Seguici

Che...?

Ponte sullo Stretto, visto negato: che cosa succede ora?

Pubblicato

il

Ponte sullo Stretto visto negato

Nei fatti e nei tempi che contano, la notizia è chiara: la Corte dei conti ha negato il visto di legittimità alla delibera del CIPESS che approvava il progetto definitivo e assegnava le risorse per il ponte sullo Stretto di Messina. L’effetto è immediato e concreto: l’atto non viene registrato né pubblicato in Gazzetta Ufficiale, quindi non produce effetti giuridici. Tradotto nella vita reale dell’iter, il cronoprogramma slitta e la macchina amministrativa deve fermarsi al semaforo rosso dei magistrati contabili in attesa delle motivazioni che, per prassi, arrivano entro poche settimane.

Il governo reagisce, la politica si accende, ma sul tavolo resta un punto incontestabile: senza visto e registrazione, la delibera CIPESS resta ferma. Questo non significa che l’opera sia annullata o archiviata; significa però che la fase amministrativa decisiva — quella che consente di impegnare spesa, scadenzare contratti e far correre il progetto definitivo — deve essere riscritta alla luce dei rilievi. È la differenza tra uno stop politico e un rilievo di legittimità: nel primo caso prevale la disputa, nel secondo domina la correttezza formale degli atti, che in Italia è la condizione di esistenza delle opere.

Il fatto e le conseguenze immediate

Chi ha deciso, cosa è stato fermato, quando e dove. A Roma, la Sezione centrale di controllo di legittimità della Corte dei conti ha respinto il visto sulla delibera CIPESS n. 41/2025, approvata in estate per sbloccare il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria. Il provvedimento conteneva due elementi cardine: l’approvazione del progetto definitivo aggiornato e l’assegnazione della copertura pubblica quantificata in 13,532 miliardi di euro tra capitoli di bilancio e fondi per lo sviluppo. Il diniego spezza la catena amministrativa: senza registrazione non c’è efficacia, senza efficacia non si attivano gli adempimenti successivi. Gli uffici, adesso, attendono la motivazione per capire quali parti riscrivere e come ripresentare la delibera al controllo preventivo.

Le conseguenze pratiche sono lineari. Il cronoprogramma — già denso di tappe — entra in modalità pausa: si possono proseguire attività preparatorie e istruttorie interne, ma la cornice legittimante che autorizza l’uso delle risorse e l’avanzamento degli atti collegati non c’è. È un passaggio delicato perché riguarda l’atto-chiave del progetto, quello che tiene insieme finanza pubblica, perimetro tecnico e organizzazione della concessionaria. L’esecutivo può rivendicare la priorità strategica dell’opera, ma la prassi amministrativa impone che prima si sanino i rilievi e poi si torni in CIPESS con un testo capace di superare il controllo contabile.

Rispetto alla narrazione polarizzata, conviene tenere a fuoco la natura tecnica del passaggio. I giudici contabili non decidono se il ponte “piace” o “non piace”; verificano che l’atto rispetti norme e contabilità. Per questo non è corretto parlare di bocciatura dell’opera in sé: a essere congelata è l’efficacia di un provvedimento strategico, il cui contenuto dovrà essere integrato o riformulato per ottenere il timbro di conformità. In un sistema complesso come quello delle grandi infrastrutture, questo passaggio può fare la differenza tra un cantiere che parte su basi robuste e un cantiere che inciampa due passi dopo.

Il controllo di legittimità spiegato semplice

Il visto di legittimità è il cuore della vicenda. Il percorso è per molti versi scolastico: un’autorità di indirizzo (qui il CIPESS) adotta una delibera che approva un progetto e ripartisce risorse, il testo viaggia al Ministero dell’Economia per i controlli di finanza pubblica, quindi arriva alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità. Solo dopo il visto e la registrazione l’atto viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entra nel mondo giuridico come norma efficace. Se il visto è negato, l’atto resta sulla soglia: non è mai diventato “diritto in vigore”.

Perché un visto può essere negato? In genere per vizi formali, per carenze istruttorie, per incongruenze contabili o per un difetto di coordinamento normativo rilevante. Non è raro che la Corte segnali di approfondire un allegato, chiarire una copertura, allineare un rinvio legislativo, consolidare una base dati o correggere il perimetro di un provvedimento. La ratio è limpida: proteggere la legalità e i conti prima che un atto produca effetti. È un presidio di garanzia, soprattutto quando in gioco ci sono somme a due cifre di miliardi e decisioni che influenzano per anni l’equilibrio di spesa.

In questa vicenda, il progetto definitivo e l’allocazione delle risorse sono i due pilastri che la delibera teneva insieme. Quando un provvedimento svolge la funzione di “atto-cerniera”, ogni inesattezza o asimmetria rischia di propagarsi lungo la filiera amministrativa, generando contenziosi, ritardi e riallineamenti onerosi. Il diniego, per quanto rumoroso, è anche un meccanismo di prevenzione: meglio un alt adesso con motivazioni puntuali, che una scia di micro-irregolarità dopo, quando le conseguenze diventano più costose da correggere.

Come si rimette in moto la macchina

C’è una procedura, e conviene seguirla con rigore. Primo, attendere la motivazione della Corte. Secondo, istruire gli adeguamenti: integrare documenti, ricalibrare le coperture, affinare richiami e tabelle, sciogliere eventuali ambiguità tra norme e allegati. Terzo, riportare la delibera in CIPESS per una nuova adozione che recepisca i rilievi. Quarto, ripercorrere il tragitto di controllo preventivo fino al visto. In parallelo, è realistico immaginare un lavoro serrato tra CIPESS, MEF, MIT e concessionaria per non perdere tempo e per garantire che il nuovo testo sia blindato tanto sul piano contabile quanto su quello tecnico.

La differenza, adesso, la faranno i tempi amministrativi. Le grandi opere vivono di concatenazioni: un ritardo in cima si moltiplica a valle. Da qui la necessità di tenere alta la qualità istruttoria: ogni riga in più di chiarezza nella delibera è una settimana in meno di contenzioso domani. L’Italia ha un repertorio lungo di provvedimenti rientrati in Corte dei conti una seconda volta con esito positivo dopo le integrazioni. È ragionevole attendersi la stessa traiettoria: tecnica, non politica.

Progetto, costi e nodi tecnici

Al netto del passaggio contabile, il ponte di Messina resta un progetto di ingegneria estrema. L’impalcato a campata unica misura 3.300 metri, un record mondiale per un ponte sospeso. Le torri previste raggiungono 399 metri d’altezza, l’impalcato ospita sei corsie stradali — due per senso di marcia più emergenza — e due binari ferroviari. La sezione è stata progettata con profili aerodinamici per gestire i venti di canale tipici dello Stretto, con prove in galleria e modellazioni dedicate a evitare fenomeni di flutter e risonanze indotte. La capacità dichiarata stima fino a 6.000 veicoli l’ora per carreggiata e un potenziale di 200 treni al giorno, con franco navigabile adeguato alle rotte commerciali.

Sul piano economico, il numero che guida il dibattito è 13,5 miliardi di euro di risorse pubbliche, la copertura della delibera congelata dal diniego. È un importo che non esaurisce la fotografia complessiva: al perimetro del ponte si sommano opere di adduzione ferroviarie e stradali, adeguamenti tecnologici e misure di compensazione ambientale e territoriale. In ogni cantiere di questa scala, il costo di esercizio e manutenzione lungo il ciclo di vita gioca un ruolo cruciale: ispezioni dei cavi principali, sostituzione di componenti soggetti a fatica, sensori strutturali, piani antivento e antisismici che vanno finanziati non una volta, ma per decenni.

Il capitolo tecnico è anche filiera industriale. Il general contractor e i partner di filiera hanno mappato le forniture critiche: cavi portanti in acciaio ad altissima resistenza, lamiere e cassoni per l’impalcato, appoggi e smorzatori per la dissipazione dinamica, fino ai sistemi di monitoraggio in esercizio. In un ambiente come lo Stretto, con vento laterale e sismicità non trascurabile, ridondanza e manutenibilità non sono slogan, sono specifiche di progetto. È anche qui che la qualità della delibera conta: un quadro economico chiaro e coerente è la condizione per firmare contratti in grado di reggere a varianti e sorprese.

C’è poi il tema dei cantieri a terra. Il ponte non esiste nel vuoto: deve innestarsi su nodi ferroviari e svincoli di Sicilia e Calabria, potenziando tracciati e stazioni, razionalizzando le interferenze con l’abitato, garantendo sicurezza e viabilità durante i lavori. Il successo del progetto non si misura solo sul cavo che scavalca lo Stretto, ma sulla riduzione effettiva dei tempi di viaggio lungo l’asse Palermo–Messina–Reggio–Salerno e sulla qualità dei servizi a passeggeri e merci. Un collegamento stabile ha senso se fa rete con l’alta capacità ferroviaria e con i corridoi europei.

Dossier ambientale e rapporti con l’Europa

La metà più sensibile della vicenda è ambientale. Il progetto è passato per la Valutazione di Impatto Ambientale con prescrizioni e ha imboccato la Valutazione di Incidenza sui siti Natura 2000, dove la disciplina europea richiede di dimostrare che non esistono alternative ragionevoli o che, in mancanza, si proceda per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico (IROPI) con misure compensative adeguate. Il Consiglio dei ministri ha attestato l’IROPI nella primavera 2025, aprendo un dialogo strutturato con Bruxelles sui dettagli tecnici e sulle compensazioni. È un passaggio che non si brucia con un titolo, perché la Commissione chiede dossier puntuali, metriche verificabili e piani di monitoraggio stringenti.

Il capitolo europeo non si esaurisce nell’ambiente. Il governo ha collocato il ponte di Messina dentro le reti transeuropee dei trasporti (TEN-T), in coerenza con i corridoi Scandinavo–Mediterraneo e Mediterraneo. Qui la parola chiave è allineamento: cronoprogramma, contabilità e coerenza tecnica con le reti europee devono marciare insieme. L’eventuale supporto comunitario, quando c’è, è sempre condizionato a scadenze e obiettivi: un dossier ben fatto è la premessa per intercettare opportunità, non l’effetto di una dichiarazione. Anche su questo fronte, il diniego della Corte pesa indirettamente: un atto contabile pulito rafforza l’affidabilità dell’interlocutore pubblico.

La conservazione degli habitat è l’altra variabile critica. Tra praterie di Posidonia, rotte di cetacei e aree di nidificazione protette, il mosaico dello Stretto è uno dei più delicati del Mediterraneo. Il progetto ha previsto cantieri contingentati, barriere antitorbidità, piani di ripopolamento dove necessario, e monitoraggi lungo l’intero ciclo dei lavori. La VIncA chiede che queste misure non restino principi, ma obblighi misurabili. Dove si generano impatti residui, la compensazione non è un semplice bilancio verde, è restauro di funzioni ecologiche con tempi e parametri verificabili. Anche qui, un testo CIPESS a prova di bomba aiuta: le condizioni ambientali devono essere scrivibili, finanziabili e controllabili.

Politica, territori e industria

Ogni grande opera in Italia è anche un campo di forze tra livelli istituzionali, territori e industria. La reazione politica al diniego è stata immediata: il governo ha parlato di iniziativa che ostacola la volontà del Paese, le opposizioni hanno letto nella decisione un segnale contro fretta e forzature. Nella dialettica, però, è utile non perdere vista l’unico discrimine operativo: o l’atto è legittimo e contabile, o non lo è. Ridurre il rumore e alzare la qualità dei testi è il modo più breve per tornare sui binari.

Sui territori lo spartito è pragmatico. Sicilia e Calabria vedono nel collegamento stabile un possibile salto di qualità per turismo, logistica e filiere produttive. Ma la domanda che torna più spesso tra imprese, tecnici e pendolari è di efficienza concreta: meno minuti nei trasferimenti casa–lavoro, intermodalità reale tra treni, autostrade e porti, tariffe sostenibili. Un ponte da record ha senso se accorcia le distanze economiche oltre quelle geografiche. Qui entrano in gioco le opere a terra: stazioni potenziate, bretelle, terminal merci, interconnessioni per l’alta capacità. La credibilità di un’infrastruttura non si misura solo al taglio del nastro, ma al tempo medio porta a porta tra le città principali dell’isola e del continente.

Per l’industria e la filiera delle costruzioni, il diniego impone un riassetto del timing. Gli attori più strutturati programmano supply chain e capacità produttiva con mesi di anticipo: acciaio, componenti speciali, logistica di cantiere, cantierizzazione dei siti. Un ritardo gestito con istruttorie chiare e tempi certi è assorbibile; un ping-pong di atti con problemi ricorrenti, no. È qui che la governance del progetto deve fare la differenza: garantire trasparenza, stabilità delle decisioni e qualità degli atti che regolano i rapporti contrattuali. La filiera non chiede applausi, chiede certezza amministrativa.

Non meno importante è il capitolo sicurezza. L’area dello Stretto somma vento, correnti e sismicità che impongono un design conservativo e piani di emergenza in esercizio. Il progetto prevede monitoraggio strutturale in continuo, ridondanza negli ancoraggi e protocolli per la gestione dell’evento raro. Queste non sono voci da depliant, sono capitoli di spesa e obblighi gestionali. Quando si firma un atto quadro, quei capitoli devono essere coperti e verificati: la qualità del ponte si decide tanto nel calcolo degli ingegneri quanto nelle righe contabili che ne permettono la gestione per decenni.

Scenari possibili e tempi

Qual è la traiettoria più probabile dopo lo stop? In termini istituzionali, si procede così: motivazioni della Corte, riformulazione della delibera con gli adeguamenti, nuovo passaggio in CIPESS, ritorno alla Corte dei conti per il visto. Non è un labirinto, è un andata e ritorno che in Italia ha precedenti in molte grandi opere. La variabile è il tempo: quanto durerà dipende dalla completezza del nuovo testo e dalla capacità di chiudere tutti i punti sollevati. Il governo può scegliere di ricompattare il dossier con un lavoro di sponda tra ministeri e concessionaria per arrivare a un provvedimento “a prova di rilievo”.

Sul cantiere vero e proprio, il punto di non ritorno è proprio l’atto fermato. È quello che abilita impegni di spesa e impostazioni contrattuali significative. Fino ad allora, il sistema può continuare a progettare e a verificare, ma non può accendere i motori alla velocità prevista. È uno slittamento fisiologico, non uno strappo irreparabile. La differenza tra un ritardo accettabile e un inciampo strutturale sta tutta nel prossimo passaggio: quanto più il testo sarà pulito, tanto più rapido sarà il rientro in corsa.

Anche il rapporto con l’Europa ha un ritmo. Le procedure VIA e VIncA, con l’IROPI già attestato, richiedono compensazioni dettagliate e monitoraggi a prova di audit. Un provvedimento CIPESS che recepisca chiaramente condizioni, oneri e fonti di copertura di tali misure è l’arma migliore per un dialogo efficiente con la Commissione. Su questo, il diniego non è un ostacolo ideologico, è un promemoria operativo: allineare conti, ambiente e calendario è l’unico modo per far convivere ambizione e regole.

C’è infine il tema della comunicazione istituzionale. Se l’ultima settimana ha mostrato toni accesi, i prossimi giorni dovrebbero essere dedicati a documenti e tabelle, non a slogan. La credibilità di un cantiere da record si costruisce con atti che reggono in giudizio e con istruttorie che non lasciano ombre. La politica decida pure la direzione; il successo dipende da come quella direzione viene scritta nelle carte. Perché quando un progetto vale decine di miliardi e tocca due regioni intere, la forma è sostanza.

Ripartenza possibile: urgenza sì, ma solo con conti in ordine

Se c’è un messaggio che arriva forte da questo passaggio è che ambizione e rigore devono correre sullo stesso binario. Il ponte sullo Stretto rimane un’infrastruttura potenzialmente trasformativa per il Mezzogiorno e per il sistema logistico italiano, inserita nei corridoi europei e capace, sulla carta, di accorciare tempi e allargare mercati. Ma il talento ingegneristico, da solo, non basta: servono atti inattaccabili, coperture cristalline e condizioni ambientali scritte in modo da resistere al tempo e ai controlli. È questo che chiede la Corte, è questo che si aspettano imprese e cittadini.

Nelle prossime settimane, la differenza la farà la qualità del nuovo CIPESS. Un testo coerente tra quadro tecnico, economico e ambientale, con motivazioni recepite e istruttoria completa, può rimettere in marcia l’iter senza ulteriori scosse. Da lì in avanti, la sfida sarà trasformare il record in servizio: ridurre davvero i minuti tra le sponde, integrare il trasporto ferroviario con le altre modalità, garantire che gli investimenti a terra siano pronti assieme all’attraversamento. Il Paese non ha bisogno di promesse, ha bisogno di procedure che funzionano e cantieri che mantengono quanto promettono.

Il ponte è un simbolo, ma soprattutto è un atto amministrativo dietro l’altro: ogni delibera, ogni visto, ogni parere. È lì che si gioca tutto. Il diniego non è la fine, è una lezione di metodo: se il progetto vuole diventare opera, la rotta è una sola — scrivere bene, contare giusto, compensare davvero. Solo così la linea sottile tra annuncio e realizzazione si trasforma in strada percorribile sopra lo Stretto. E solo così il collegamento stabile potrà diventare realtà con tempi, costi e impatti sotto controllo, come una grande infrastruttura in un Paese maturo deve essere.


🔎​ Contenuto Verificato ✔️

Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: ANSAla RepubblicaIl Sole 24 OreIl Fatto QuotidianoGoverno.itMinistero delle Infrastrutture.

Content Manager con oltre 20 anni di esperienza, impegnato nella creazione di contenuti di qualità e ad alto valore informativo. Il suo lavoro si basa sul rigore, la veridicità e l’uso di fonti sempre affidabili e verificate.

Trending