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Enrico Montesano: chi è davvero oggi e cosa non sai di lui

A ottant’anni suonati, Enrico Montesano è un professionista ancora operativo, un interprete capace di riempire teatri e di attraversare i media con l’energia del capocomico che non ha mai smesso di studiare il pubblico. Oggi il suo nome significa teatro musicale, memoria del varietà e mestiere comico rifinito, alimentato da prove costanti, riscritture di repertorio e una presenza mediatica che resta riconoscibile. Il cuore della sua attività è sul palcoscenico: testi cuciti addosso, numeri cantati, personaggi che rievocano un’Italia che ride e si racconta. È anche un personaggio che divide, perché alla carriera di lungo corso si sono affiancate scelte e posizioni che hanno acceso discussioni pubbliche. Ma, al netto delle polemiche, il dato di oggi è semplice: Montesano continua a lavorare, da attore e da showman, mantenendo un rapporto diretto con chi lo segue.
La sua immagine attuale tiene insieme tre elementi concreti: una biografia artistica da protagonista della commedia popolare italiana, una competenza di palcoscenico che gli consente di passare da una canzone d’autore a una gag di cronaca con la stessa naturalezza, e un’identità romana che non è mai ridotta a folclore ma diventa materiale drammaturgico. È questo profilo, fatto di artigianato e memoria, a spiegare perché resti centrale nel racconto dello spettacolo italiano: non solo come volto di film e varietà storici, ma come tassello vivente di una tradizione che unisce recitazione, canto e tempi comici. Ottantenne e ancora in scena non è uno slogan: è la fotografia attuale del suo lavoro.
Dagli inizi romani alla consacrazione teatrale
La biografia artistica nasce a Roma e in quella città trova la sua grammatica. Il quartiere popolare, la lingua che rotola senza perdere misura, il gesto che invita il pubblico a entrare in una confidenza più ampia: sono coordinate concrete, non semplici cornici. Nel teatro del capoluogo, quello che forma interpreti abituati alla prova quotidiana, Montesano impara la disciplina dei numeri musicali, il rispetto dei tempi d’entrata e l’ascolto delle reazioni in platea. I suoi primi successi si nutrono di questa educazione al ritmo, di quel lavoro invisibile che, sera dopo sera, trasforma un attore in un capocomico capace di “tenere” la sala.
La vera consacrazione arriva con il Teatro Sistina e il mondo costruito da Garinei & Giovannini, dove la commedia musicale è una macchina di precisione. Lì entra in contatto con partiture firmate da Armando Trovajoli e con drammaturgie che chiedono agli interpreti di saper recitare, cantare e muoversi senza soluzione di continuità. È il luogo in cui prende forma il suo Rugantino, maschera romana che gli rimane addosso come una seconda pelle e che, negli anni, diventerà sinonimo del suo nome. In scena la romanità non è cartolina: è strumento narrativo, modulato con una dizione che evita la scorciatoia della macchietta. Conta la precisione: la cadenza, lo sguardo, il modo in cui la pausa prima della battuta si fa promessa di risata.
Con “Se il tempo fosse un gambero” il credito teatrale si allarga. È uno spettacolo-rubinetto, che alterna sentimenti e lazzi, una struttura che mette alla prova l’attore in tutte le sue dimensioni. Il pubblico scopre che Montesano non è solo il caratterista brillante: è un interprete completo, in grado di passare da un recitativo a un controcanto, di sostenere la scena con i mezzi del musical senza perdere la naturalezza del comico di razza. Il teatro, per lui, non è una parentesi tra cinema e tv, ma la casa in cui si affina una lingua fatta di timing, memoria e corpo.
Quell’addestramento duro, da artigianato quotidiano, è la base che gli consentirà di travasicare nei linguaggi vicini senza smarrire la firma. La postura da capocomico, l’attenzione alla sillaba, l’istinto per la battuta che “atterra” quando deve atterrare: sono strumenti costruiti nella lunga palestra del palcoscenico romano. Per questo, anche oggi, quando risale su un palco, si riconosce il mestiere: l’apertura con il brano di repertorio, la gag di attualità ripulita fino a quando regge da sola, l’uscita che non strizza l’occhio, ma saluta con discrezione. È la scuola del Sistina che continua a vivere.
Il cinema popolare e i personaggi diventati culto
Il passaggio allo schermo grande coincide con la stagione in cui la commedia all’italiana sta cambiando pelle. Al bozzetto si chiede meno compiacimento, al personaggio più struttura. Montesano arriva con un repertorio di espressioni e un controllo dello sguardo che gli permettono di disegnare tipi riconoscibili ma non stereotipati. Il suo “truffatore buono” vive di tic minimi e di una retorica da venditore che non scade mai nello sguardo corto. La romanità, di nuovo, non è un’etichetta: è un modo di stare nel mondo, con ironia e un filo di malinconia.
Tra i titoli che lo imprimono nella memoria del pubblico c’è “Febbre da cavallo”, dove il suo “er Pomata” affianca l’iconico Mandrake in una Roma che scommette come fatica e come destino. Il personaggio è un amico scaltro, una faccia tosta che si scopre fragile quando le cose si complicano. È in ruoli come questo che l’attore mette a frutto la scuola teatrale: la battuta non è un fungo spuntato a caso, ma il frutto di una preparazione ritmica che permette al film di respirare. Il successo, col tempo, trasforma quel titolo in film di culto, e con esso i dialoghi entrano nel linguaggio comune.
Accanto a quella pietra miliare, il suo cinema attraversa altri territori popolari, a partire da “Il ladrone”, dove veste panni picareschi in una parodia biblica condotta come un gioco serio, fino al “Conte Tacchia”, romanzo pop di una Roma primo Novecento in cui la bravura dell’attore è misurare il confine tra tenerezza e sfrontatezza. Tra le prove più amate del pubblico c’è anche il filone comico che lo vede in coppie inusuali, con duetti che si reggono su differenze di tono e tempi: l’incontro tra il suo parlare cantilenato e quello più asciutto del partner diventa una partitura comica.
Il cinema, per Montesano, è laboratorio e cassa di risonanza. Nel laboratorio si tenta: si cambiano accenti, si pota la scena, si lavora sulla sottrazione per evitare l’overacting. Nella cassa di risonanza i personaggi iniziano una seconda vita, mediatica, che li restituisce alla tv e ai social del presente. Questa doppia dimensione spiega la longevità di alcuni suoi ruoli: non sono legati alla moda di una stagione, ma a un gesto recitativo riconoscibile, al modo in cui la menzogna buffa del personaggio trova sempre una giustificazione umana.
Da “Febbre da cavallo” all’eroe per caso
Il filo che unisce le sue apparizioni più riuscite è l’idea dell’eroe per caso che inciampa nella storia maggiore con il passo minore dell’uomo comune. È una cifra che l’attore porta dentro e che evolve nel tempo. All’inizio è soprattutto scaltrezza, la prontezza del romano che si salva con la lingua. Poi arriva la sfumatura malinconica, la consapevolezza che sotto la risata c’è sempre un prezzo da pagare. Oggi quel percorso si legge in controluce nelle riprese teatrali e nelle ospitate televisive, dove la memoria dei film si mescola alla battuta d’attualità, senza nostalgia di maniera.
Il risultato, per chi guarda, è la percezione di un interprete che ha messo insieme una galleria coerente: i mascalzoni adorabili, i furbetti che imparano la lezione, i borghesi stralunati che scoprono una vena di coraggio. È la posterità del cinema popolare, che resiste perché parla il linguaggio chiaro delle emozioni primarie e della comicità a due tempi. Montesano in questo panorama è un segnale stradale: indica una direzione, quella del comico con il cuore. E quel segnale, ancora oggi, è leggibile.
La grammatica del sabato sera: varietà e televisione
Se la sala buia è stata un trampolino, il sabato sera televisivo ha rappresentato la platea più larga. Lì ha messo in campo il mestiere del conduttore-spalla, capace di guidare un cast, reggere la diretta, incollare sketch e numeri musicali senza fare rumore. La tv generalista ha bisogno di figure che sappiano stare al centro delle correnti, e Montesano ha occupato quello spazio praticando una conduzione non invadente: lascia scena agli ospiti, si ritaglia il tempo della battuta, gestisce gli intermezzi con il passo di chi conosce i tempi del mezzo.
Il rapporto con il piccolo schermo passa attraverso speciali monografici, varietà e talk, con comparsate che riattivano la memoria del pubblico affezionato e presentano l’attore a platee più giovani. In quelle presenze c’è un tratto professionale che va sottolineato: l’affidabilità. È una qualità preziosa in tv: arrivare preparati, prendersi la responsabilità del ritmo, saper “salvare” un cambio scena con due frasi giuste e un gesto calibrato. La disciplina dei teatranti torna utile nella macchina televisiva, che è una liturgia con tempi e cerimonie ferree.
Negli anni, la sua presenza in video si è aggiornata alle regole del racconto contemporaneo: clip brevi, social che rilanciano, pezzi di repertorio riproposti con montaggi veloci. È una trasformazione che molti artisti di lungo corso hanno faticato a gestire; Montesano, invece, ha cercato di tenere il passo conservando la propria identità. Questo non significa rinunciare alla profondità del numero lungo, ma saperlo compattare quando serve, senza snaturarlo. La tv, d’altronde, è anche questo: portare l’essenza di una scena in pochi minuti.
La conduzione e il patto con il pubblico
La conduzione, nelle mani di un comico, è tecnica di relazione. Si tratta di stabilire un patto chiaro: io vi guido, voi vi fidate, e in cambio vi restituisco ritmo e chiarezza. Montesano ha impostato quel patto su tre perni: linguaggio accessibile, ironia senza crudeltà, rispetto dei ruoli. Il linguaggio accessibile non significa semplificazione banale, ma una scelta di lessico che non esclude nessuno. L’ironia senza crudeltà evita il ricorso alla derisione facile, preferendo l’autoironia e la compartecipazione. Il rispetto dei ruoli, infine, implica che il conduttore sappia quando arretrare per far brillare l’ospite, o quando avanzare per proteggere il tempo della diretta.
Questo modo di stare in scena ha costruito negli anni una fiducia che spiega la sua longevità televisiva. Anche oggi, nelle apparizioni in studio o nei collegamenti dai teatri, la sua postura è quella di chi mette a proprio agio gli interlocutori. Si nota nella gestione dei silenzi, nelle battute non sovrapposte, nella capacità di chiudere un segmento con una frase netta. È un artigianato che non fa notizia, ma che regge le trasmissioni.
Un professionista che non smette di studiare
Dietro il sorriso e la battuta c’è allenamento. Chi abbia osservato da vicino le sue prove racconta di scalette scritte a mano, di canzoni ripetute finché la frase musicale non aderisce alla voce, di un riscaldamento da cantante prima dell’apertura del sipario. Lavoro sul diaframma, appoggi, respirazione, articolazione delle consonanti: il kit che distingue il dilettante dall’artigiano. È un’eredità del teatro musicale e del varietà classico, dove il pubblico si aspetta che un comico sappia cantare, ballare, recitare senza cali.
A questa cura del suono si aggiunge l’ascolto della lingua. Una delle costanti di Montesano è l’attenzione per la parola precisa: il romanesco come strumento, non come travestimento. Si sente nelle sostituzioni fonetiche che alleggeriscono un periodo troppo lungo, nei piccoli spostamenti di accento che danno “grip” alla battuta, nella gestione delle pause. L’effetto, per chi assiste, è una sensazione di naturalezza: sembra tutto improvvisato, ma non lo è. È artigianato drammaturgico.
La costruzione del personaggio passa spesso da dettagli di costume pensati con cura: un gilet, un cappello, una cravatta che racconta qualcosa prima ancora che parli. Anche qui la regola è la misura: il dettaglio non deve rubare la scena, ma prepararla. Il lavoro di squadra con sarti, costumisti e direttori musicali è parte integrante della sua firma. E quando lo spettacolo riprende pezzi di repertorio, l’aggiornamento passa da micro-riscritture che rendono attuale il riferimento, senza tradire l’originale.
Infine c’è la gestione della voce nel tempo. L’età cambia i registri, abbassa certe frequenze, ne apre altre. Un professionista esperto non combatte contro la biologia: la asseconda. Montesano ha rimodulato alcuni brani, ha accorciato frasi troppo “appese”, ha spostato certi numeri sul parlato-cantato. Il risultato è una presenza scenica che accoglie l’età come risorsa, non come limite.
Le polemiche e la gestione della reputazione
Una carriera lunga come la sua attraversa fisiologicamente incidenti di percorso e discussioni pubbliche. Negli ultimi anni alcune prese di posizione, la partecipazione a programmi molto esposti e una controversia legata a un indumento ritenuto inappropriato hanno acceso dibattiti accesi. In quei frangenti, la reputazione di un artista si gioca su due piani: il piano delle conseguenze professionali e quello del rapporto con il pubblico. Per Montesano, come per molti colleghi, il teatro è stato il luogo in cui verificare la tenuta di quel rapporto. La risposta concreta, misurata in biglietti e applausi, è il termometro più sincero.
La gestione della comunicazione nei momenti critici ha scelto la via dell’intervista ragionata e del confronto in studio. Chi lavora nello spettacolo sa che l’onda mediatica è rapida nel montare e nel dissiparsi; per questo, oltre ai titoli, contano i comportamenti: il rispetto degli impegni contrattuali, la puntualità, la cortesia con tecnici e maestranze. Sono elementi che raramente finiscono nel racconto pubblico, ma che incidono pesantemente sui futuri ingaggi. In questo senso, l’immagine che restituisce il dietro le quinte è quella di un professionista che distingue tra palcoscenico e piazza, e che riporta sempre il focus sul lavoro.
È utile, in chiave giornalistica, separare i piani. C’è la valutazione artistica, che appartiene a critici e pubblico; c’è la valutazione etica e sociale di certe scelte, che attiene al dibattito civile. Il compito di chi scrive è mettere in fila i fatti e misurare gli effetti. Nel caso di Montesano, la fotografia aggiornata ci restituisce un attore che ha attraversato contestazioni e ripartenze, conservando un nocciolo duro di spettatori e la curiosità di chi lo ha conosciuto soprattutto attraverso i film culto. È con questo zoccolo duro che oggi costruisce le stagioni teatrali e le apparizioni tv.
Un altro tema è il rapporto con i social, terreno scivoloso per chiunque. La comunicazione diretta, senza mediazioni, amplifica i fraintendimenti ma offre anche la possibilità di spiegare il proprio punto di vista. La lezione che molti artisti della sua generazione hanno tratto è che occorre dosare. Un post in meno e un’intervista in più, spesso, guadagnano chiarezza al racconto. Anche su questo fronte, la misura è la chiave.
Legami, città e quotidianità di un attore
Roma non è solo l’origine, ma il palcoscenico allargato di una quotidianità che, nel caso di Montesano, resta legata ai luoghi dove si provano i numeri e si testano le battute. La città offre la materia prima: i bar dove si ascoltano conversazioni, i quartieri che cambiano, i mercati in cui l’orecchio intercetta una cadenza. L’attore di lungo corso si nutre di questi dettagli. È anche per questo che i suoi personaggi continuano a sembrare vivi: hanno un respiro urbano, portano l’odore del banco del giornalaio e la luce dei lampioni di periferia.
La dimensione personale resta giustamente protetta, ma quel che emerge in scena è una naturalezza di approccio che viene dalla vita vissuta. C’è attenzione per le nuove generazioni di comici, che spesso cita e ospita, c’è dialogo con i musicisti che gli costruiscono addosso le armonie giuste, c’è cura per le maestranze – tecnici, fonici, sarti – che sono la spina dorsale del teatro. Chi lo segue da tempo riconosce questi tratti nelle dediche finali, nei ringraziamenti non rituali, nei richiami alla memoria degli artisti con cui ha condiviso copioni e tournée.
In questo presente, volutamente radicato, si capisce perché il suo nome resti spendibile: unisce esperienza e riconoscibilità, una combinazione che nel mercato dello spettacolo italiano ha ancora peso specifico. Le produzioni sanno cosa aspettarsi, gli spettatori sanno cosa cercano. Il margine di rischio – ogni nuovo spettacolo ne porta uno – è gestito con la competenza che viene dall’aver attraversato stagioni diverse della tv e del cinema, dal bianco e nero del varietà ai flussi digitali.
Una nota che vale la pena fissare riguarda la trasmissione del mestiere. Montesano appartiene a quella generazione che ha imparato guardando i più grandi in prova, rubando con gli occhi, ripetendo in camerino finché la battuta non stava in piedi da sola. Quando oggi parla ai giovani attori, il consiglio è sempre lo stesso: studiare, ascoltare la sala, tagliare dove serve. Sono parole semplici, ma sono la differenza tra un numero che funziona una sera e un numero che regge una tournée.
Ritratto attuale: perché il suo nome conta ancora
Arrivare fin qui significa fissare un’immagine nitida. Enrico Montesano oggi è un attore in attività, con un’identità scenica precisa e una memoria professionale che ha formato il gusto di più generazioni. Ci arriva dalla palestra del teatro musicale, si è fatto amare dal grande pubblico con film entrati nel lessico comune e ha abitato il sabato sera televisivo con una conduzione “da capitano” che non scambia l’autorità con l’arbitrio. Ha vissuto polemiche reali, ne ha pagato i costi in termini di discussione pubblica, e ha trovato nella continuità del lavoro – prove, spettacoli, apparizioni misurate – il modo più solido per restare nel perimetro di chi conta.
Il suo valore, oggi, sta nella tenuta. Tenuta di voce, di tempi, di postura. Tenuta nel rapporto con il pubblico, che riconosce una certa onestà di palcoscenico: si promette una serata di teatro e quella serata arriva, senza scorciatoie. Tenuta nella gestione della propria immagine, che passa attraverso scelte concrete più che dichiarazioni. Tenuta, infine, nella capacità di aggiornare un repertorio senza rinnegarlo, portando nel presente i personaggi che hanno fatto strada con lui.
È questo a spiegare perché, quando si parla di spettacolo italiano, il suo nome continui a essere messo sul tavolo. Non per nostalgia, ma per una competenza viva, ancora esigente con se stessa. L’artista che molti ricordano per i film culto o per i varietà è lo stesso che oggi, in prova, si ferma su una parola, su una pausa, su un attacco musicale. Il mestiere è il filo che non si è mai spezzato. E quel filo, tenuto con pazienza, consente a Enrico Montesano di essere, ancora oggi, presenza concreta del nostro immaginario popolare.
🔎 Contenuto Verificato ✔️
Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: Corriere della Sera, ANSA, RaiPlay, Il Sistina, Cinefilia Ritrovata, RaiNews.

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