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Lecornu dura un giorno, Francia nel caos: che farà Macron?

Emmanuel Macron ha davanti due vie concrete e ravvicinate: tentare un nuovo incarico lampo per formare un esecutivo di minoranza “protetto” e operativo sui dossier urgenti — a cominciare dalla legge di bilancio 2026 — oppure sciogliere l’Assemblée nationale e riportare la Francia alle urne entro poche settimane. L’Eliseo ha accolto le dimissioni di Sébastien Lecornu, il premier con l’incarico più breve della Quinta Repubblica, e ora si muove su una finestra temporale stretta: i mercati hanno reagito male, la sessione di bilancio è alle porte, le opposizioni incalzano con richieste opposte di elezioni o di un governo di “coabitazione”. Le mosse del presidente, per tempi e contenuti, determineranno non solo la sopravvivenza della legislatura, ma la credibilità finanziaria del Paese sul tavolo europeo.
Nel brevissimo termine, l’opzione più probabile è un passaggio-ponte: consultazioni serrate con i capigruppo, un incarico esplorativo o mirato a una figura in grado di reggere i numeri in aula almeno su bilancio, Ucraina e “dossier europei”, e un esecutivo in affari correnti fino a chiarimento dei rapporti di forza. La scelta di sciogliere la Camera, tecnicamente praticabile, resta però concreta perché l’aritmetica parlamentare non si è mossa: tre premier in meno di dodici mesi, un governo durato una notte, una maggioranza che non esiste. E con il capo del Rassemblement National Jordan Bardella che chiede elezioni subito e Jean-Luc Mélenchon che spinge sul terreno più politico della “destituzione”, la pressione per una via d’uscita rapida è già massima.
Cosa è accaduto: 24 ore che hanno sbriciolato un governo
La cronologia è asciutta e impietosa. Lecornu, 39 anni, nominato il 9 settembre 2025, ha presentato la squadra di governo domenica 5 ottobre scegliendo una formazione in larga misura di continuità con l’era Bayrou: Roland Lescure all’Economia e Finanze, Bruno Le Maire alla Difesa, Bruno Retailleau all’Interno, Gérald Darmanin alla Giustizia, Jean-Noël Barrot agli Esteri, Élisabeth Borne all’Istruzione. Una mappa politica pensata per rassicurare i mercati e tenere insieme l’asse centrista con la componente dei Républicains, ma che ha incendiato le opposizioni e scontentato una parte della stessa maggioranza. Dodici ore dopo la pubblicazione della lista, il premier ha rassegnato le dimissioni all’Eliseo. Record negativo per la Quinta Repubblica.
Il corto circuito si è consumato alla vigilia della dichiarazione di politica generale prevista in Assemblea, con la prospettiva concreta di una mozione di sfiducia e il rischio di un voto perdente già al primo snodo. Lecornu aveva promesso di non ricorrere all’Articolo 49.3 per blindare i testi chiave: un segnale di discontinuità che, paradossalmente, ha reso più fragile il perimetro parlamentare, togliendo al governo l’arma tattica usata più volte nella scorsa legislatura. Quando è apparso chiaro che i numeri non c’erano, il tentativo si è fermato prima ancora di iniziare.
La scena di Parigi racconta più di molte analisi: corridoi di Matignon che si svuotano in poche ore, dichiarazioni di circostanza e un refrain che ritorna — “mancano le condizioni” — a definire la crisi come un fatto di aritmetica e fiducia. Lo scarto tra la promessa di “rinnovamento” e l’impressione di un “copiaincolla” del precedente esecutivo ha fatto il resto. In una frase secca, Lecornu ha ribadito il primato dell’interesse nazionale, prima dei partiti, ma era già il giorno delle valigie.
Perché è saltato tutto: numeri, veti e un Paese in apnea
La Francia vive da giugno 2024 in una impasse strutturale: l’Assemblée nationale senza maggioranza, un centro allargato ma non autosufficiente, una destra che oscilla tra sostegno tattico e opposizione, una sinistra compatta nel dire no, un Rassemblement National in crescita che fiuta l’occasione. Tre capi di governo in meno di un anno — Bayrou, poi Lecornu, ora un vuoto — hanno logorato il capitale politico dell’Eliseo senza costruire nuove alleanze. La promessa di un patto repubblicano “di scopo” su bilancio e dossier europei non ha trovato sponde. Il risultato è un governo nato già circondato da mozioni e ultimatum, con il rischio immediato di un voto che lo avrebbe travolto in aula.
La composizione della squadra ha pesato. Il ritorno di Bruno Le Maire in Difesa è stato letto come un segnale di controllo dall’alto, non di apertura; l’ascesa di Roland Lescure a Bercy ha consolidato l’impronta macroniana sui conti; la tenuta ai posti chiave di Retailleau, Darmanin e Barrot ha confermato la continuità. Troppe facce note per chiamarla svolta: così l’opposizione, dalla gauche a RN, ha presentato la contronarrazione che ha svuotato in poche ore il tentativo di Lecornu.
Sul piano procedurale, l’Articolo 49.3 resta la chiave: arma costituzionale che permette di approvare un testo salvo mozione di sfiducia, è stata usata a più riprese nella scorsa legislatura e ha alimentato un clima di conflitto permanente. Rinunciarvi significava cercare una legittimazione piena, ma con una maggioranza inesistente il salto è apparso subito troppo largo. E nei corridoi parlamentari la matematica conta: anche piccoli scarti, su un bilancio che impegna credibilità europea e margini fiscali, avrebbero trasformato ogni voto in un terno al lotto.
Il contesto economico ha fatto il resto. Alla notizia delle dimissioni, CAC 40 giù oltre l’1,5%, bancari in calo fino al 5%, euro più debole e OAT in tensione con lo spread sul Bund ai massimi da gennaio. Il messaggio degli investitori è chiarissimo: senza governo stabile e una rotta credibile sul deficit, la Francia diventa il nervo scoperto d’Europa. Il 2026 è già qui, con una manovra da scodellare ai partner UE e ai mercati in un calendario strettissimo.
Le mosse sul tavolo di Macron: tre scenari, un filo comune
Primo scenario: nuovo incarico rapido. Il presidente potrebbe affidare a una figura di profilo istituzionale — non necessariamente di partito, ma ancorata all’area di governo — un mandato di breve gittata per mettere in sicurezza bilancio, politica estera e poche riforme concordate. Potrebbe essere un governo “di scopo”, con l’impegno pubblico a cercare intese articolo per articolo. Pro: abbassa la temperatura, evita il voto immediato, garantisce continuità. Contro: la fragilità in aula, il logorio e l’alea di una nuova crisi prima di Natale. Senza una tregua concordata con una porzione dell’opposizione, è il sentiero più stretto.
Secondo scenario: scioglimento della Camera e voto anticipato. La Costituzione consente il ritorno alle urne, e oltre un anno dopo lo scioglimento del 2024 il vincolo temporale non c’è. È la soluzione che RN reclama a gran voce, convinto di capitalizzare la spinta dei sondaggi e la stanchezza dell’elettorato. Ma è un azzardo per l’Eliseo: un nuovo Parlamento potrebbe essere ancora più ingovernabile, o addirittura a guida sovranista, con ricadute immediate su bilancio, relazioni UE e dossier Ucraina. Lo shock sui mercati di queste ore è un assaggio della volatilità che un’elezione al buio può innescare.
Terzo scenario: caretaking più lungo e “contratto di legislatura limitata”. Senza maggioranza, l’Eliseo può puntare su un esecutivo in affari correnti rafforzato da un accordo scritto con alcune componenti parlamentari su tre-quattro priorità verificabili. È un modello che richiede disciplina, trasparenza e un calendario pubblico di voto; funziona se c’è responsabilità condivisa sulla tenuta finanziaria e sugli impegni europei. È la via istituzionale, meno spettacolare, più concreta, ma presuppone una maturità politica che finora è mancata.
In tutti gli scenari, Macron deve risolvere un’equazione di base: numeri in Aula per il bilancio 2026, una cornice europea credibile su deficit e riforme, un perimetro politico che non imploda al primo voto spinoso. Senza questi tre tasselli, qualunque formula rischia di ripetere la parabola di queste 24 ore.
Chi spinge, chi frena: opposizioni e territori in movimento
Jordan Bardella ha fissato il frame: «stabilità» uguale ritorno alle urne. L’argomento è semplice e potente, parla alla pancia di un Paese stanco e a un elettorato che percepisce l’immobilismo come il male peggiore. Sul versante opposto, Mélenchon ha alzato l’asticella, evocando il terreno della destituzione: gesto più simbolico che pratico, ma efficace nel riempire lo spazio mediatico e incalzare l’Eliseo. In mezzo, l’arcipelago centrista e moderato — fra ex alleati e scettici — valuta il rischio di un voto che potrebbe consegnare il Parlamento alla destra radicale. È il gioco delle parti, ma con poste altissime.
Nei territori si misura la tenuta sociale. La scorsa stagione ha lasciato ferite: pensioni, caro-prezzi, servizi pubblici in affanno. Senza un governo solido, sindacati e categorie chiedono segnali su salari, fisco e sanità. La macchina dello Stato, dalle prefetture agli ospedali, ha bisogno di una rotta chiara. L’orizzonte di medio periodo — transizione industriale, investimenti, PNRR alla francese — non può permettersi stop. Un esecutivo che nascesse già in apnea sarebbe subito giudicato sulla capacità di spendere bene e in fretta.
All’estero, partner e mercati guardano a Parigi per due dossier non rinviabili: Ucraina e bilancio UE. La scelta di Le Maire alla Difesa, maturata nel governo lampo, suggeriva un tentativo di presidiare la catena di comando su industria bellica e aiuti a Kyiv. Ma con il tavolo saltato in poche ore, l’interlocuzione con alleati e NATO merita una messa in sicurezza, indipendentemente dalla formula politica interna.
Conti pubblici, mercati, Europa: perché la finestra è strettissima
La Francia è osservata speciale sui conti. Il disavanzo resta sopra i parametri europei e, senza un piano credibile, la dialettica con Bruxelles si irrigidisce. Lo sanno gli investitori, lo dicono i numeri: borsa in calo, euro più debole, rendimenti in salita e CDS che s’impennano. Non è un giudizio politico: è il prezzo del rischio-Paese. Ogni giorno senza una rotta chiara costa di più.
La manovra 2026 è l’imbuto. Serve una traiettoria di rientro credibile, misure realizzabili, un cronoprogramma che eviti tagli lineari e impatti recessivi. Bercy, sotto la guida di Lescure, si era preparato a difendere una correzione mirata con incentivi per industria e transizione, e a blindare il quadro macro con un mix di entrate e risparmi. Ma senza governo in piedi, le cifre restano slide. È qui che la politica deve diventare ingegneria istituzionale: trovare una maggioranza “di testo” per il bilancio, anche con emendamenti concordati e verifiche trimestrali sulle entrate.
Sul tavolo europeo, Parigi non può presentarsi senza bussola. I partner chiedono stabilità e prevedibilità: la Francia è seconda economia dell’Eurozona e baricentro politico nell’Unione. A differenza di altre crisi nazionali, qui il rischio di contagio sui mercati è reale perché l’ecosistema bancario francese è sistemico nel continente. E i numeri di oggi hanno già illuminato il cruscotto in rosso. Una decisione rapida all’Eliseo è parte della risposta ai mercati, oltre che alla politica interna.
Come si governa senza maggioranza: la grammatica possibile della Quinta Repubblica
La Quinta Repubblica offre strumenti flessibili, ma nessuno è indolore. L’Articolo 49.3 è la clava: permette di far passare un testo salvo sfiducia. Funziona se la sfiducia non passa; brucia capitale politico e può spaccare il Paese. Il governo “di scopo” è il bisturi: poco perimetro, missioni precise, durata definita. Funziona se le opposizioni accettano di separare i dossier. L’intesa di legislatura limitata è l’artigianato parlamentare: un contratto minimo su conti, politica estera e poche riforme misurabili, con verifiche periodiche e libertà di voto su tutto il resto. Richiede fiducia, che oggi non c’è, ma può costruirla nel tempo.
Le parole contano: nella notte che ha accompagnato la fine del governo Lecornu, il lessico delle opposizioni — “copia del passato”, “mancanza di cambiamento” — ha vinto quello della responsabilità. La lezione è cruda ma utile: senza un segno politico chiaro e riconoscibile, la costruzione aritmetica non basta. Anche un rimpasto centrato su figure “terze” ma sostenute da un perimetro chiaro può cambiare il clima. Diversamente, ogni premier rischia di stare sul filo per settimane, fino al prossimo scivolone.
Il fattore tempo è l’avversario invisibile. Ogni 48 ore senza una direzione chiara, cresce la percezione di vuoto di potere, i mercati lo prezzano e le cancellerie europee si irrigidiscono. L’Eliseo deve decidere prima che calendario e rendimenti decidano per lui. La soluzione perfetta non esiste; quella sufficiente sì: numeri per il bilancio, messaggio di responsabilità, calendario di riforme limitate e possibili.
Cosa cambia per l’Italia e per l’UE: dossier caldi e incroci inevitabili
Per i lettori italiani, la crisi francese non è un fenomeno “di frontiera”. Tre incroci contano. Primo, i conti pubblici europei: con Parigi in affanno, la discussione su flessibilità e ritmi di rientro del deficit si fa più complessa. Roma e Parigi hanno spesso marciato in tandem su una linea pro-crescita: un esecutivo francese debole riduce la massa critica in Consiglio. Secondo, industria e difesa: la filiera aerospazio-difesa e l’asse franco-italiano su programmi strategici (dai sistemi di difesa alla cantieristica) chiedono governance stabile. Terzo, migrazioni e Mediterraneo: la cooperazione bilaterale e nel quadro di Schengen ha bisogno di interlocutori con mandato politico. Un’elezione al buio può congelare tavoli cruciali per mesi.
Sul fronte energetico, l’interdipendenza resta elevata: le scelte francesi sul nucleare, sulla rete e su interconnessioni toccano anche l’Italia. Un governo in apnea rallenta cantieri, regolazioni e investimenti. E nel mercato unico, ogni incertezza a Parigi diventa impulso di cautela a Bruxelles: su aiuti di Stato, transizione industriale, AI e digitale la Francia pesa nell’agenda, e un suo rallentamento sposta gli equilibri.
Il capitolo sicurezza europea è ancora più sensibile. La scelta — poi travolta dalla crisi — di collocare Le Maire alla Difesa indicava la volontà di tenere la rotta atlantica e blindare la filiera industriale. Con il governo evaporato, Parigi deve garantire continuità di impegni in ambito NATO e UE, evitando che i partner percepiscano una finestra di incertezza. Qui la politica estera diventa anche politica interna: il profilo del prossimo premier (o commissario straordinario) dovrà essere leggibile da alleati e mercati.
Oltre il caso Lecornu: una crisi di rappresentanza
La vicenda Lecornu è un sintomo, non la malattia. La Francia fa i conti con una frammentazione profonda: i vecchi blocchi non esistono più, i nuovi non sono ancora stabili. Macron ha governato per anni con la promessa “né di destra né di sinistra”; ora si trova a cercare numeri proprio in quegli spicchi di destra e sinistra che aveva cercato di superare. La società è stanca di procedure e di sigle: chiede risultati tangibili su salari, sicurezza, servizi, transizione. La politica risponde con schemi e veti. È qui che si misurerà la prossima mossa dell’Eliseo: tradurre in fatti un terreno d’intesa limitato ma concreto, anziché puntare sull’ennesimo colpo di teatro.
La stessa comunicazione istituzionale dovrà cambiare. Il frame del “rinnovamento” nel rimpasto non regge se i cittadini vedono gli stessi nomi. Un governo nuovo dovrà parlare per atti: cronoprogramma dei primi 100 giorni, scadenze pubbliche e verificabili, indicatori di risultato su poche priorità. Trasparenza e misurabilità possono fare la differenza più delle etichette.
Un giorno che pesa: cosa farà davvero Macron nelle prossime ore
Nelle prossime 48 ore è realistico attendersi una doppia mossa. Da un lato, consultazioni serrate con i capigruppo e i leader di partito per mappare un perimetro minimo su bilancio, politica estera e impegni europei. Dall’altro, un incarico “tecnico-politico” a una figura capace di trattare in Aula e rassicurare i mercati, con un mandato chiaro e un calendario ristretto. La carta del voto anticipato resta sul tavolo come opzione-detonatore, utile anche a mettere pressione sui tavoli delle intese. La scelta dipenderà da due variabili: l’apertura reale di una parte dell’opposizione a un patto di responsabilità e la reazione dei mercati alle prime indiscrezioni.
Chiunque arrivi a Matignon, dovrà presentarsi all’Assemblée con tre messaggi concreti: numeri credibili per il deficit, un percorso realizzabile di riforme limitate e una metrica pubblica per misurarne l’attuazione. Macron, da parte sua, dovrà assumersi la regia senza invadere il campo: troppa personalizzazione brucia spazio al premier, troppo distanziamento genera l’idea di vacanza di potere. È un equilibrio sottile, ma è la sola via per evitare che il prossimo capitolo somigli troppo a quello appena chiuso.
Se l’Eliseo vedrà chiudersi tutte le porte, lo scioglimento sarà inevitabile. In quel caso, la scelta della tempistica sarà cruciale: una campagna lampo prima di Natale o un voto a inizio anno, con la manovra gestita in regime di affari correnti, hanno implicazioni diverse su conti, scuola, sanità e industria. La politica francese è di fronte a un esame non più rinviabile: o trova un metodo per governare la frammentazione, o si consegna al pendolo delle urne.
Parigi alla stretta finale
Macron è all’angolo, ma non senza mosse. Lecornu è stato il detonatore di una crisi che covava da mesi; la soluzione non dipenderà dal nome, ma dalla capacità di costruire un terreno comune minimo: bilancio, Europa, sicurezza. Due giorni per imbastire un accordo è poco, ma è quanto resta prima che siano i mercati e il calendario a dettare l’agenda. In questa cornice, l’opzione “governo di scopo con numeri verificati in Aula” appare la più praticabile e coerente con gli interessi del Paese; lo scioglimento resta la leva estrema, una scommessa che potrebbe cambiare tutto — non necessariamente in meglio.
La Francia chiede stabilità, l’Europa coerenza, gli investitori visibilità. L’Eliseo deve rispondere adesso, con una scelta che non sia brillante per una notte, ma solida per un anno
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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: ANSA, RaiNews, Il Post, La Repubblica, AGI, Corriere della Sera.

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