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John Elkann striglia i piloti Ferrari: cosa gli ha detto?

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John Elkann striglia i piloti Ferrari

La linea è stata tracciata senza giri di parole: John Elkann ha chiesto ai piloti Ferrari di pensare a guidare e parlare meno, riconoscendo il lavoro di meccanici e ingegneri e giudicando “il resto non all’altezza”. È un richiamo diretto a chi sta in abitacolo, con un obiettivo molto pratico: chiudere la stagione trasformando il potenziale in punti pesanti, riducendo al minimo errori, frizioni, distrazioni. Non serve un manifesto: serve concretezza nelle prossime gare, perché i piazzamenti di squadra contano — sportivamente e industrialmente — e indirizzano il clima con cui si prepara il prossimo campionato.

Il messaggio arriva dopo un fine settimana amaro, come se il presidente avesse deciso di spostare il baricentro dalla discussione pubblica alla prestazione in pista. Da una parte l’applauso interno per chi ha messo le mani sulla vettura e gestito i pit stop; dall’altra la richiesta di maggiore lucidità e consistenza a chi decide duelli, staccate e gestione gomme. Il senso è chiaro: la Ferrari c’è, cresce nel reparto corse, ma la differenza — nelle domeniche che pesano — la fanno i piloti. E quando la priorità è massimizzare ogni occasione, conviene parlare meno e guidare meglio.

Che cosa significa quel “parlare meno”

“Parlare meno” non vuol dire silenzio stampa o muri alzati con i media. È un’indicazione operativa rivolta all’interno, una scelta di metodo: meno rumore, più sostanza. In Formula 1 la saturazione informativa è costante: briefing, debriefing, call tecniche, messaggi radio, interviste, social. La richiesta di Elkann suona come una potatura: tagliare il superfluo per liberare spazio cognitivo nei momenti decisivi. Ridurre gli input vocali in gara, semplificare le procedure in abitacolo, parlare quando serve e, soprattutto, interpretare i dati in azione, senza farsi trascinare dall’emotività del momento.

C’è anche un punto di disciplina. Ogni frase detta a caldo diventa titolo, ogni sfumatura alimenta un thread infinito. Limitare le esternazioni significa non regalare narrazioni che distraggono dal compito principale. In termini pratici, vuol dire lasciare il palcoscenico ai cronometri: tempi sul giro, degrado, capacità di tenere il ritmo con aria sporca, gestione delle ripartenze. È qui che si vince o si perde una domenica, non davanti ai microfoni.

Più sottile, ma non meno importante, è la gestione della radio. Oggi le corse sono un flusso di informazioni continuo. Razionalizzare i messaggi tra pilota e muretto evita over-coaching, impedisce che dettagli marginali sovrastino priorità reali — temperatura freni, delta carburante, finestra DRS, cut-off di energia ibrida. Un vocabolario più sintetico aiuta a tenere alta la freschezza mentale nel corpo a corpo, dove la differenza si decide in mezzo secondo e due parole di troppo possono pesare.

Perché meccanici e ingegneri “ok” cambia la prospettiva

La frase che promuove meccanici e ingegneri non è un complimento di rito. A Maranello segnala due assi di progresso: affidabilità operativa ai box e crescita tecnica della piattaforma. Quando un presidente dice “ok”, mette un riferimento a cui aggrapparsi: la macchina è migliorata, la squadra a terra esegue. Questo libera il discusso ultimo miglio: la conversione in gara lunga.

Una vettura che accende gli pneumatici con più regolarità e un reparto corse che riesce a stare sotto certe soglie di tempo alla pistola danno ai piloti un terreno più stabile. Non è garanzia di podio, ma toglie alibi e restringe il perimetro delle variabili. Soprattutto, consente un approccio più aggressivo alla strategia: se sai che l’undercut non lo bruci con un pit stop lento, puoi provare l’anticipo; se la macchina ha finestra termica più ampia, non devi sempre coprire l’avversario e puoi dettere il ritmo.

Dentro questa cornice, il richiamo agli uomini in tuta è altrettanto limpido: bene così, continuare in questa direzione, consolidare il passo nelle procedure critiche — rilascio, comunicazione semaforica, gestione degli imprevisti (vite recalcitranti, unsafe release, degrado inaspettato). La Ferrari sa che la qualità delle esecuzioni nei 25–30 secondi di una sosta, tra entrata box, lavoro e uscita, vale posizioni. Se quel blocco funziona, il faro si sposta senza scuse sulla pista.

Il messaggio ai piloti: concretezza, gestione, punti

L’essenza del richiamo è rivolta a chi guida: portare a casa domeniche pulite. Non una formula generica, ma una serie di gesti ripetuti con precisione. Uscire dai primi due giri senza danni, leggere in anticipo i “traini” DRS, scegliere quando difendere duro e quando, invece, conviene cedere mezzo metro per non uccidere le gomme e rientrare nel finestrone ideale tre curve dopo. La presa di posizione di Elkann chiede quel tipo di lucidità: massimizzare le probabilità e minimizzare gli episodi.

Charles Leclerc: capitale tecnico da trasformare

Leclerc porta in dote velocità pura e sensibilità in qualifica. La richiesta che emerge è di convertire più spesso queste qualità in gestione gara: amministrare il primo stint quando si parte davanti, avere margine di gomma quando il treno si ricompatta, sfruttare i micro-errori altrui senza esporsi a contatti che costano un fondo rovinato o una bandella spezzata. Con una vettura più prevedibile sul passo, il monegasco può ridurre la varianza e costruire piazzamenti “da campionato”, quelli che alla lunga determinano il piazzamento costruttori.

Lewis Hamilton: esperienza come leva, non come zavorra

Hamilton conosce l’arte di far girare una stagione con la gestione del minimo dettaglio. Il suo valore, nel contesto Ferrari, è duplice: trasferire routine vincenti nei processi quotidiani e alleggerire la guida dal peso delle aspettative. “Parlare meno”, nella sua grammatica, significa tornare al metodo: ritmo gara impostato sui delta, finestre di consumo, radio chirurgica con l’ingegnere di pista. Se rientra in questa traiettoria, può condurre domeniche sostanziose anche quando la vettura non è dominante, aprendo la strada ai punti di squadra doppi che cambiano i conti.

Punti che pesano: perché il piazzamento costruttori conta davvero

Il piazzamento nel Mondiale Costruttori non è un dettaglio estetico. Determina la quota di premi economici, incide sul posizionamento del brand nella stagione successiva, dà un segnale a partner e fornitori. In più, a livello sportivo, consolida inerzia e fiducia: si lavora meglio d’inverno quando l’ultimo ricordo non è una scia di DNF o occasioni buttate. E per una squadra come la Ferrari, che deve intrecciare prestazione e immagine, arrivare davanti ai rivali diretti ha un valore simbolico e pratico.

Tradotto: anche se manca il colpo grosso, fare doppio-punti con due auto al traguardo, per tre-quattro weekend di fila, vale più di un podio isolato seguito da una giornata storta. È aritmetica sportiva. Il richiamo di Elkann serve proprio a far entrare questa cultura di costanza nel radar di chi guida. Non il giro memorabile per la clip social, ma il terzo stint gestito con intelligenza che porta la vettura a tagliare il traguardo nell’aria pulita giusta, con margine sul gruppo di coda.

Dal messaggio al metodo: come si trasforma un richiamo in rendimento

La differenza tra una dichiarazione forte e un cambio reale si costruisce con micro-rituali settimanali. In fabbrica e in pista.

Primo: preparazione scenario-based. Simulare tre versioni della stessa gara — pulita, sporca, caotica — con playbook chiari: cosa fa il pilota se cade una VSC al giro 12 con medie; come si reagisce a uno stint più corto del previsto per blistering; quale linguaggio radio si usa per chiedere un undercut preventivo senza attivare confusione. Ogni opzione ridotta a poche frasi, sempre uguali. Questo riduce i tempi di decisione in pista e limita i misunderstanding.

Secondo: briefing più snelli e debriefing più severi. Via i fronzoli, dentro i dati che contano. Un foglio con cinque indicatori su cui si misura la domenica del pilota (delta rispetto al target stint, consumo energia ibrida per giro in difesa, efficienza dei sorpassi, danni evitati in primi tre giri, tempo perso in radio). Punteggi chiari, responsabilità chiare. Se il pilota sa che verrà misurato su quelle voci, si allinea di conseguenza.

Terzo: less is more sulle comunicazioni in abitacolo. Una keyword per ogni priorità, condivisa e identica tra i due lati del box. Semplifica la vita a chi guida, riduce il rischio di overthink, aiuta nei momenti caldi: bandiere gialle, traffico in uscita box, taglio energia per temperature alte. Quando serve aggiungere contesto, lo si fa nel rettilineo lungo; altrove si risparmia voce e si corre.

Quarto: decision making anti-frizione. In casi-limite — restare in pista o fermarsi con Safety Car? — decide una catena gerarchica predefinita. Niente comitati ad hoc; il pilota deve potersi fidare che l’indicazione che riceve è frutto di un processo noto, ripetibile. Più fiducia, meno second thoughts, meno radio.

Strategia, gomme, aria sporca: tre terreni dove i piloti incidono

La strategia non è soltanto un foglio al muretto. Diventa reale quando il pilota interpreta il ritmo degli altri e sa stare nel traffico senza distruggere le coperture. Il punto è l’aria sporca: con macchine larghe e carichi aerodinamici importanti, restare incollati perde senso se in tre giri si surriscalda l’anteriore e si scivola. Saper gestire il distacco ideale, scegliere il punto in cui aprire il DRS, preparare il sorpasso in due passaggi è mestiere da piloti maturi. È qui che il “parlare meno” sposta: mantiene il cervello sgombro, aiuta a cucinare l’avversario con freddezza.

Sul fronte gomme, il compito è capire quando conviene sacrificare un decimo a curva per salvare due gradi di temperatura. Non è sexy, è efficace. Se la vettura di base consente questa amministrazione — e il giudizio positivo su chi la progetta e la mette in pista suggerisce di sì — il pilota deve interiorizzare una regola d’oro: il passo gara è un investimento, non un istante. I podi si costruiscono qui, non al sabato.

La terza area è l’ingresso box: uno dei pochi luoghi in cui il pilota, da solo, può guadagnare decimi “gratis” senza rischi spropositati. Arrivare al limite corretto del pit entry, centrare il sensore, allinearsi con precisione millimetrica alla piazzola, ripartire senza pattinare. Quando il reparto ai box è “ok”, questi dettagli diventano moltiplicatori. Insieme fanno differenza.

Stabilità al vertice tecnico, responsabilità in pista

Un altro sottotesto del messaggio è la fiducia verso la struttura capitanata dal team principal. La stabilità di guida tecnica evita onde anomale: programmi di sviluppo distribuiti con logica, correlazione galleria-dati che si consolida, gestione degli aggiornamenti mirata a piste in cui rendono davvero. In questo scenario, i piloti hanno il compito di diventare amplificatori del lavoro di fabbrica, non interruttori casuali. Quando le basi reggono, serve che chi guida porti continuità.

Significa accettare gare in cui non tutto fila, ma tornare ai fondamentali: proteggere la vettura nei primi giri, evitare danni stupidi, prendersi il tempo per rimettere gomme in finestra, farsi trainare dalla strategia quando conviene. È un modo quasi noioso di correre, certo. Ma è così che si fanno serie utili, si recupera morale, si chiudono a chiave posizioni di classifica.

Due auto al traguardo, più spesso possibile

Per centrare l’obiettivo di squadra, la ricetta non cambia: due Ferrari al traguardo la maggior parte delle domeniche. È una banalità, ed è la metrica che separa le stagioni buone da quelle in altalena. La richiesta di Elkann si traduce in una cultura di damage limitation quando le cose si mettono storte e di capitalizzazione quando la vettura ha margine. Meglio un quarto e un sesto posti di un secondo e un ritiro. Semplice da dire, difficilissimo da praticare in un paddock compresso dove tutti battono forte.

Qui entra in gioco la sincronia tra i due lati del box. Condividere approcci, allineare le scelte di assetto in funzione del passo gara, costruire un linguaggio tecnico comune tra piloti e ingegneri di performance. Quando chi guida sente che la macchina davanti ha fatto la scelta giusta, è più facile replicarla senza esitazioni. Meno dubbi, meno radio, meno tempo perso.

Cosa cambia già dal prossimo weekend

Gli effetti pragmatici possono vedersi presto. Un approccio conservativo alle prime staccate, soprattutto in curve a gomito dove gli incidenti si moltiplicano. Una gestione più elastica dei piani di sosta: stop anticipati se si resta bloccati dietro un avversario più lento nella seconda parte dello stint, oppure stop ritardati per evitare il traffico di rientro. Una mappa pulita di radio, con messaggi ridotti a ciò che il pilota può usare immediatamente.

Molto si gioca in qualifica, perché la track position regala domeniche più lineari. Ma la Ferrari di oggi ha bisogno soprattutto di linearità nei 300 chilometri: non per rinunciare all’ambizione, ma per costruire una serie di risultati coerenti. Se arriva un’occasione — Safety Car nel momento giusto, degrado avversario anomalo, penalità altrui — allora si spinge. Non il contrario.

Un dettaglio cruciale: la gestione delle ripartenze

Le ripartenze dopo Safety Car o Virtual Safety Car sono mini-gare. Qui il pilota deve leggere con mezzo secondo d’anticipo cosa farà chi lo precede, proteggere l’outlap, non surriscaldare i freni, prendere la scia se c’è margine senza esporsi a un dive-bomb. È un esercizio di sensibilità e sangue freddo. Prepararlo a tavolino, con i replay e i dati giusti, fa guadagnare posizioni senza rischi eccessivi. E quando la gara si spezzetta — sempre più spesso — saperle gestire vale oro.

Radio più leggere, risultati più pesanti

Nel paddock moderno l’iper-comunicazione è quasi una tentazione irresistibile. Si vuole dire tutto, subito, a tutti. E spesso si finisce per sovraccaricare il pilota, che in quei momenti sta già gestendo un compito cognitivo enorme. Il senso del “parlare meno” è ribaltare la logica: creare una dieta informativa più sana, dove il messaggio giusto arriva al momento giusto. Il resto può aspettare il debrief.

Ridurre parole non è impoverire. È arricchire la qualità delle decisioni. Paradossalmente, la Ferrari che riduce il volume potrebbe finire per ascoltare meglio la pista: gli pneumatici che “parlano”, le vibrazioni che cambiano, il suono della vettura in trazione. È materiale che non entra in un file Excel ma che, nelle mani di due piloti di livello, si trasforma in ritmo gara.

Un equilibrio da trovare: aggressività sì, ma sostenibile

La F1 premia chi attacca. L’ordine di Elkann non sterilizza la grinta, chiede di canalizzarla. Aggredire non è buttarsi, è scelte percentuali fatte bene: tentare un sorpasso quando la differenza di trazione in uscita curva è evidente, difendersi duro quando la posizione vale la vita del proprio stint, accettare — ogni tanto — di rimanere dietro per colpire più forte due giri dopo. Questo tipo di aggressività sostenibile regala meno highlights, ma più punti.

La Ferrari ha bisogno di questo: ferocia intelligente. Il brand vive di emozioni, ma il campionato si vince (o si porta a casa al meglio delle possibilità) con ritmo e geometri. E con due auto sane, quasi sempre.

Silenzio utile, guida che vale

La frase di Elkann è entrata nel paddock come una scossa. “Guidare e parlare meno” non è un motto da poster, è una strategia di sopravvivenza e crescita. La parte tecnica ha segnali incoraggianti, le operazioni ai box hanno standard competitivi. Il salto manca in quel pezzo di mondo che solo i piloti controllano: la qualità delle decisioni in tempo reale, la cura dei dettagli, la scelta di quando andare al limite e quando tenere fiato per l’ultimo settore.

Se Leclerc ritrova la sua pulizia feroce e Hamilton rimette il processo davanti all’ansia da risultato, la Ferrari può archiviare una coda di stagione concreta, fatta di classifiche coerenti e giornate in cui le opportunità non si sprecano. A quel punto, contano i numeri, sì, ma conta soprattutto la sensazione di solidità che scende nel box. È il miglior investimento per l’inverno: meno chiacchiere, più chilometri “giusti”. E quando si ricomincia, spesso, la squadra che ha imparato a proteggere il proprio valore è quella che arriva prima dove serve davvero.


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Questo articolo è stato redatto basandosi su informazioni provenienti da fonti ufficiali e affidabili, garantendone l’accuratezza e l’attualità. Fonti consultate: ANSAGazzetta dello SportLa StampaSky SportCorriere della SeraTuttosport.

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