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Chi è Maria Grazia Chiuri, nuova direttrice creativa di Fendi

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Chi è Maria Grazia Chiuri

Nel giorno dell’annuncio del 14 ottobre 2025, Maria Grazia Chiuri è stata nominata nuova direttrice creativa di Fendi. La prima collezione è fissata a febbraio a Milano, nel calendario della Milano Fashion Week, con il debutto dell’Autunno/Inverno 2026-2027. Il ritorno della designer romana nella maison dove mosse i primi passi non è un dettaglio romantico: è una mossa che riallinea creatività, prodotto e posizionamento, con effetti concreti sull’offerta donna e sugli accessori, cuore del business Fendi.

Il perimetro è chiaro fin da subito. Chi: Chiuri, classe 1964, figura chiave della moda italiana contemporanea. Cosa: la guida creativa del womenswear Fendi, con un mandato pensato per valorizzare identità e patrimonio del marchio. Quando: esordio a febbraio con la collezione AI 2026-2027. Dove: Milano, piattaforma ideale per misurare la risposta del mercato. Perché: perché la stilista porta una visione riconoscibile, capace di trasformare heritage e artigianalità in linguaggio attuale, coniugando funzionalità e desiderabilità. Il contesto è favorevole: l’anno del centenario Fendi aggiunge peso simbolico e attenzione mediatica, mentre l’organizzazione interna si ricompone dopo l’annuncio del nuovo ruolo di Silvia Venturini Fendi come presidente onorario.

Un annuncio che ridisegna gli equilibri

Il passaggio a Fendi non è soltanto la storia di un ritorno a casa. È una scelta di governance creativa che riporta la regia del womenswear in mani abituate a integrare atelier, archivio, prodotto e comunicazione con metodo. La maison romana, parte del gruppo LVMH, consolida così il proprio baricentro italiano, unendo capitale industriale, filiera e un’estetica che parla linguaggio urbano senza rinunciare alla cultura d’atelier. Per un marchio che ha fatto degli accessori il proprio biglietto da visita globale — basti pensare alla Baguette — avere una direttrice creativa con comprovata sensibilità per uso, funzione e costruzione è un vantaggio competitivo immediato.

L’annuncio arriva dopo settimane di attesa e di letture strategiche. L’ufficialità non si limita ai nomi: indica la volontà di dare continuità alla centralità degli accessori e, allo stesso tempo, di rilanciare l’abbigliamento donna con una grammatica coesa. Per il gruppo, significa rafforzare una maison che ha dimostrato negli anni di saper coniugare crescita e distintività; per Fendi, significa investire su una direzione capace di leggere il presente e tradurlo in famiglie di prodotto coerenti e scalabili.

Il profilo di Maria Grazia Chiuri

Prima di tutto, Chiuri è una costruttrice di sistemi. Ha iniziato in Fendi alla fine degli anni Ottanta, contribuendo alla nascita della Baguette, accessorio manifesto che ha anticipato di anni la logica dell’it-bag come fenomeno di costume. Nel 1999 è approdata in Valentino, dove con Pierpaolo Piccioli ha rinnovato il lessico del romanticismo, rendendolo contemporaneo e internazionale senza perdere la centralità della mano. Nel 2016 ha assunto la direzione creativa di Dior, guidando una stagione lunga quasi un decennio in cui la couture ha dialogato con funzione, città e cultura. Il filo rosso non è l’ideologia, ma la pragmatica dell’atelier: come si taglia, come si ricama, come si indossa, quanto resiste nel tempo un capo o una borsa.

Questo metodo sarà ora applicato al vocabolario Fendi, fatto di pelli trattate come tessuto, maglieria d’eccellenza, tagli architettonici e una romanità colta che rifiuta la cartolina. Conosce la filiera italiana, sa come trasformare tecniche complesse in prodotti leggibili, e ha dimestichezza con l’archivio come giacimento di idee da rileggere e ricomporre. Non è una direttrice “di effetti speciali”: lavora sul passo della donna, sulla gestualità quotidiana, sui piccoli semiotici funzionali che cambiano l’esperienza d’uso di un capo o di una borsa.

Cosa vedremo in passerella a febbraio

La prima sfilata funziona sempre come manifesto. A Milano, in febbraio, Chiuri avrà bisogno di un racconto chiaro. È realistico aspettarsi una collezione costruita attorno a eleganza funzionale e costruzione sartoriale, con giacche e cappotti come perni, maglieria strategica, pelli sottili usate in modo non decorativo, sovrapposizioni studiate per la vita reale e un’attenzione puntuale a tasche, tracolle, fibbie, quindi a tutto ciò che incide sull’uso quotidiano.

Sul colore, Fendi ha una tradizione di neutri sofisticati e terrosi intervallati da accenti saturi. Chiuri tende a usarli come ritmo, non come effetto. I motivi grafici potranno emergere come struttura più che come ornamento, i ricami come cartografie di pazienza, le trasparenze come strumento per dare profondità senza fragilità. La mise-en-scène sarà leggibile, con una narrazione capace di spiegare il prodotto fin da lontano: cosa si compra, come si indossa, quanto dura. È un tipo di chiarezza che genera fidelizzazione e riacquisto.

Il casting e il montaggio dei look saranno indicatori precoci. La donna Fendi non è un’eroina astratta: è professionista, mobile, connessa. La passerella dovrà raccontare versatilità senza cadere nella genericità, con capo-sistema che risolvono momenti della giornata: tailleur leggeri che reggono dal mattino alla sera, gonne pensate per la camminata reale, camicie in pelle come seconda pelle, abiti che evitano l’evento fine a sé stesso e puntano sulla ricorrenza d’uso.

Accessori e Baguette come barometro

Gli accessori sono il barometro immediato del nuovo corso. Per borse e piccola pelletteria, la grammatica Fendi unisce pelle pieno fiore, lavorazioni a intarsio, spericolatezza tecnica e leggerezza. Chiuri porta una visione funzionale e strutturale: una borsa non è una scultura, è un organismo che deve organizzare e accompagnare. Ci si può attendere famiglie di prodotto con identità distintive — nuove tracce vicine alla Baguette, senza ricalcarla —, modularità intelligente, tracolle ripensate, chiusure che coniugano estetica e intuitività d’uso, formati pensati per gestire smartphone, documenti, oggetti personali con naturalezza.

La Baguette rimane un personaggio. È probabile che il nuovo corso la trasformi in piattaforma: micro e macro proporzioni, materiali alternativi, pelli alleggerite, trattamenti che cambiano tatto e comportamento nel tempo. L’obiettivo non è la nostalgia, ma la riattivazione del codice: far vivere la Baguette in contesti d’uso multipli, dagli impegni professionali alla sera, mantenendo quella portabilità che l’ha resa iconica.

Anche la calzatura potrebbe beneficiare di un approccio meno cosmetico e più ergonomico. Stivaletti e décolleté con punti di flessione studiati, tacchi stabili, suole che assorbono l’impatto senza sacrificare la linea. Sono dettagli che determinano riacquisto e passaparola, più di quanto non faccia una foto virale.

Artigianalità, filiera e responsabilità

Quando si parla di Fendi, la parola artigianalità non è ornamento retorico, ma capitale industriale. La maison dispone di laboratori e competenze che coprono pellicceria, pelletteria, maglieria, tessuti trattati e lavorazioni a più passaggi. Chiuri ha l’abitudine di mettere in luce i mestieri: nomi, tempi di lavorazione, punti, intarsi, bordure, finiture. Portare questi elementi al centro non significa trasformare la sfilata in una lezione tecnica, ma giustificare il valore dei prodotti attraverso trasparenza e tracciabilità.

Sul fronte della responsabilità, il percorso è già tracciato: materiali certificati, forniture prossime, riparabilità come servizio, durabilità come metrica. L’approccio più efficace non è lo slogan, è la metodologia. Se un cappotto in pelle sottilissima tiene forma e mano dopo anni, se una borsa mantiene struttura e bordatura senza cedere, la sostenibilità smette di essere claim e diventa esperienza. È quello che una clientela esigente e informata chiede oggi: valore d’uso, manutenzione possibile, assistenza reale post-acquisto.

Il tema archivio resta cruciale. Non come museo, ma come strumento di progetto. Fendi custodisce cartamodelli, campioni, tracce di lavorazioni che possono generare novità vere. Rileggere i volumi di certe giacche, riprendere tecniche di intaglio su pelle, aggiornare foderature e interfacce per alleggerire: sono tutte operazioni che parlano alla memoria del marchio e alle aspettative di chi compra oggi.

Effetti per mercato e clienti

Ogni nomina di questo livello produce effetti su tre piani: immagine, prodotto, risultati. Sul primo, Fendi guadagna una voce autorevole e riconoscibile, con capacità di dialogo istituzionale e culturale. Sul secondo, si punta a una proposta coesa in cui abbigliamento e accessori non vivono mondi separati ma si alimentano a vicenda, con palette, materiali e forme orchestrate su un’unica partitura. Sul terzo, i parametri di lettura saranno concreti: sell-through delle novità, liste d’attesa gestite con criterio, riacquisti a stagione in corso, tenuta del prezzo nel secondario per i pezzi-chiave.

Per la clientela, il vantaggio è tangibile: collezioni leggibili, capo-sistema facili da combinare, borse con un perché. La chiarezza non significa banalità; significa costruire itinerari d’acquisto in cui è facile capire cosa entra nel guardaroba e perché. È lì che si genera la fedeltà: quando un marchio aiuta a vestire la vita reale senza perdere tono. Fendi, con la romanità come temperamento e la tecnica come struttura, ha tutto per riuscirci.

L’impatto si misura anche sull’ecosistema retail: boutique e corner avranno materiali narrativi chiari, vetrine capaci di spiegare la collezione in famiglie, piattaforme digitali che ospitano making-of credibili, non riempitivi. L’interazione con musei, scuole e istituzioni culturali potrà sfociare in progetti paralleli — mostre, libri, format divulgativi — che allungano la vita del racconto oltre la passerella e danno sostanza alla parola patrimonio.

Calendario, Milano e strategia di lancio

Scegliere Milano per l’esordio ha una logica precisa. La città offre infrastruttura, media e logistica per massimizzare l’impatto del debutto, oltre a un pubblico professionale che sa leggere tagli, materiali e costruzioni. Il posizionamento a febbraio con l’AI 2026-2027 consente di mettere a fuoco gli accessori in tempo per le campagne e di orchestrare il merchandising con anticipo, costruendo famiglie di colore, temi e tempi coerenti tra passerella, e-commerce e retail fisico.

Il timing aiuta anche la comunicazione. L’attenzione globale su Milano permette di introdurre parole chiave e codici che poi ritornano nelle immagini di campagna, nei video editoriali, nei contenuti dedicati all’artigianato. Non si tratta di moltiplicare output, ma di coordinare la narrazione: poche idee forti, riprese con consistenza lungo la stagione. È una strategia che nel lusso paga più del rumore.

Rotta tracciata: Fendi parla la lingua del presente

La nomina di Maria Grazia Chiuri a direttrice creativa di Fendi segna l’inizio di un capitolo coerente e ambizioso. Il perimetro operativo è netto: identità romana, artigianato reale, funzionalità elegante, accessori come centro di gravità. L’esordio di febbraio a Milano dirà molto, ma già oggi la direzione è leggibile: un guardaroba che torna strumento prima che spettacolo, borse pensate per organizzare la vita e non solo per essere fotografate, un racconto che mette al centro mani, tecniche e tempi. È il tipo di chiarezza che i lettori e i clienti cercano quando vogliono capire cosa cambia davvero: un marchio forte che rafforza i propri codici, li aggiorna senza snaturarli e li rende utili alle giornate di chi li sceglie.

Fendi guadagna una regia creativa capace di saldare passato e futuro; Chiuri ritrova la casa in cui ha imparato la lingua degli accessori e la restituisce al presente con ordine, misura e visione. La somma non è un esercizio di nostalgia, ma un progetto: dare forma a un’idea di lusso italiano che sa raccontarsi con concretezza e durata, senza rincorrere il clamore. In un mercato che premia coerenza e usabilità, è la promessa più credibile.


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