni si tendono: tavoli di ascolto, spazi neutri per gli incontri, figure professionali che aiutano a tradurre in impegni concreti il proposito, spesso condiviso, di “far stare bene i bambini”. Il 2 ottobre diventa allora anche un promemoria collettivo: prendersi cura delle relazioni è il modo migliore per evitare che diventino vicende giudiziarie.

In parallelo, il tema dei nonni tocca politiche attive che riguardano l’intero ciclo di vita: conciliazione tra lavoro e cura, invecchiamento attivo, volontariato civico, apprendimento permanente. Programmi come i “nonni civici” davanti alle scuole, la partecipazione agli orti urbani, i patti di collaborazione nei quartieri, i corsi nelle biblioteche su alfabetizzazione digitale o archivio della memoria sono politiche locali che valorizzano energie spesso trascurate. La Festa accende i riflettori su queste pratiche e invita a rendere stabile ciò che funziona: non un giorno l’anno, ma una strategia di comunità che distribuisca compiti, riconosca meriti, offra sostegno quando emerge la fragilità.

Simboli, usanze, gesti che pesano

Non c’è un cerimoniale rigido per il 2 ottobre. C’è, piuttosto, una grammatica di gesti che nel tempo si è composta in modo spontaneo. Un fiore, spesso un “non ti scordar di me” per il messaggio che porta nel nome, è un regalo semplice e comprensibile anche ai bambini. Un disegno, un biglietto scritto con penne di colori diversi, una foto scelta insieme e messa in cornice sono i modi più diretti per dare forma alle parole. In molte scuole primarie la ricorrenza diventa un momento di produzione creativa: poesie brevi, filastrocche, interviste ai nonni registrate con il telefono e poi ascoltate in classe, cartine geografiche dove i ragazzi segnano i luoghi dell’infanzia dei nonni e scoprono che la storia di famiglia incrocia migrazioni, campagne, città.

Nelle case, il gesto che funziona di più è spesso il tempo condiviso. Non serve un pranzo perfetto: basta stare insieme con un progetto concreto. Preparare una ricetta “ereditata”, riordinare una scatola di fotografie, imparare a rammendare una maglia, sistemare i vasi sul balcone, piantare un bulbo che fiorirà più avanti, trasferire su una chiavetta i filmati di famiglia. Sono attività che creano narrazione: mentre si impasta, si racconta; mentre si riordina, si ricordano nomi; mentre si pianta, si parla di futuro. Tutto questo fa curriculum affettivo ai bambini e alleggerisce gli adulti, perché la cura condivisa distribuisce pesi e aggiunge senso.

La Festa dei nonni è anche l’occasione per portare i bambini in luoghi che parlano alle generazioni: una biblioteca civica, un museo di quartiere, un mercato rionale dove il nonno conosce i banchi per nome, un campo sportivo dove la nonna racconta la sua prima partita vista in tribuna tanti anni fa. La città, in giorni come questo, può diventare materia viva. E le RSA possono trasformarsi in piazze accoglienti se le classi varcano la soglia con un progetto preparato: una lettura, una canzone, un album di disegni lasciato ai reparti.

Un Paese che invecchia, un Paese che può ringiovanire i legami

Parlare di nonni significa parlare di trasformazioni demografiche e di occasioni. L’Italia vive l’invecchiamento della popolazione, e questo porta con sé due verità: più nonni attivi, più bisogno di politiche intelligenti. La Festa, se la prendiamo sul serio, è un promemoria operativo. Vuol dire investire in salute preventiva, attività sportive dolci, spazi di socialità, percorsi di formazione digitale che mettano i nonni nelle condizioni di partecipare e non solo di assistere. Vuol dire pensare la città con panchine, marciapiedi praticabili, tempi di attraversamento pedonale più umani: tutto ciò che consente a una nonna di accompagnare un nipote a scuola in sicurezza o a un nonno di andare da solo in biblioteca.

È qui che l’incontro tra generazioni può diventare politica urbana. Gli orti condivisi non sono un passatempo: sono laboratori di cittadinanza dove ci si conosce, ci si scambia competenze, si coltivano verdure e relazioni. Le biblioteche non sono depositi di libri: sono presidi civici dove un nipote aiuta un nonno a impostare l’App IO sullo smartphone e un nonno racconta a un nipote come si scrive una lettera formale. Le scuole, nei pomeriggi, possono ospitare laboratori intergenerazionali di cucito, falegnameria, cicloriparazione, cucina di quartiere. Il 2 ottobre è il giorno che ricorda quanto queste attività facciano bene a tutti: ai bambini che apprendono competenze manuali e storie vere, ai nonni che si sentono parte del gioco, agli adulti che trovano comunità dove spesso c’è solo corsa.

Idee concrete per un 2 ottobre che resti

Per rendere utile e memorabile la Festa dei nonni, basta un progetto chiaro. Una classe può preparare in anticipo un fascicolo di memorie: ogni alunno intervista un nonno o una nonna su tre capitoli fissi — un lavoro di ieri, un gioco di allora, un profumo di casa — e la scuola stampa un piccolo volume da consegnare alla biblioteca di quartiere. Un condominio può organizzare un caffè di pianerottolo: mezz’ora in cortile con biscotti, due canzoni dei bambini, una bacheca dove appendere le foto dei nonni da giovani con brevi didascalie. Una famiglia può progettare un passaggio di competenze: il nonno che sa aggiustare insegna al nipote come cambiare la camera d’aria, la nonna che cucina “a occhio” pesa una volta per tutte gli ingredienti per fissare la ricetta preferita. Un gruppo sportivo può invitare i nonni in palestra per un allenamento leggero aperto a tutti, e chiacchierare dopo su come si stava sugli spalti quando gli impianti erano diversi e le partite si seguivano alla radio.

Nelle RSA e nei centri diurni, la giornata può tradursi in un patto con le scuole: le classi preparano un momento di lettura, una videochiamata con i parenti lontani, un quaderno di storie scritte a più mani. Gli insegnanti possono lavorare sulla didattica della memoria: piuttosto che chiedere temi generici, si fissano domande puntuali e verificabili — “in che anno hai iniziato a lavorare?”, “com’era organizzata la tua classe?”, “quale oggetto non c’è più oggi?” — in modo che il racconto dei nonni diventi anche documento. L’idea è sempre la stessa: trasformare il 2 ottobre in un ponte concreto tra generazioni, non in un rito a orologeria.

Uno sguardo oltre i confini per capire meglio casa nostra

Altre realtà europee e internazionali celebrano i nonni in date diverse, e il confronto aiuta a capire la nostra scelta. In alcuni Paesi la ricorrenza cade in primavera, in altri all’inizio d’autunno, in altri ancora coincide con la prima domenica di ottobre. La varietà non è confusione: riflette storie diverse, percorsi legislativi differenti, spinte associative che hanno trovato strade autonome. L’Italia ha legato la Festa al 2 ottobre proprio per ancorarla a un’immagine diffusa e immediata — gli Angeli Custodi — e per offrire al sistema scuola, che in quel periodo ha appena ripreso, una giornata capace di innescare progetti senza intasare il calendario.

Il confronto internazionale evidenzia un punto spesso trascurato: la Festa funziona quando è connessa a politiche di sostegno. Dove esistono reti stabili di volontariato, spazi civici accessibili, servizi di conciliazione che dialogano con le famiglie, il 2 ottobre non è un fulmine isolato ma un interruttore che accende ciò che c’è, ricordandoci di usarlo meglio. Dove le reti mancano, la giornata può diventare la spinta iniziale per chiedere ciò che serve: luoghi, tempi, regole, risorse.

Lingua, cibo, lavoro: la trasmissione che tiene insieme il Paese

C’è un patrimonio che i nonni custodiscono e che la Festa aiuta a portare a galla: lingua, cibo, lavoro. Nelle famiglie italiane passano proverbi, modi di dire, cadenze regionali che i bambini imparano senza spiegarle, cantandole. Passano ricette “di casa” che sono geografie e mappe: una pasta e patate che profuma d’infanzia, una torta di mele “come la faceva la nonna”, un sugo che non è mai uguale ma è sempre riconoscibile. Passano competenze artigianali che rischiano di scomparire se nessuno le guarda: infilare un filo in un ago, sostituire una guarnizione, fare manutenzione a una finestra, lucidare un legno antico. Il 2 ottobre dà un nome a questa trasmissione e la rende visibile. E quando diventa progetto scolastico o di quartiere, queste competenze entrano nel curriculum di comunità: non sono nostalgie, sono pezzi di autonomia e consapevolezza.

Sul lavoro, le storie dei nonni sono spesso manuali viventi di educazione civica. Raccontano la fabbrica e la campagna, l’ufficio e il negozio, la stagione dei contratti e quella delle lotte, i rischi e le protezioni. Portano i bambini a vedere dove si produce davvero, come si costruisce una cosa, come si rispetta una regola, come si chiedono diritti. In un tempo che spesso confonde visibilità con valore, il racconto dei nonni riporta a terra: mostra il tempo lungo necessario per imparare, la disciplina nascosta sotto i gesti, la dignità dei mestieri.

Il ruolo delle scuole e degli insegnanti: fare della Festa un’occasione educativa

La scuola è il luogo dove la Festa dei nonni può diventare metodo. I docenti che scelgono di lavorare sul 2 ottobre non “tolgono tempo” al programma: lo arricchiscono. Intervistare i nonni significa esercitare capacità di ascolto, prendere appunti, organizzare informazioni, verificare. Trascrivere la ricetta di famiglia implica pesare, misurare, trasformare in testo procedure che a casa si fanno “a occhio”. Fare un laboratorio con un nonno artigiano significa trasformare la manualità in conoscenza: nomi degli attrezzi, norme di sicurezza, attenzione ai materiali. Preparare una visita in RSA chiede educazione civica: riflettere sulla fragilità, scrivere un biglietto chiaro e rispettoso, imparare a stare in un luogo che non è casa.

Gli insegnanti possono usare il 2 ottobre per lavorare sulla storia locale. Ogni comunità ha i suoi archivi: giornali di quartiere, fotografie, registri di scuola, testimonianze. Mettere i nonni in dialogo con questi materiali significa ricostruire il paesaggio, misurare le trasformazioni: com’era quella piazza, come passava il tram, dove c’era il cinema oggi c’è un supermercato, che lavoro facevano “tutti” in quella strada. È un’approssimazione ottima alla ricerca: si cercano fonti, si confrontano racconti, si evita la tentazione di mitizzare tutto. Gli studenti capiscono che la storia non è un racconto fisso ma una trama che si può seguire, che cambia a seconda dei punti di vista, che ha date, nomi, documenti.

Un 2 ottobre che diventa politica pubblica: proposte di buonsenso

Ogni anno, la Festa offre anche l’occasione per mettere a fuoco tre priorità di buonsenso. La prima: spazi e tempi. Quartieri e paesi hanno bisogno di luoghi semplici e gratuiti dove nonni e nipoti possano incontrarsi: cortili curati, biblioteche aperte il pomeriggio, piccoli teatri civici, ludoteche, centri sociali che non siano ghetti per anziani ma snodi di comunità. La seconda: salute e prevenzione. Programmi di attività dolce, cammini urbani, ginnastica posturale nei centri civici, screening in prossimità, sportelli di ascolto. La terza: digitale per tutti. I nonni non hanno bisogno di “aiutini estemporanei”, ma di percorsi continui: imparare a prenotare visite online, usare SPID, pagare un tributo, chattare con i nipoti in sicurezza. Ogni comune che, il 2 ottobre, promette un corso, dovrebbe garantire un calendario per tutto l’anno.

C’è, infine, un tema culturale: il linguaggio. Parlare di nonni senza infantilizzarli, senza raccontarli solo come fragili o solo come instancabili. La verità sta in mezzo: energie e limiti convivono. La Festa è l’occasione per ripulire lo sguardo e aggiornare le parole. Dire “grazie” non basta; serve anche imparare a chiedere ai nonni cosa desiderano, come stanno, di che cosa hanno bisogno. La reciprocità rende la relazione adulta, piena, rispettosa.

Il 2 ottobre che unisce le generazioni

Il 2 ottobre è un appuntamento semplice e, proprio per questo, potente. Dice che i legami non si improvvisano, si coltivano. Dice che la cura non è un mestiere da eroi, ma un verbo al plurale. Dice che il tempo più prezioso non si compra, si condivide. La Festa dei nonni mette a fuoco il ruolo delle nonne e dei nonni con la chiarezza di una fotografia in luce naturale: niente scenografie, solo persone che si cercano e si trovano. Sullo sfondo c’è un Paese che cambia, che invecchia e che può ringiovanire proprio dai legami: nei cortili dove i bambini giocano, nei mercati dove ci si saluta per nome, nelle biblioteche dove una nonna e un nipote imparano insieme, nei laboratori improvvisati in una cucina, nelle aule dove una maestra invita un nonno a raccontare come funzionava la sua prima officina.

Celebrarla bene significa portarla fuori dal calendario, farla diventare abitudine. Un disegno sul frigorifero può restare tutto l’anno, una ricetta scritta a quattro mani può entrare nel ricettario di famiglia, un video con l’intervista ai nonni può diventare materiale di famiglia da rivedere tra dieci anni. Una passeggiata nel quartiere, fatta il 2 ottobre, può diventare un rituale mensile. Un progetto scolastico ben fatto può finire nel catalogo della biblioteca e ispirare altre classi, altri insegnanti, altri nonni.

In fondo, la Festa dei nonni è un invito a mettere ordine nelle priorità. Ricordarci che dietro ogni agenda piena c’è un equilibrio di persone che si aiutano. Ricordarci che i bambini crescono meglio quando hanno vicino storie e mani diverse. Ricordarci che anche i nonni hanno diritto a tempo libero, a passioni, a camminate lente, a teatri e cinema, a corsi e viaggi. E ricordarci che il grazie più credibile è quello che si traduce in attenzione pratica: un corrimano montato dove mancava, un passaggio pedonale più sicuro, un’aula di informatica in biblioteca, un numero di telefono che risponde davvero quando serve aiuto.

Se il 2 ottobre riesce a dire tutto questo, allora è molto più di una data: è una promessa mantenuta. Una promessa che il Paese fa a se stesso, ogni anno, davanti allo specchio delle sue generazioni. Una promessa che comincia con un gesto semplice — un fiore, un disegno, una telefonata — e finisce dove finiscono le cose ben fatte: nella vita di tutti i giorni.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: Gazzetta UfficialeParlamento ItalianoDipartimento per le politiche della famigliaRaiNewsCorriere della SeraRegione Lombardia.

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