Domande da fare
Domande da fare ad un colloquio: ecco come distinguersi davvero

Formato pratico e aggiornato per distinguersi davvero in un colloquio, con esempi concreti, strategie, e consigli per fare domande che colpiscono.
Nel mondo del lavoro, quello vero, il colloquio non è mai stato solo una questione di risposte. E chi ha fatto qualche selezione – da una parte o dall’altra del tavolo – lo sa bene. Sembra tutto un copione, a volte. Domande, risposte, solite formule. Poi però, ci sono quei candidati che ti restano in testa. Magari non sono i più brillanti sul CV, ma fanno una cosa che pochi sanno fare: sanno chiedere. E lo fanno davvero, senza finzioni.
La verità? Spesso chi sa porre domande giuste fa la differenza più di chi snocciola solo risposte perfette. E non si tratta solo di stupire il selezionatore. Si tratta di capire dove si sta andando, chi c’è dall’altra parte, e se quell’azienda – con i suoi valori e le sue abitudini, buone o meno buone – è davvero il posto dove vorrai stare ogni giorno.
Perché oggi conta davvero saper chiedere (non solo rispondere)
Il nuovo ruolo (vero) del candidato
Il tempo in cui bastava andare a un colloquio e rispondere a qualche domanda standard è finito. Ora i selezionatori, soprattutto quelli bravi, vogliono parlare con persone curiose, capaci di leggere tra le righe. Vogliono vedere chi hanno davanti, non solo valutare competenze. E anche chi cerca lavoro, spesso, vuole davvero capire dove mette piede. Sì, perché ormai il lavoro non è più quello dei nostri genitori: contano la crescita, l’ambiente, il modo di lavorare insieme, le possibilità di imparare.
Ecco perché le domande da fare ad un colloquio non sono solo un esercizio di stile. Sono il modo più diretto per uscire dalla massa, far vedere che ci tieni, e magari anche strappare un sorriso quando l’atmosfera si fa troppo tesa.
Fare domande cambia tutto (anche il clima)
C’è una differenza, enorme, tra chi ascolta passivamente e chi accende una scintilla con la domanda giusta. Te ne accorgi subito: si abbassano le difese, il dialogo si scalda, il colloquio sembra una conversazione vera. Ed è lì che spesso nasce quella famosa “chimica” che tutti cercano, ma che pochi riescono a creare.
Ci sono aziende che ricordano ancora, a distanza di mesi, la domanda di un candidato fatta all’ultimo minuto. Magari semplice, magari spiazzante. Eppure incisiva.
Prepararsi (ma senza diventare robot): studio, fiuto e un pizzico di coraggio
Conoscere l’azienda (ma davvero)
Non basta cercare il sito o dare un’occhiata ai social. Bisogna capire chi c’è dietro quei valori che tutti scrivono nelle pagine “Chi siamo”. Guardare le interviste, leggere le recensioni su siti come Glassdoor, vedere come parlano le persone che ci lavorano davvero. Perché ogni azienda ha la sua lingua, le sue abitudini, il suo modo di intendere la parola “team”.
Una volta ho partecipato a una selezione per una realtà piccola ma molto ambiziosa. Chi arrivava sapendo già chi fosse il fondatore, quali erano i progetti in corso e perfino l’ultimo evento interno – e chiedeva dettagli su queste cose – aveva subito una marcia in più. Non era solo “preparazione”, era voglia di farne parte davvero.
Capire ruolo e squadra: non si lavora mai da soli
Quante volte si va a un colloquio senza aver capito davvero che lavoro si farà? Eppure, la job description è lì apposta. Ma attenzione: la vera differenza la fa chi sa leggere tra le righe. Ad esempio, chi nota che in azienda ci sono molti team trasversali, oppure chi si accorge che il ruolo richiede competenze che non sono scritte chiaramente.
Per questo le domande su chi saranno i colleghi, su come funzionano i progetti, su come si prendono le decisioni, sono le più apprezzate. Spesso è proprio qui che capisci se l’azienda è fatta per te, o se è meglio lasciar perdere.
Il timing giusto: a volte la domanda va fatta prima, altre va lasciata alla fine
Capita spesso che il selezionatore dica “Ha delle domande?” alla fine. Ma non è una regola fissa. A volte la domanda giusta viene fuori mentre si parla di un progetto, o quando si tocca un tema che ti interessa. In questi casi, non c’è niente di male a interrompere con garbo e chiedere subito: è segno di attenzione, non di maleducazione.
Io stesso, più di una volta, ho cambiato completamente opinione su un candidato dopo aver sentito una domanda originale a metà colloquio. La tempistica, in fondo, è quasi tutto. Ma bisogna sentirsela: meglio una domanda sincera fatta d’istinto che una preparata a tavolino e recitata senza convinzione.
Le domande da fare ad un colloquio: spunti veri, esempi reali
Le basi (ma fatte bene)
- “Cosa vi aspettate davvero nei primi tre mesi?”
- “Qual è la sfida più grande che chi arriva qui deve affrontare?”
- “Ci sono obiettivi chiari da raggiungere, o sarà più un lavoro da costruire insieme?”
Queste non sono domande da manuale. Sono quelle che ti fanno capire se l’azienda ha le idee chiare – e se le hai anche tu.
La squadra, il lavoro insieme, i dettagli umani
- “Con chi lavorerò tutti i giorni? Un team fisso, o cambia spesso?”
- “Avete momenti in cui ci si confronta tutti, o è tutto gestito via email?”
- “Che tipo di rapporto c’è davvero tra colleghi, fuori dal lavoro?”
Sembra banale, ma molte persone cambiano azienda proprio perché il clima tra colleghi non è quello che speravano.
Leadership e crescita: chi decide, come si cresce, che possibilità ci sono
- “Chi è il mio punto di riferimento diretto?”
- “Riceverò feedback strutturati, o solo quando qualcosa va storto?”
- “C’è qualcuno in azienda che fa mentoring? Come funziona davvero la crescita qui?”
Le domande su come si cresce sono spesso lo specchio di una persona che vuole investire su se stessa. E chi cerca talenti, queste cose le nota.
Modalità di lavoro: smart working, flessibilità e vita vera
- “C’è possibilità di smart working o orari flessibili?”
- “Come viene gestita la vita privata? È davvero rispettata?”
- “Ci sono strumenti o progetti per il benessere delle persone? Magari anche cose piccole, tipo pause caffè condivise?”
Nel 2025, parlare di flessibilità non è più un tabù. Chi lo fa con naturalezza dimostra di essere in linea con i tempi.
Progetti, futuro e spazio per le idee
- “Ci sono progetti nuovi su cui l’azienda sta puntando forte?”
- “Avrò la possibilità di proporre idee, o la struttura è molto gerarchica?”
- “Come vengono accolte le iniziative personali, anche piccole?”
Queste domande svelano subito chi non si accontenta di fare il minimo, ma vuole davvero lasciare il segno.
Domande da evitare (almeno all’inizio)
Soldi, ferie e benefit: sì, ma non subito
Domande su stipendio, ferie, benefit: servono, certo, ma non sono quasi mai il biglietto da visita migliore. Meglio aspettare che sia il selezionatore a introdurre il tema, oppure aspettare i colloqui successivi, quando il match è già avviato. C’è sempre tempo per trattare, ma il primo incontro è dedicato a conoscersi e capire se vale la pena andare avanti.
Domande “da sito web” o troppo vaghe
- “Cosa fa la vostra azienda?”
- “Quanti siete in totale?”
Si trovano su Google in 30 secondi. Chi le fa, spesso, viene ricordato come poco preparato. Meglio evitare.
Non metterne troppe tutte insieme
Il rischio è quello di sembrare troppo ansiosi, o addirittura invadenti. Meglio scegliere due o tre domande chiave – magari preparate prima, ma lasciando spazio anche a quelle che verranno spontanee.
Come personalizzare le domande: ascoltare e adattarsi al momento
Non esiste una formula fissa. A volte le domande migliori nascono proprio ascoltando il selezionatore e collegando i puntini. Se parlano di un nuovo progetto, chiedi dettagli. Se nominano una difficoltà, prova a capire come viene affrontata. Ogni colloquio è diverso: il trucco vero è essere lì, davvero presenti.
Una volta, durante un colloquio, una candidata ha chiesto: “Come reagite quando un progetto va male?”. Era una domanda semplice, ma ha aperto un discorso onesto sulla gestione degli errori, sulle responsabilità e anche sulle storie di successo nate proprio da qualche pasticcio iniziale. Una domanda così non si dimentica facilmente.
L’effetto delle domande sulla reputazione: la differenza tra chi resta e chi passa
Perché chi fa domande viene ricordato (e spesso assunto)
Non c’è niente di più efficace di una domanda ben posta. Ti fa uscire dall’anonimato. Ti trasforma da candidato a persona. Ti mostra interessato, attento, e anche un po’ coraggioso. E le aziende, soprattutto quelle che cercano gente sveglia, queste cose le notano subito.
Chiedere feedback (senza paura)
Non è da tutti, ma chiudere chiedendo: “C’è qualcosa che potrei migliorare?” oppure “Le è mancato qualcosa nella mia presentazione?” dimostra apertura, umiltà, voglia di imparare. E spesso, sì, può fare la differenza quando si decide a chi dare la seconda opportunità.
Il follow-up: la mossa che pochi fanno (ma che vale oro)
Un’email di ringraziamento, due righe sincere per ribadire interesse: semplice, ma ancora pochi la inviano. Eppure, è la firma su una buona impressione lasciata a caldo. Chi lo fa, spesso resta impresso più degli altri.
Il succo: chiedere è già lavorare
Alla fine, le domande da fare ad un colloquio non sono solo una tecnica, ma il riflesso di chi sei. Curioso, attento, in cerca di crescita vera. In un mercato dove i CV si somigliano sempre di più, la differenza la fa chi sa parlare con il cuore – e con la testa – di fronte a un selezionatore.
Si vede subito chi recita, e chi invece si mette davvero in gioco. Forse è anche per questo che, a volte, proprio chi fa la domanda giusta si porta a casa il lavoro migliore.
🔎 Contenuto Verificato ✔️
Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: Randstad, Indeed Italia, Adecco Italia, University2Business.

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