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Dove e come saranno rilasciati gli ostaggi di Hamas a Gaza?

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come saranno rilasciati gli ostaggi di Hamas

Hamas ha trasferito i rapiti in tre località dentro Gaza in vista della consegna alla Croce Rossa Internazionale (ICRC), con un incontro operativo fissato in nottata per definire meccanismi e tempi dell’handover. Sul fronte israeliano, il governo indica che tutti i 20 ostaggi in vita attesi in questa fase saranno rilasciati nelle prime ore di lunedì 13 ottobre nell’ambito della tregua in vigore, mentre prosegue la definizione delle liste di prigionieri palestinesi da liberare in reciprocità.

L’aspettativa, confermata nelle ultime ore da più canali, è che il passaggio avvenga in modo unitario, sobrio e tecnicamente protetto, con l’ICRC in prima linea per la presa in carico e il trasporto fino al confine.

Nelle prossime ore: il quadro temporale e la sequenza prevista

La finestra operativa è l’alba di lunedì 13 ottobre (ora locale), con rilascio in un’unica tranche dei 20 ostaggi in vita. Le indicazioni ufficiali parlano di consegna all’ICRC in 6–8 veicoli dedicati, senza esposizioni pubbliche, seguita dal trasferimento verso forze israeliane in aree di confine sotto controllo israeliano e poi alla base di Reim per i primi ricongiungimenti o, se necessario, direttamente in ospedale.

Questo schema consente di sfruttare le finestre di deconflitto della tregua, minimizzando interruzioni e rischi lungo il corridoio. Le stesse fonti sottolineano la volontà di evitare “scenografie” o momenti mediatici sul percorso.

Il passaggio materiale avviene in punti di incontro predefiniti dentro la Striscia, con team ICRC disarmati e dotati di personale sanitario a bordo. Il mandato dell’ICRC è neutrale e tecnico: non negozia gli accordi politici, ma riceve le persone, ne verifica l’identità, valuta lo stato di salute e le trasporta fino al confine indicato dalle parti. La riunione con i rappresentanti di Hamas in nottata serve a bloccare sul campo orari, tragitti, segnali di riconoscimento dei mezzi e protocolli di sicurezza. È lo stesso perimetro d’azione ribadito dal Comitato negli ultimi giorni: intermediario umanitario, non parte in causa, con priorità a sicurezza e dignità dei rilasciati.

Identificazione, tutela e salute: cosa accade nei primi minuti

Appena a bordo, i team ICRC procedono alla conferma delle identità sulla base delle liste condivise e dei riscontri disponibili, quindi al triage sanitario di base: stato di coscienza, segni di malnutrizione o disidratazione, eventuali ferite o patologie pregresse che richiedano trasporto in ambulanza. Nei casi più delicati, la presa in carico clinica inizia già in movimento con equipaggi e strumentazione dedicata; per gli altri, si utilizzano minivan contrassegnati ICRC, mantenendo comunicazioni radio criptate con la sala operativa umanitaria. Fino al completamento dei controlli, telefoni e dispositivi restano in genere fuori portata dei rilasciati, così da proteggere la privacy e evitare geolocalizzazioni involontarie lungo la rotta; il contatto con le famiglie viene organizzato dopo l’ingresso in area sicura, quando medici e psicologi concludono le prime verifiche.

Al varco in Israele, le autorità sanitarie e di sicurezza svolgono controlli più approfonditi e indirizzano i rilasciati alla base di Reim per il primo ricongiungimento o direttamente verso ospedali preallertati. Le pianificazioni correnti indicano ricoveri presso il Sheba Medical Center e, per gruppi più piccoli, in ulteriori strutture di riferimento dell’area centrale e meridionale del Paese. Il principio operativo resta invariato: identità–medico–famiglia–trasferimento, con priorità clinica sui casi più fragili.

Rotte, varchi e finestre di deconflitto

La scelta del varco dipende dalle condizioni di sicurezza e viabilità nel sud della Striscia. Nel frattempo, la macchina degli aiuti sta instradando i camion in entrata dal lato egiziano di Rafah verso l’area di ispezione a Kerem Shalom, dove vengono effettuati i controlli prima dell’immissione in Gaza; è un segnale su quale quadrante sia effettivamente operativo e presidiato, con strade bonificate e corridoi coordinati. Anche per il convoglio ICRC, la rotta più probabile resta quella che riduce al minimo i tempi tra consegna e ingresso in area israeliana, sfruttando finestre temporali condivise con chi controlla il fuoco sul terreno e varianti pronte in caso di imprevisti. L’obiettivo è evitare incroci con i flussi umanitari e garantire continuità di marcia fino al perimetro.

Gli autisti mantengono velocità costante, senza soste non pianificate, e comunicano via radio con la sala operativa. Nelle ore del passaggio, le autorità attivano chiusure temporanee delle arterie laterali, posizionano schermi mobili a tutela dell’immagine dei rilasciati e istituiscono fasce orarie separate per i convogli di aiuti nella stessa area, così da evitare colli di bottiglia. L’esperienza degli scambi precedenti indica che la ripetibilità del protocollo è la migliore garanzia contro variabili impreviste.

Numeri e sequenza dello scambio: cosa sappiamo

Il rilascio dei prigionieri e detenuti palestinesi scatterà solo dopo la conferma ufficiale che tutti i 20 ostaggi in vita sono entrati in territorio israeliano. Le stime condivise nelle ultime ore indicano circa 2.000 persone in uscita dalle carceri o dai centri di detenzione israeliani, con un mix tra detenuti condannati, amministrativi e minori, oltre a restituzioni di spoglie e passaggi in esilio o in Cisgiordania per alcuni nominativi.

Resta in piedi un tavolo separato sulle eccezioni e sui profili più sensibili: la discussione proseguirà dopo la prima ondata, per evitare che veti incrociati blocchino la consegna degli ostaggi. In parallelo, è stato allestito un gruppo dedicato al recupero e al rientro delle spoglie dei 28 ostaggi deceduti.

Chi tiene il filo

Mediatori, sala operativa e catena di comando

La tregua e la finestra di rilascio sono state cucite attraverso un lavoro congiunto di Stati Uniti, Egitto, Qatar (con interlocuzioni aggiuntive turche), che hanno tenuto in piedi canali paralleli per sciogliere i nodi su liste e tempistiche. La sala operativa umanitaria si coordina con un nucleo militare israeliano per le misure di sicurezza e con i mediatori per i messaggi d’urgenza in caso di ritardi o incidenti sul terreno. L’indicazione comune, condivisa con l’ICRC, è di mantenere una comunicazione pubblica minimale fino al completamento del passaggio, proprio per ridurre il rischio di assembramenti, inseguimenti mediatici e interferenze non controllate lungo la rotta.

Sul lato israeliano, lo stato maggiore della presa in carico scatta al segnale “ostaggi in convoglio ICRC”: si alza il livello di sicurezza sul varco prescelto, si chiudono temporaneamente le arterie laterali, si attivano i corridoi sanitari verso gli ospedali e si allertano psicologi e assistenti sociali per la fase dei ricongiungimenti. La consegna di spoglie avviene su canali separati, con personale e mezzi dedicati per preservare dignità e riservatezza.

Perché contano i dettagli: protocolli, segnali e “ridondanza”

Ogni elemento è predefinito: targhe e colori dei veicoli umanitari, codici di comunicazione, parole chiave per i check lungo la rotta. La ridondanza—più varianti di percorso, più finestre possibili, più punti di ricambio—è il cuore dell’ingegneria logistica in un teatro ancora fragile. Bretelle alternative sono pronte nel caso di crolli di carreggiata, ordigni o ingorghi; la regola è non fermarsi se non strettamente necessario, raggiungendo il successivo punto di controllo. Sul perimetro finale, l’ultima curva prima del cancello resta sgombra e protetta, per prevenire imboscate o intromissioni.

Alle persone rilasciate viene garantito un corridoio di privacy: niente immagini non autorizzate, nessuna domanda intrusiva, contatto con i familiari organizzato da psicologi e ufficiali di collegamento. È attiva anche una rete di prevenzione sul fronte digitale per bloccare truffe o diffusione di foto non desiderate nelle ore più concitate del rientro. Nelle 24 ore successive, a ogni rilasciato viene assegnato un referente unico per pratiche, esigenze mediche e relazione con i media.

Rischi e variabili: come si prepara il “piano B”

Tre i fronti più delicati. Sicurezza sul terreno: detonazioni, crolli, ostacoli improvvisi. Comunicazione: voci incontrollate, dirette social, live tracking accidentale. Politica-diplomazia: contestazioni dell’ultimo minuto su nomi e sequenze. Per ognuno c’è un piano B (rotta alternativa), e spesso anche un piano C (slittamento orario o cambio varco).

Gli attori sono stati esercitati a passaggi “a finestra unica”: un solo movimento, poche variabili, ciclo chiuso nel minor tempo possibile. L’esperienza insegna che scaglionamenti lunghi aumentano rischio e ansia—per questo la preferenza va a un passaggio compatto, con la Croce Rossa come unico vettore visibile.

Cosa significa per i detenuti palestinesi

Le autorità israeliane hanno lasciato intendere una liberazione su vasta scala in cambio del rientro degli ostaggi: centinaia di prigionieri condannati (compresi ergastoli) e un ampio gruppo di detenuti provenienti da strutture nel sud di Israele e da centri di detenzione legati a Gaza.

In alcuni casi è prevista destinazione in Cisgiordania o esilio, con monitoraggio dei mediatori per ridurre attriti. La sequenza resta condizionata: prima la conferma ufficiale del rientro degli ostaggi in Israele, poi lo start alle uscite scaglionate dei detenuti palestinesi, con trasporti e varchi separati per evitare promiscuità logistica e mediatica.

Come si incastra il flusso umanitario

La tregua prevede un forte incremento degli aiuti: fino a 600 camion al giorno in ingresso, con priorità a cibo, medicali, ripari, carburanti e materiali per ripristinare infrastrutture (acqua, fognature, panifici). L’Egitto ha annunciato 400 camion in partenza nell’arco della giornata, mentre WFP e partner stanno sgombrando le arterie interne per riattivare la distribuzione capillare.

La spinta logistica su Kerem Shalom è cruciale anche per il deconflitto: i flussi dei camion di aiuti vengono spostati in blocchi orari diversi rispetto alla finestra del convoglio ICRC, così da tenere sgombra la corsia ostaggi e ridurre al minimo i tempi d’attesa al varco.

Ricongiungimenti e ospedali: cosa è stato predisposto

Una volta varcato il confine, la priorità resta clinica. I casi urgenti passeranno subito in ambulanza o elicottero sanitario verso le strutture dedicate; gli altri verranno accompagnati alla base di Reim per il primo abbraccio e quindi redistribuiti su ospedali preallertati.

Nelle pianificazioni diffuse oggi, Sheba Medical Center risulta capofila, con ulteriori letti riservati in ospedali dell’area centrale per ridurre trasferimenti secondari. L’organizzazione punta anche a percorsi dedicati per minori e persone fragili, con ambienti protetti e mediazione familiare già pronta in reparto.

Tre elementi-chiave da tenere d’occhio

Unità del rilascio: segnale forte per ridurre rischi e accorciare i tempi di passaggio. Allineamento delle liste: il rilascio dei detenuti dipende dalla convalida finale dopo il rientro degli ostaggi. Operatività del corridoio sud: la scorrevolezza di Rafah lato egiziano e l’area di ispezione di Kerem Shalom sono indicatori affidabili dello stato del sistema, sia per aiuti che per convogli umanitari. Su questi tre assi si misura la robustezza del protocollo nelle prossime ore.

Per le famiglie, il percorso è guidato e protetto: contatto appena possibile, senza esposizione e con supporto psicologico immediato. Ai cittadini e ai media viene chiesto di non affollare varchi e aree sensibili e di evitare la condivisione di dettagli logistici o dirette dai punti di passaggio. Se tutto procederà come previsto, la visibilità pubblica del rilascio sarà minima: vedremo piuttosto l’effetto nelle strutture di accoglienza e nelle corsie ospedaliere, dove si compie il vero tratto umano dell’operazione.

Le tornate precedenti hanno messo in chiaro due linee rosse: tenere lontane le folle dai punti di consegna e proteggere i rilasciati da contatti non mediati nelle prime ore. Da qui la scelta di un protocollo ripetibile, con finestre strette e comandi unificati. La rigidità non è un vezzo: è l’antidoto a imprevisti—dalla logistica alla comunicazione—in un ambiente dove ogni minuto aggiunge variabili. È anche il motivo per cui l’ICRC insiste sull’idea di sicurezza e dignità come primi criteri di riuscita.

Uno sguardo operativo al “giorno dopo”

Se la finestra di lunedì si chiude senza incidenti, l’attenzione si sposta su due binari: attuazione completa della reciprocità carceraria e scalabilità della rotta umanitaria. I mediatori puntano a consolidare procedure e cadenze per fasi successive, incluse le restituzioni postume e l’eventuale gestione di casi residui. La contabilità delle uscite—quanti, quando, verso dove—sarà il termometro della tenuta politica dell’intesa nelle prossime settimane.

Se tutto andrà secondo il disegno, all’alba si muoverà una colonna silenziosa: pettorine ICRC, coperte termiche, radio sul cruscotto, pochi minuti per chiudere anni di attesa. È un’operazione costruita perché parli pochissimo mentre accade, ma produca effetti misurabili subito dopo: 20 persone rimesse in sicurezza, liste che si sbloccano, corridoi che restano praticabili per aiuti e movimenti successivi. È questo che, nelle prossime ore, farà la differenza tra un protocollo sulla carta e un rientro a casa.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: Corriere della SeraRaiNewsANSAIl PostSky TG24la Repubblica.

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